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Centro svizzero di Milano: le ragioni del portafoglio

In quanto Senatore della Repubblica Italiana eletto all'estero e residente in Svizzera da oltre 47 anni l'annuncio che le autorità elvetiche intendono vendere il Centro svizzero di Milano non mi lascia indifferente.

Naturalmente non è mia intenzione entrare nel merito o fare valutazioni sulle decisioni della Confederazione.

Vorrei solo fare una piccolissima riflessione che inquadra questa scelta in un disegno che va oltre le mere considerazioni di politica e di gestione delle finanze svizzere. Come ho già avuto occasione di affermare in un’intervista alla Televisione della Svizzera italiana, “non mi sono mai sentito tanto svizzero come da quando siedo nel Senato della Repubblica Italiana”.

Un pezzo di storia svizzera

Il Centro svizzero di Milano è un pezzo della storia della Svizzera moderna all’estero. Un riferimento importante per la città di Milano e per l’Italia tutta. Tralascio in questa sede quelle considerazioni – rilevanti e a mio modo di vedere tutt’altro che trascurabili – di natura architettonica. Non vi è dubbio, infatti, che il Centro svizzero di Milano sia una testimonianza notevole dell’architettura svizzera nel mondo.

La riflessione sulla quale desidero richiamare l’attenzione è la seguente: oggi in tutti i Paesi ricchi si vive, spesso subendola, la gestione della cosa pubblica avendo presenti le sole discriminanti riconducibili alla politica economico-finanziaria e al bilancio dello Stato. Sacrosanta preoccupazione e giusto dovere dei politici e dei governanti.

Ma è mai possibile che siano sempre le attività di conoscenza, di incontro tra popoli e culture diverse, la valorizzazione e la diffusione della nostra immagine, delle nostre esperienze verso altri Paesi e altre etnie a doverne fare le spese?

Il rischio della svendita

È un problema comune a quei Paesi che siamo soliti definire sviluppati. I quali, più che affrontarlo, nei fatti, lo subiscono. Il Ministero degli Affari Esteri italiano, ad esempio, sta lavorando ad un piano di valorizzazione del patrimonio immobiliare italiano nel mondo. Ma credo che per valorizzazione molti al Ministero degli Affari Esteri e al Ministero delle Finanze italiani intendano dismissione e vendita di una buona parte del patrimonio immobiliare nazionale all’estero.

Ritengo questo modo di pensare e quindi di agire gravemente miope e sterile.

L’importanza della presenza all’estero

In un mondo economicamente globalizzato si pensa che non siano più necessarie rappresentanze diplomatiche, culturali e istituzionali all’estero, visto che le grandi industrie e il grande commercio viaggiano per conto loro. Si dimentica che nei nostri Paesi le piccole e medie industrie sono la spina dorsale delle nostre economie e non hanno mezzi autonomi per competere sul mercato mondiale. Hanno bisogno del sostegno istituzionale.

Oggi viviamo con molte difficoltà i processi d’integrazione delle popolazioni migranti nei Paesi ricchi. Si tenta di esportare la democrazia con la forza delle armi, si pensa di risolvere i problemi internazionali con la ragione dell’economia e delle forze militari invece di operare per la realizzazione di un mondo più giusto, più equo e più coeso, con la forza della ragione e della conoscenza reciproca delle innumerevoli culture che animano il nostro mondo.

In questo scenario, sono convinto che le autorità competenti, accanto alle necessarie e doverose valutazioni economiche, non possano non inserire anche questi altri elementi, che, se non possono predominare, in sede di decisione devono almeno avere il peso che inequivocabilmente meritano.
Ci vogliono decenni per realizzare testimoni della storia e rapporti tra le nazioni. Ma basta una decisione per azzerarli.

Non c’è nessuna visione nostalgica in questa mia riflessione. No. C’è solo la speranza di una società internazionale, che costruisca i suoi rapporti non solo su basi economiche, ma anche su rapporti culturali, sulla conoscenza reciproca, sulla diffusione e la valorizzazione dei principi fondanti delle nostre democrazie.

In questi giorni la comunità internazionale sta prendendo coscienza dei drammatici mutamenti climatici che si profilano all’orizzonte.
Mutamenti angoscianti, venutisi a creare in buona parte per responsabilità umana. Mutamenti che prefigurano movimenti di popolazioni, come l’umanità sin qui non ha mai vissuto.

Se vogliamo che le future generazioni siano in grado di vivere i flussi migratori in modo il meno traumatico possibile, bisogna incoraggiare, incentivare, sviluppare scambi, incontri, conoscenze e riconoscenze reciproche delle culture e dei valori umani di tutte le popolazioni del mondo.

In questo campo nulla è mai acquisito una volta per sempre.

Senatore Claudio Micheloni, Roma

Le opinioni espresse in questa rubrica non riflettono necessariamente la visione di swissinfo.

Nato a Campli in provincia di Teramo (Italia) nel 1952, emigra con la famiglia nel 1960 in Svizzera dove tuttora risiede nel cantone di Neuchâtel. È sposato e padre di due figli.

Di formazione è disegnatore progettista del genio civile. Prima di assumere numerosi incarichi professionali di impegno sociale e politico è stato attivo nel settore come libero professionista.

Claudio Micheloni è stato eletto nel Senato italiano alle ultime elezioni politiche. Fa parte della coalizione di maggioranza condotta dal presidente del Consiglio Romano Prodi.

Dal 1997 al 2000, Claudio Micheloni è stato membro della Commissione Federale Svizzera per gli Stranieri, organo consultivo del Governo e del Parlamento svizzeri.

Dal 1997 è presidente della Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera.

Dal 2002 al 2006 è stato segretario generale del Forum per l’integrazione delle migranti e dei migranti in Svizzera.

Nell’aprile 2006 è stato eletto senatore della Repubblica italiana nella Circoscrizione estero, ripartizione Europa. Appartiene al Gruppo dell’Ulivo.

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