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Berna sempre a fianco dell’Europa dell’Est

La Svizzera contribuisce alla formazione degli apprendisti, come in questa scuola in Albania Keystone

La Svizzera continuerà a sostenere la transizione verso la democrazia e l'economia di mercato nell'Europa sudorientale, nonostante le difficoltà incontrate in paesi come l'Albania, la Macedonia e la Bulgaria.

Secondo la Dsc ed il seco, anche la Confederazione potrà trarre vantaggi dal suo aiuto all’estero.

La Svizzera continuerà ad appoggiare il consolidamento della democrazia e dell’economia di mercato nell’Europa orientale, nonostante le difficoltà che ostacolano la transizione politica nei paesi dell’est.

“È nell’interesse del nostro paese”, affermano i responsabili della Direzione dello sviluppo e della coeperazione (Dsc) e del Segretariato di stato dell’economia (seco), riuniti martedì a Zurigo per l’annuale conferenza sulla cooperazione svizzera con l’Europa dell’Est e la Comunità degli stati indipendenti (Csi).

Berna consacra ogni anno oltre 40 milioni di franchi in favore della Macedonia, dell’Albania e della Bulgaria, i tre paesi al centro della conferenza.

Per il direttore della Dsc Walter Fust, “questi soldi sono ben investiti”.

“L’aiuto ai paesi di questa regione dell’Europa permette, oltre ad aprire nuove porte a livello economico, di affrontare le questioni legate alla migrazione che toccano direttamente la Svizzera”, prosegue Fust.

L’aiuto svizzero dopo la caduta del Muro

Dal 1990, la Svizzera ha speso quasi 3 miliardi di franchi per sostenere lo sviluppo dei paesi dell’ex blocco comunista.

Dopo la caduta del Muro di Berlino, Berna ha infatti deciso di aiutare, oltre ai paesi del Terzo mondo, anche quelli dell’Europa sudorientale che hanno applicato delle riforme orientate verso un sistema democratico. Il contributo a questi paesi rappresenta un elemento importante della politica estera e della sicurezza elvetica.

L’aiuto svizzero è fornito sottoforma di cooperazione tecnica e di assistenza finanziaria. Mentre nei primi anni era soprattutto a favore dell’Europa centrale (Polonia e paesi baltici), lo sforzo è diretto dal 1995 ai paesi europei del sud-est, in particolare alla regione dei Balcani ed alla Comunità degli Stati indipendenti.

Transizione non terminata

Agli occhi del direttore della Dsc, la transizione non è ancora terminata.

“La situazione politica si è leggermente calmata, ma ci sono ancora parecchi problemi da risolvere. Numerose persone sono inoltre deluse dai cambiamenti”, afferma Fust.

“Democrazia ed economia di mercato sono sì sinonimi di libertà e di nuove possibilità per gli abitanti della regione, ma bisogna anche dire che molta gente non ha modo di approfittarne”.

Walter Fust ricorda ad esempio che “in certe zone, la situazione è addirittura peggiore di quella durante l’epoca comunista”.

Alcuni oratori intervenuti alla conferenza, in provenienza appunto da Albania, Macedonia e Bulgaria, hanno illustrato queste difficoltà. In particolare, hanno ricordato l’enorme fossato che esiste tra ricchi e poveri, tra le città e la campagna o ancora le tensioni etniche e religiose che stanno scombussolando la Macedonia.

La riuscita nella crescita economica

Erhard Busek, coordinatore europeo del Patto di stabilità per l’Europa sudorientale, fa notare che a differenza della Germania dopo la Seconda guerra mondiale, la regione dei Balcani non è stato teatro di uno sviluppo economico: “Non hanno beneficiato di un Piano Marshall e le costanti discussioni attorno ai problemi di natura etnica impediscono la crescita economica”.

Per il responsabile del seco Jean-Daniel Gerber, la popolazione dell’Europa sud-orientale potrà avere una chance soltanto se si procederà ad una crescita economica.

“Sono comunque molto ottimista”, dichiara Gerber, citando l’esempio senza precedenti dell’adesione di otto paesi dell’ex blocco comunista all’Unione europea.

Coesione europea

Il processo di transizione è iniziato nel 1998. “Oggigiorno, questi otto paesi (ndr: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia ed Ungheria) non hanno più bisogno della cooperazione elvetica”, rileva Gerber.

La Confederazione non rinuncia però al suo sostegno. Berna partecipa infatti agli sforzi di coesione dell’Ue allargata, contribuendo con un credito di un miliardo di franchi distribuiti su cinque anni.

Un contributo definito “volontario” dal direttore del seco, che insiste ugualmente sull’interesse della Svizzera: “Anche Berna approfitterà dell’allargamento dell’Ue”.

Jean-Daniel Gerber spera comunque che questo contributo alla coesione – che dev’essere “neutro dal punto di vista del budget” – non avvenga solamente a scapito del lavoro della Dsc e del seco. Anche altre fonti devono contribuire allo sforzo finanziario.

swissinfo e agenzie

La Confederazione fornisce ogni anno oltre 40 milioni di franchi in favore della Macedonia, dell’Albania e della Bulgaria.

Berna intende così consolidare la transizione verso la democrazia e l’economia di mercato.

Il Consiglio federale voleva inizialmente ridurre il prossimo credito quadro di 1,2 milioni di franchi a sostegno dello sviluppo dei paesi dell’ex blocco comunista.

Il Parlamento ha tuttavia recentemente deciso di prolungare l’attuale credito di 400 milioni di franchi su due anni.

La 9. Conferenza sulla cooperazione svizzera nell’Europa dell’Est si è chinata sul tema della transizione politica nei paesi dell’ex blocco comunista.
La Direzione dello sviluppo e della cooperazione, che coordina i progetti umanitari e di aiuto allo sviluppo, disponeva nel 2003 di un budget di 1,2 miliardi di franchi.
3 miliardi di franchi i contributi elvetici totali dal 1990 a sostegno della transizione nei paesi dell’est.

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