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Quando fumo ed esplosioni valgono un Oscar

Una scena del film Battleship, per il quale è stato utilizzato il software Wavelet Turbulence. Universal Pictures

Nessuno svizzero era in corsa per gli Oscar attribuiti la scorsa notte. Tuttavia due zurighesi che stanno dietro le quinte – i cui lavori hanno contribuito negli ultimi anni alla realizzazione di diversi ‘blockbusters’ – sono stati ricompensati con un Oscar tecnico.

Markus Gross, professore di computer grafica al Politecnico federale di Zurigo (ETHZ) e direttore del laboratorio della Disney Research nella città sulle rive della Limmat, spiega a swissinfo.ch i segreti del mix tra scienza, business e arte e perché non ha brevettato il software premiato.

Il 9 febbraio, Gross, il suo ex assistente Nils Thürey e altri due scienziati della Cornell University hanno partecipato a una cerimonia a Beverly Hills, nel corso della quale è stato loro attribuito un Technical Achievement Award, l’Oscar alla tecnica.

Il successo è racchiuso in due parole: ‘wavelet turbulence’ (turbolenza con piccole onde). Nel 2008, hanno sviluppato questo software che permette di calcolare velocemente il fumo e le esplosioni in un film e di riprodurli in maniera realistica.

Questo programma ha attirato l’attenzione della DreamWorks, lo studio fondato, tra gli altri, da Steven Spielberg, che lo ha utilizzato per la prima volta nel film del 2009 Mostri contro Alieni. Da allora il software ha fatto breccia nell’industria cinematografica ed è stato impiegato in circa 20 produzioni hollywoodiane importanti, tra cui Avatar, Battleship, Sherlock Holmes, Alice nel paese delle meraviglie, Hugo Cabret, Kung Fu Panda, The Amazing Spider-Man e i film a venire Iron Man 3 e Man of Steel.

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swissinfo.ch: Immaginiamo che non abbia lavorato su ‘wavelet turbulence’ con l’obiettivo di vincere un Oscar. Come è nata l’idea?

M.G.: Siamo dei ricercatori. E come tali incontriamo spesso dei colleghi a delle conferenze, sviluppiamo idee e diamo vita a collaborazioni per pubblicare eventualmente un articolo o dalle quali potrebbe saltar fuori un’innovazione.

È quello che abbiamo fatto. Ci siamo incontrati alla conferenza annuale ACM SIGRAPH [la più importante in materia di computer grafica] ed è qui che è nata l’idea per questa tecnologia. In seguito l’abbiamo sviluppata e abbiamo presentato la nostra ricerca nel quadro della stessa conferenza. È stata accettata e l’anno seguente abbiamo pubblicato i nostri risultati.

Infine abbiamo diffuso i codici online, mettendoli a disposizione di tutti gratuitamente. Non abbiamo mai brevettato la nostra ricerca o presentato una richiesta di protezione intellettuale.

swissinfo.ch: Per quali ragioni?

M.G.: Pensavamo che se avessimo messo a disposizione gratuitamente l’algoritmo, si sarebbe diffuso più velocemente e avrebbe trovato un’applicazione pratica in tempi brevi.

‘Wavelet turbulence’ è un ottimo esempio di quanto sia essenziale poter accedere liberamente all’innovazione affinché la tecnologia possa essere trasferita rapidamente all’industria. Da un punto di vista accademico, è un sistema sensato, che può permettervi di avere molte ricompense – l’Oscar tecnico ne è un esempio. Certo, da un punto di vista industriale le cose sono diverse: brevettare o proteggere un’innovazione può essere giudizioso.

Penso che se lo avessimo brevettato, gli studi di effetti speciali, sottoposti a una forte pressione finanziaria e con margini di guadagno bassi, non l’avrebbero utilizzato. Gli oneri per le licenze sarebbero stati proibitivi. Lasciando libero accesso e utilizzando un codice ‘open source’, non vi erano invece ostacoli.

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Talenti in viaggio alla ricerca di un successo digitale

Questo contenuto è stato pubblicato al «Devo dire che sono rimasto alquanto sorpreso. Sapevo che la tecnologia che abbiamo sviluppato qualche anno fa era stata ripresa da diverse agenzie specializzate negli effetti speciali e utilizzata per film di Hollywood. Ma non mi aspettavo che l’Accademia ci premiasse e così presto poi», commenta Markus Gross, professore di grafica digitale al Politecnico federale…

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swissinfo.ch: Come è iniziata la collaborazione tra l’ETHZ e Disney?

M.G.: Tutto è cominciato quattro anni fa. Il comparto Disney Research si iscrive nella strategia dell’azienda di focalizzarsi in parte sulla tecnologia. La Disney ha deciso di creare dei laboratori esterni che lavorassero a stretto contatto con le più importanti istituzioni di ricerca mondiali. All’ETHZ ci occupiamo da molto tempo di ‘visual computing’ e di effetti speciali con i computer. La Disney ci ha quindi scelto per creare uno dei suoi due laboratori. L’altro si trova alla Carnegie Mellon University.

swissinfo.ch: Quali sono i vantaggi reciproci?

M.G.: Per l’ETHZ è fantastico. Prima di tutto possiamo confrontarci con un ampio spettro di problematiche molto interessanti nell’ambito dell’entertainment. Possiamo lavorare su nuove tecnologie, che poi saranno magari viste da miliardi di persone nei film o nei parchi tematici. Per il nostro istituto è interessante anche perché questa collaborazione sfocia su molti nuovi brevetti, che appartengono ad entrambi i partner. La Disney, inoltre, sussidia numerosi studenti che lavorano su progetti che la riguardano.

Per la Disney, collaborare con l’ETHZ significa poter disporre di un’infrastruttura intellettuale e fisica di punta. Il laboratorio è stato progettato per permettere un’elevata permeabilità tra le due istituzioni. I ricercatori che assumiamo e che lavorano per la Disney sono implicati nell’insegnamento, seguono i dottorandi e gli studenti a livello di master.

Questa grande permeabilità permette alla Disney di aver accesso a tutta una categoria di ricercatori che difficilmente riuscirebbe ad avere in un normale laboratorio industriale di ricerca.

swissinfo.ch: Miliardi di persone hanno potuto vedere il vostro lavoro, ma spesso un buon effetto visivo è quello che non si nota. È così?

M.G.: Lo scopo è esattamente questo. Con tutti questi effetti speciali, vogliamo imitare la realtà. Eseguiamo delle simulazioni per riprodurre veramente degli effetti fisici. Nel nostro caso, vogliamo creare dei metodi e degli effetti che si avvicinano il più possibile alla realtà.

swissinfo.ch: Va spesso al cinema?

M.G.: Sì, più o meno una volta alla settimana. Guardo due generi diversi di film. I primi sono centrati sugli effetti speciali, quindi pellicole di fantascienza o fantasy. Molti sono in 3D. Guardo questi film non tanto per quello che raccontano, quanto soprattutto per valutare la qualità degli effetti visivi.

Mi piacciono poi i film che hanno una vera storia, nei quali sono gli attori ad essere i protagonisti e non gli effetti speciali. Penso ad esempio a Carnage o a Il discorso di un re.

swissinfo.ch: A cosa sta lavorando in questo momento?

M.G.: Attualmente siamo focalizzati sulle animazioni facciali. Abbiamo sviluppato un sistema per catturare i movimenti del viso che ci permette di ricostruire la geometria facciale addirittura a livello di pori. È una tecnologia fondamentale e facile per qualsiasi sorta di effetti visivi che riguardano il volto umano, che sono tra i più difficili da realizzare.

1986 Laurea in Computer Engineering, Università di Saarland, Germania

1989 Dottorato all’Università di Saarland, Germania

1990-1994 Centro di computer grafica, Università tecnica di Darmstadt, Germania

1995 Abilitazione all’insegnamento, Università tecnica di Darmstadt, Germania

1994-1997 Professore assistente di scienze informatiche, ETH Zurigo

1997- oggi Professore di scienze informatiche, ETH Zurigo

2004-2008 Responsabile dell’Istituto di scienze computazionali

2008 Direttore del Disney Research Zurigo

L’Academy Award for Technical Achievement (Oscar della tecnica) è stato attribuito per la prima volta nel 1931, a partire dalla quarta edizione della cerimonia di premiazione degli Oscar.

Con questo premio si ricompensano «realizzazioni che forniscono un prezioso contributo al progresso del settore» cinematografico.

Dal 1977 la cerimonia si svolge in anticipo rispetto a quella ufficiale dei premi Oscar.

(traduzione e adattamento dall’inglese: Daniele Mariani)

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