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Alla testa di un colosso

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Con Unia, frutto della fusione di quattro organizzazioni dei lavoratori, è nato il più grande sindacato che la storia svizzera ricordi.

Intervista a Renzo Ambrosetti, co-presidente insieme a Vasco Pedrina del nuovo sindacato.

Lei si trova ora a capo di un sindacato che conta oltre 200’000 iscritti e più di 900 impiegati. Un colosso, nel panorama sindacale svizzero. Come si sente in questa posizione?

È un momento di gioia. Ma sento evidentemente anche una grossa responsabilità. Le aspettative nei confronti di Unia da parte degli iscritti e della popolazione sono elevate.

E ci rendiamo conto di essere osservati con cautela e preoccupazione da parte dei datori di lavoro. Questo ci fa pensare che siamo sulla strada giusta: se dovessimo passare inosservati agli occhi dei nostri partner sociali, avremmo sbagliato qualcosa.

Per gli iscritti ai sindacati che sono confluiti in Unia, questa fusione cosa significa?

Per gli iscritti vi saranno molti vantaggi. Il nuovo sindacato ha degli obiettivi strategici ben chiari. Prima di tutto, vogliamo essere ancora più vicini ai nostri membri sul posto di lavoro e nelle diverse regioni del paese. Unire due grosse strutture sindacali – oltre ai sindacati più piccoli – ci permette di sfruttare meglio determinate sinergie.

In tutto il territorio nazionale avremo pressappoco 100 segretariati. Le prestazioni che abbiamo fornito finora ai nostri membri saranno garantite, e anzi speriamo di svilupparle ulteriormente.

In terzo luogo, vogliamo ampliare la nostra attività nell’ambito dei contratti collettivi di lavoro. Si tratta da una parte di consolidare, e se possibile migliorare, la copertura contrattuale laddove questa già esiste, dall’altra di mettere piede in quei settori professionali che oggi sono dei deserti sindacali o che hanno coperture contrattuali insufficienti.

Penso in particolare al settore terziario. È un settore in cui il precariato è molto diffuso e dove i lavoratori possono trarre particolare vantaggio dalla presenza di un sindacato. E poi è un settore in espansione.

Lei parla della nascita di Unia come di un progetto strategico. Non vi sono anche motivi finanziari per la fusione?

No, la fusione non è dovuta a motivi finanziari, a differenza di quanto è avvenuto in molti paesi d’Europa. Qui spesso i sindacati si sono uniti perché avevano problemi finanziari.

La nostra “cassa di guerra” era invece ben rifornita e lo stesso vale per il SEI. Avremmo potuto continuare ancora per decenni ad agire separatamente. Questo non ci avrebbe però permesso di raggiungere gli obiettivi strategici che ho indicato. Anzi, la concorrenza reciproca sarebbe cresciuta.

In ogni caso, quando si parla di fusione, non bisogna pensare all’industria privata. Noi abbiamo seguito un processo legittimato democraticamente dalla base. Non è stata la decisione a porte chiuse di un consiglio di amministrazione. È per questo che sarebbe meglio parlare d’integrazione piuttosto che di fusione.

Fin dalla nascita del progetto Unia si è parlato molto delle differenze di cultura fra FLMO e SEI. La prima sarebbe rimasta ancorata alla concezione della pace del lavoro, il secondo sarebbe più combattivo. Queste differenze esistono ancora? E se sì, che influsso avranno su Unia?

Si tratta più che altro di luoghi comuni, anche se con qualche radice storica. Anche il SEI rispetta la pace del lavoro quando la situazione lo consente. D’altro canto la FMLO ha dimostrato negli ultimi anni la sua capacità di mobilitazione e di lotta.

La scommessa di Unia – ed è una scommessa che vinceremo – è di far collaborare queste due culture, non in maniera che una escluda l’altra, ma in modo che la futura identità Unia prenda il meglio delle diverse identità, delle diverse esperienze, dei diversi sindacati che partecipano a questo progetto.

Negli ultimi anni abbiamo lavorato insieme, ci siamo sostenuti a vicenda. Certi timori o certi pregiudizi, che effettivamente esistevano, sono scomparsi. Anche i militanti si rendono conto che i problemi di base sono uguali per tutti.

Lei ha detto che la nascita di Unia è stata osservata con una certa preoccupazione da parte dei datori di lavoro. Pensa che con Unia i rapporti tra le parti sociali cambieranno?

Dipende. Sono convinto che con datori di lavoro intelligenti, che si rendono conto dell’utilità di disporre di sindacati rappresentativi, le relazioni continueranno ad essere corrette. D’altra parte, anche noi abbiamo bisogno di partner sociali rappresentativi.

Per contro, avremo problemi con gli ideologi del neoliberismo, con gli ideologi del meno Stato, con quanti vogliono distruggere i diritti sociali acquisiti. Avremo problemi con l’UDC e con quei settori borghesi – anche nelle associazioni padronali – che ci combattono per ragioni di principio.

Spero che nelle associazioni padronali prevalga chi ha sale in zucca, non chi vuole il confronto duro. Perché se vogliono il confronto, siamo assolutamente pronti ad affrontarlo e capaci di reggerlo. Ma a medio e lungo termine un’accesa conflittualità penalizza tutti.

Ora alla testa di Unia si trovano due rappresentanti della minoranza svizzera di lingua italiana, lei e Vasco Pedrina. È un caso o ci sono ragioni più profonde?



Per certi versi è un caso. Io sono stato il primo ticinese presidente della FMLO nei 116 anni di storia del sindacato. Nel SEI la situazione è invece diversa. Gli iscritti di lingua italiana hanno un maggior peso. Pedrina è già il secondo presidente ticinese.

Nel mio caso, credo che il fatto di essere ticinese, che parla le tre lingue nazionali, abbia fatto sì che fossi considerato una figura d’integrazione. E poi, da ticinesi, provenienti da una cultura minoritaria, Pedrina ed io siamo abituati a trattare con la maggioranza svizzero-tedesca, a mediare.

Intervista swissinfo: Andrea Tognina

UNIA è il frutto della fusione tra il Sindacato edilizia ed industria (SEI), il Sindacato dell’industria, della costruzione e dei servizi (FLMO) e la Federazione svizzera dei lavoratori del commercio, dei trasporti e dell’alimentazione (FCTA). Nel nuovo sindacato confluisce anche unia, il sindacato dei servizi fondato da SEI e FLMO nel 1996.

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