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Resisterà il processo di pace senza Sharon?

Ariel Sharon (a sinistra) con il presidente palestinese Mahmoud Abbas: quale futuro per il processo di pace in Medio Oriente? Keystone

La probabile fine dell'era del premier israeliano Ariel Sharon, getta nuove ombre sul futuro del processo di pace in Medio Oriente.

Secondo l’opinione di alcuni esponenti della politica medio-orientale in Svizzera, è difficile prevedere cosa succederà.

Due mesi fa appena, Sharon aveva abbandonato il partito conservatore Likud, per crearne un altro, più moderato. Kadima, la sua nuova fazione politica, era destinata a vincere nettamente le elezioni anticipate del prossimo 28 marzo.

Negli scorsi mesi, molti israeliani avevano riposto le loro speranze in Sharon. Ai loro occhi, il primo ministro era l’unico politico in grado di mostrare un pugno di ferro nel fissare in modo definitivo le frontiere dello Stato ebraico.

Momento molto delicato

Per la consigliera nazionale Vreni Müller-Hemmi, presidente dell’associazione Svizzera-Israele (ASI), la fine dell’era Sharon non arriva certo inaspettata, ma tuttavia «in un momento molto delicato».

In ragione delle imminenti elezioni, sia in Israele che nei Territori palestinesi, si è di fronte a un cambiamento. Prossimamente vi saranno delle turbolenze: «Non è tuttavia detto che ciò sia negativo per il processo di pace», dice la presidente dell’ASI. «Poiché in Israele molta gente è a favore del ritiro delle truppe da Gaza e dalla Cisgiordania».

Secondo Vreni Müller-Hemmi, nel panorama politico israeliano si potrà assistere a qualche operazione di pulizia.

La presidente dell’ASI e parlamentare socialista spera in un rafforzamento e in un ruolo costruttivo del partito laburista, sotto la nuova guida di Amir Perets.

In merito ricorda che «anche negli ultimi tempi, durante i momenti di tensione, vi sono sempre stati contatti tra le autorità palestinesi e il governo israeliano».

Situazione aperta

Israele non sprofonderà nel caos, sostiene dal canto suo Daniel Vischer, presidente dell’Associazione Svizzera-Palestina (ASP).

«Sharon era sicuramente la personalità più forte e il solo che avrebbe potuto raggiungere un accordo di pace coi palestinesi, essendo ancorato sia alla politica che all’esercito».

Il consigliere nazionale dei Verdi non esita a paragonare Sharon all’ex capo dello Stato francese Charles de Gaulle.

D’altro canto, non è ancora chiaro quali calcoli abbia fatto Sharon decidendo di ritirarsi dalla striscia di Gaza, «poiché non era particolarmente favorevole a un processo di pace».

Vischer si chiede «se Sharon con questo ritiro non abbia voluto provocare il caos tra i palestinesi per rafforzare così nello stesso tempo le colonie israeliane in Cisgiordania; in altre parole: ritirarci da qui, consolidare la nostra presenza là».

Secondo Vischer, in Israele vi sarà certamente un vuoto. Tutto rimane aperto per le prossime elezioni.

Più Israele scivolerà a destra, più importanti diventeranno le componenti estremiste tra i palestinesi, come ad esempio Hamas.

Anche in Palestina la situazione è però aperta. Un cambiamento generazionale in seno ai vertici dell’Autorità nazionale palestinese è importante per poter compiere dei passi avanti nel processo di pace e per stabilizzare la situazione nei Territori, sostiene Vischer.

Un caposaldo degli ultimi anni

Secondo Thomas Lyssy, portavoce della Federazione svizzera delle comunità israelite, con la fine dell’era Sharon sparisce «uno dei punti fissi della politica israeliana degli ultimi anni». Il dopo Sharon si annuncia dunque molto complicato.

«Al momento, in Israele non ci sono altri uomini forti che dispongono della stessa esperienza», aggiunge Lyssy.

Certo, Amir Perets è un potente sindacalista che dispone del sostegno deciso del suo partito, ma non ha alcuna esperienza su scala internazionale. Da parte sua, Netanyahu, sperimentato dal punto di vista delle relazioni estere, farà fatica ad ottenere in patria una maggioranza per la sua dura linea politica.

La grande maggioranza della popolazione israeliana vuole la continuazione del processo di pace, continua Lyssy. «Ma sarà sicuramente doloroso».

Nonostante la difficile situazione, il portavoce della Federazione si dice comunque fiducioso. «Israele è una democrazia stabile ed ha già risolto numerosi problemi. Supererà anche quello della scomparsa di Sharon».

Un nuovo inizio?

Saïda Keller-Messahli, direttrice della Fondazione per la Palestina, ritiene invece che l’addio ad una personalità così dominante avrà effetti salutari e potrà avviare profonde riflessioni.

Il popolo in Israele potrebbe così rendersi conto che «la politica del pugno di ferro praticata da anni da Sharon non ha per niente aiutato a raggiungere pace e sicurezza».

Israele non potrà evitare di andare incontro ai palestinesi, dice Keller-Messhali, le cui speranze sono ora riposte in Amir Perets. «Un uomo di un’altra generazione: ci sono quasi 50 anni di differenza rispetto al vecchio generale».

In reazione alla dichiarazione dell’Autorità nazionale palestinese, secondo la quale il processo di pace potrebbe essere penalizzato dall’uscita di scena di Sharon, Keller-Messhali dice: «Non c’è alcun processo di pace. La pace non è visibile». Proprio per questo motivo, la direttrice spera in un nuovo inizio.

Un’implosione?

Secondo Jochi Weil-Goldstein, capo-progetto presso medico international svizzera (mi), un’organizzazione che sostiene dei progetti nei Territori palestinesi, il vuoto di potere in Israele potrebbe portare ad un’implosione della società israeliana a tutti i livelli.

Weil parla dell’infinita tragedia israelo-palestinese, della disoccupazione in Israele, della povertà, delle tensioni fra i diversi strati sociali, delle lotte di potere in vista delle elezioni di marzo.

Sulla sponda palestinese la situazione è simile, ma più grave: occupazione continua, nuove colonie, costruzione del muro di separazione e delle recinzioni, disoccupazione e povertà, lotte intestine per le elezioni del 25 gennaio…

Per queste ragioni Weil si augura che le forze democratiche, come ad esempio coloro che appoggiano l’Iniziativa di Ginevra, che si battono per una soluzione di compromesso, aumentino il proprio impegno e collaborino maggiormente, sia in Palestina che in Israele, in vista dei futuri scrutini.

swissinfo, Jean-Michel Berthoud

Ariel Sharon, 77 anni, è il più anziano Primo ministro della storia di Israele.

A rimpiazzarlo alla testa del Governo è il vicepremier Ehud Olmert, incaricato di assicurare l’interim.

Il ritiro di Sharon dalla vita politica non modifica il calendario politico: le elezioni anticipate si terranno come previsto il 28 marzo.

Kadima, il nuovo partito fondato da Ariel Sharon, parteciperà alle elezioni per la prima volta. Questo partito riunisce esponenti moderati del Likud (destra) e forze liberali del partito laburista.

1928: Ariel Sharon nasce il 26 febbraio.
Dal 1948: Comandante dell’esercito israeliano.
1973: I carri armati di Sharon superano il canale di Suez disobbedendo ad ordini superiori. In dicembre viene eletto in parlamento.
1977-1981: Ministro dell’agricoltura sotto Menachem Begin.
1981-1983: Ministro della difesa. Costretto al ritiro dalla critica internazionale in seguito al suo coinvolgimento nel massacro nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila.
2001: Elezione quale Primo Ministro.
2005: In Novembre Sharon annuncia le dimissioni per partecipare a nuove elezioni alla guida di un nuovo partito.

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