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Brevetti genetici sotto la lente dell’etica

La presidentessa della Commissione etica, Andrea Arz de Falco Keystone

La Commissione federale d'etica per l'ingegneria genetica chiama a raccolta: le leggi sui brevetti non bastano a regolare un settore molto sensibile.

È cronaca recente: dei contadini americani sbarcano in Svizzera per fare pubblicità pro o contro l’impiego di piante geneticamente modificate. Ad invitarli sono, secondo il caso, le organizzazioni non governative e terzomondiste, o l’industria chimica e biogenetica. Sui due fronti si critica o promuove una causa che ancora non trova consenso, ma che quotidianamente propone novità sfornate dai laboratori di ricerca.

Da una parte ci si aspettano miglioramenti nelle coltivazioni e progressi determinanti nella cura di malattie difficili. Dall’altra non si conoscono ancora le conseguenze che l’intervento sul patrimonio genetico può avere sulla biodiversità e sulla salute dell’ambiente e delle generazioni future.

Malgrado la semina di vegetali modificati sia ancora proibita in Svizzera e le terapie per il cancro siano ancora a livello embrionale, i costi di sviluppo e di ricerca ci sono e l’applicazione commercializzabile si impone per poter rifondere gli investimenti. Si dimostra quindi centrale la possibilità di brevettare le proteine o i segmenti di DNA selezionati, per proteggere il lavoro e monetarizzare il possibile risultato. Le aziende attive nel campo tengono a registrare anche traguardi parziali e, in anticipo, sviluppi futuri per non perdere una sola possibilità di guadagno. Non solo in Svizzera.

La ricerca di principi univoci

Nella Costituzione esiste un articolo (il 24novies) che protegge l’uomo e il suo ambiente dagli abusi della tecnologia riproduttiva e dell’ingegneria genetica. Ma sempre più pressante è la richiesta di regolamentare gli aspetti positivi della ricerca e la diffusione sul mercato.

Il diritto sui brevetti elvetico non dispone ancora di clausole che chiariscano il rapporto con gli organismi geneticamente modificati. Nell’applicazione valgono ancora – ha specificato la relatrice della Commissione etica, Andrea Arz de Falco durante una tavola rotonda – le regole utilizzate per gli oggetti. “Brevettando un tavolo – ha proseguito il filosofo Kalus Peter Rippe – si brevetta il disegno e la scelta dei materiali, ma nel caso del patrimonio genetico il discorso rimane aperto”.

Da alcuni anni anche la Svizzera cerca di recuperare il terreno perduto in un ambito tanto sensibile e strategico per una buona fetta di industria nazionale. Da una mozione parlamentare è partito il processo di revisione che dovrebbe chiudere la falla normativa. L’Europa unita dispone per esempio di una regolamentazione dal 1998 ed è prossimo un ulteriore adattamento.

Ma le disposizioni, messe in consultazione dal governo, non soddisfano la commissione etica che intende aprire un dibattito ampio sui “nuovi attacchi alla dignità umana”. “Deve venir ancorato – ha detto Rippe come relatore di un gruppo di lavoro speciale – il principio di divisione tra scoperta e invenzione”. Nel caso particolare dovrebbe poter essere registrato all’ufficio brevetti un metodo di rilevazione, dei processi o dei prodotti d’analisi, ma non il patrimonio genetico o una sezione di questo che può già esistere in natura e di conseguenza non appartiene a nessuno.

La commissione parzialmente divisa

Le riflessioni e i suggerimenti che la commissione propone alla legislazione federale, hanno una portata ben superiore a quella strettamente legale. L’intervento sulla vita non è cosa da poco, né in campo umano, né in campo vegetale. Dalla giornata di studio di Berna, si invita a proseguire la ricerca per la conoscenza, dall’altra bisogna riflettere sulle possibili conseguenze dei frutti del sapere che abbandonano i laboratori.

Fondamentale è dunque, e qui tutti i dieci membri sono d’accordo, che il lavoro dei ricercatori venga onorato, perché la ricerca è nell’interesse di tutti. Ma anche i risultati dovrebbero essere a disposizione, per garantire un vero progresso collettivo della società, evitando la creazione di monopoli del sapere che potrebbero accentuare ulteriormente le discrepanze e le dipendenze sociali non solo a livello nazionale.

Anche sulla necessità di una regolamentazione elvetica, in linea con le risoluzioni della conferenza dell’ONU svoltasi a Rio nel ’92 e con il diritto europeo, c’è un consenso generalizzato. Ma su punti fondamentali rimane il dissenso. Il limite fra vita e cosa, è sottile. E un gene selezionato e modificato è brevettabile? E poi, sulle conseguenze di un’ampia diffusione di organismi geneticamente modificati, la frattura è completa. Non c’è accordo fra scettici che preferiscono il divieto preventivo e gli ottimisti più permissivi.

Il rapporto e gli studi della Commissione federale d’etica per l’ingegneria genetica offrono ora una nuova base di discussione. Alcuni punti hanno trovato delle risposte per il comportamento auspicato dallo Stato: un ruolo relativamente liberale, ma presente. Una direzione confermata già dal popolo nel giugno 1998, con il rifiuto di un’iniziativa massimalista che voleva limitare fortemente studio e diffusione delle tecnologie genetiche.

Daniele Papacella

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