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Quale esercito per un piccolo paese?

Più professionisti, più donne: l'esercito del futuro potrebbe essere ben lontano dal tradizionale sistema di milizia Keystone

Esercito di milizia o soldati professionisti? Le ristrettezze finanziarie della Confederazione forzano le riflessioni sul futuro della difesa nazionale.

Partita da un’intervista rilasciata dal ministro della difesa, la discussione viola alcuni tabù della politica di sicurezza elvetica.

«Già prima della riforma Esercito XXI, molti erano coscienti che il problema andava discusso, ma i tempi non erano maturi. Adesso si nota come non è più possibile rimandare il dibattito», afferma Barbara Haering, deputata socialista e esperta di questioni militari.

La Haering fa parte della Commissione della sicurezza del parlamento e da anni è in prima fila per dare un nuovo volto all’esercito, in un contesto internazionale profondamente mutato dopo il crollo del Muro di Berlino.

Anche il veterano della politica estera nazionale, l’ex-deputato liberale-radicale Erst Mühlemann, ha riaffermato sulle colonne della «Basler Zeitung» che i nuovi compiti dell’esercito devono includere la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata. Per questo ci vogliono meno soldati, ma più preparazione ai diversi compiti richiesti dalla sicurezza nazionale, oltre che agli impegni a livello internazionale.

Con le riforme, questa necessità si sta già concretizzando. Gli effettivi vengono progressivamente ridotti: erano mezzo milione durante la Guerra fredda, attualmente sono 360’000, si scende ora progressivamente fino ai 140’000 soldati attivi.

Il problema della milizia

Si calcola che per un esercito professionista basterebbero 30’000 soldati. Ma, garantendo l’infrastruttura necessaria, l’operazione costerebbe alla fine più di ora. La soluzione non è dunque compatibile con la situazione finanziaria della Confederazione e, come spiega la Haering, «attualmente è la politica finanziaria a definire la politica della sicurezza».

Ma a monte dei problemi finanziari si pone anche un quesito di fondo. La Costituzione federale recita infatti: «L’esercito svizzero è organizzato fondamentalmente secondo il principio di milizia». Questo vuol dire che tutti i cittadini maschi (e le donne che lo vogliono) devono prestare servizio militare.

«Attualmente, per ridurre il numero dei soldati – spiega ancora la Haering –si cerca di selezionare con maggior rigore i candidati già al momento della leva». Una soluzione di ripiego che non potrà durare e inoltre «il numero dei reclutati è ancora troppo alto. Mancano già ora gli istruttori qualificati».

Legittimazione democratica

Si pensa dunque a cambiare le regole. Ma questo non è facile. Ulrich Schlüer, un rappresentante della destra conservatrice dell’Unione democratica di centro, ha già gridato allo scandalo: togliere la leva obbligatoria significa affossare il principio di milizia e la legittimazione democratica della difesa nazionale.

Inoltre, un adeguamento agli standard internazionali (in Gran Bretagna l’esercito è professionista, l’Italia si adeguerà già dal 2005 e in diversi paesi europei si va in questa direzione) faciliterebbe un intervento al fianco delle organizzazioni internazionali. Un orrore per chi combatte strenuamente per la neutralità del paese.

Modelli per il futuro

Anche Karl Haltiner, professore all’Accademia militare del Politecnico di Zurigo, si dice contrario ad una rinuncia all’elemento partecipativo: «Abolire la leva obbligatoria non vuol dire che si debba passare automaticamente alla creazione di un esercito professionista».

Haltiner propone una leva facoltativa in cui si domanda ai giovani di lavorare per l’esercito per quattro o cinque anni. «Ma non saranno soldati a tempo pieno. Piuttosto, dopo un periodo di formazione simile alla scuola reclute, torneranno in servizio periodicamente».

Anche ai socialisti questa posizione piace: «Il limite del servizio permette un ritorno regolato alla vita civile e il tutto avrebbe un costo minore, circa 2,5 miliardi e non 4 come ora», commenta Barbara Haering.

Servizio civile

Abolendo la leva obbligatoria si crea però un precedente. «Per questo sarà necessario discutere nuovi modelli. Come ha proposto il ministro della difesa Samuel Schmid, si potrebbe pensare ad una lettura larga del mandato costituzionale, ampliando il servizio civile», suggerisce la deputata socialista.

Ma l’ampliamento del servizio civile non deve esser in conflitto con il mercato del lavoro, bisogna studiarne l’attuabilità (concretamente non si può mandare qualcuno contro voglia a curare degli anziani) e da ultimo ci vuole una riflessione sulla partecipazione generalizzata delle donne a questo impegno sociale.

Parallelamente «ci vorranno degli incentivi per mantenere alto l’interesse per il servizio militare», aggiunge Karl Haltiner, suggerendo delle facilitazioni previdenziali o altri strumenti per garantire alla difesa nazionale gli elementi migliori di cui avrà bisogno.

Soluzione a medio termine

Le soluzioni non sono ancora mature e devono inoltre trovare il consenso popolare. Ma il ministro della difesa Samuel Schmid ha annunciato di voler aprire la discussione in governo già in autunno.

Anche Barbara Haering si dice convinta dell’urgenza di un dibattito che porti ad una revisione totale della difesa. Per lei, prima della fine della legislatura, il parlamento discuterà delle proposte concrete che daranno un nuovo volto all’esercito.

swissinfo, Daniele Papacella

Un esercito con meno soldati: con la riforma «Esercito XXI» gli effettivi verranno ridotti progressivamente dai 360’000 militari del 2000 (previsti dal programma «Esercito 95») ad un nuovo totale di 140’000 militari attivi e 80’000 riservisti.

La cifra è ancora ritenuta problematica perché impone un altro numero di esclusioni già alla leva, questo fatto intacca il principio di milizia.

Il numero è comunque ancora troppo alto per un passaggio alla professionalizzazione richiesta dai mutati scenari di minaccia.

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