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A difesa della biodiversità

Un recente studio dell'Ufficio federale dell'ambiente, delle foreste e del paesaggio ha dimostrato come la biodiversità sia in pericolo anche in Svizzera Keystone

A partire da domenica, i 168 Stati firmatari della Convenzione ONU sulla biodiversità, tra i quali la Svizzera, discutono all'Aja per salvaguardarne il futuro.

Il concetto, come la maggior parte delle questioni ambientali, ha assunto importanza dopo il vertice della terra di Rio nel 1992. Così il testo di allora: “I beni ed i servizi essenziali sul pianeta dipendono dalla varietà e dalla variabilità di geni, specie, popolazioni ed ecosistemi”. Foreste, savane, deserti, fiumi e laghi intatti sono dunque alla base di risorse biologiche che ci “forniscono cibo, indumenti, alloggio, medicine e colmano i nostri bisogni spirituali”.

Da allora il progressivo sfruttamento ambientale e la distruzione di molti habitat hanno tuttavia ulteriormente ridotto questa ricchezza biologica. “Nel mondo così come in Svizzera!”, ricorda a swissinfo l’ambasciatore Beat Nobs, capo della delegazione elvetica alla conferenza.

Patrimoni da valorizzare e foreste da proteggere

I temi in discussione in Olanda dal 7 al 19 aprile sono fondamentalmente due. Da una parte si vorrebbero meglio ripartire i benefici generati dallo sfruttamento dei patrimoni genetici di piante e animali. Si tratta di trovare equilibri a soddisfazione dei paesi del Sud, che dispongono delle risorse naturali, e delle industrie del Nord, che hanno invece i mezzi e le capacità per sfruttarle. Una questione già oggetto di aspri dibattiti in passato.

L’incontro volge inoltre alla creazione di un programma di conservazione e di sfruttamento sostenibile delle foreste. “Una specie di management a lungo termine delle zone boschive” precisa Beat Nobs. Il tutto per contrastare deforestazione selvaggia ed esportazione illegale di legname.

Un messaggio forte per Johannesburg

L’appuntamento è regolare. I rappresentanti dei 168 Stati si ritrovano infatti a parlare di biodiversità ogni due anni. La conferenza dell’Aja è la 6. della serie.

“Questo tipo d’incontro è effettivamente indispensabile per discutere di problemi ambientali a livello globale” sostiene Clement Tolusso, portavoce dell’associazione ecologista Greenpeace. Quest’anno poi, la conferenza precede di pochi mesi il vertice mondiale di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile.

“All’Aja lavoreremo proprio in preparazione di Johannesburg, summit che segnerà il decimo anniversario di Rio 1992” rileva Beat Nobs. “Anche la biodiversità fa parte degli elementi che caratterizzano il concetto di sviluppo sostenibile. Purtroppo è spesso dimenticata e proprio per questo dalla conferenza, che avrà anche una componente ministeriale, dovrà scaturire un messaggio forte per Johannesburg”.

Gli Stati Uniti osservano

“Sono ottimista” dice a swissinfo il capo della delegazione elvetica. “Le possibilità di raggiungere accordi soddisfacenti adottando dei meccanismi efficaci non mancano. Non vedo inoltre particolari problemi politici all’orizzonte”.

Meno ottimista il portavoce di Greenpeace. “Appuntamenti del genere sono sempre interessanti per valutare le situazioni. Meno per ottenere dei risultati concreti”.

Il tutto comunque si svolgerà senza la partecipazione attiva degli americani. Come nel caso del protocollo di Kyoto, gli USA non hanno firmato la Convenzione delle Nazioni unite sulla biodiversità e quindi saranno all’Aja soltanto come osservatori. “Ma, analogamente a quello che accadeva alla Svizzera prima dell’adesione all’ONU, ciò non va che a loro svantaggio” commenta Beat Nobs.

Rio, 10 anni dopo

Il protocollo di Kyoto sul clima, o almeno una sua versione light, è acquisito. In Svizzera è in fase di preparazione il messaggio per le camere federali che lo potrebbero ratificare già nel corso dell’estate. Non mancano inoltre numerosi accordi internazionali a sostegno della vivibilità a lungo termine del pianeta. L’ambiente è divenuto uno dei temi chiave nelle agende dei grandi summit internazionali.

“Dal 1992 si sono fatti passi da gigante, soprattutto dal punto di vista giuridico e di sensibilità verso i problemi ambientali” sottolinea Beat Nobs. “In molti casi state fissate delle regole. Kyoto, ad esempio, definisce degli obiettivi concreti per ogni Stato. Ora che il varco è stato aperto, tali obiettivi potranno essere eventualmente rinforzati in futuro”.

A tinte più fosche il giudizio di Greenpeace. “Non possiamo ritenerci soddisfatti. Gli accordi si basano sempre soltanto sui più piccoli denominatori comuni”. Secondo il portavoce Clement Tolusso, “l’esempio del protocollo di Kyoto è un caso sintomatico di come, in negoziati di questo genere, valga più una cattiva pace che una buona guerra. Da una richiesta iniziale di riduzione delle emissioni nocive del 20%, l’accordo finale si limita al 5%. E ciò, purtroppo, non è sufficiente!”.

Marzio Pescia

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