i pionieri della scoperta dei nuovi mondi
Oltre ai nove pianeti del nostro sistema solare, esistono un'infinità di altri mondi. Nel 1995, due astronomi svizzeri ne hanno trovato la prima prova.
In seguito alla scoperta di Michel Mayor e Didier Quéloz, la lista di questi pianeti che girano attorno a Soli lontani non finisce di allungarsi. Sempre con il contributo svizzero.
Lo splendore del cielo notturno ha sempre affascinato l’uomo. Ma gli ci sono voluti dei millenni per capire che le stelle che lo ornano sono altrettanti Soli lontani.
Grazie a telescopi sempre più potenti, si sono scoperte delle immense nebulose nella profondità dello spazio, magari proprio dove, alcuni mesi prima, una stella si era all’improvviso fatta incredibilmente luminosa prima di spegnersi.
A forza di osservazioni, calcoli e ragionamenti, l’uomo ha finito per arrendersi all’evidenza: come lui, le stelle nascono e muoiono. E quando esplodono, la materia di cui sono composte forma queste famose nebulose. Quando poi queste ultime si condensano nuovamente, creano nuove stelle …ed i loro pianeti.
Esattamente come era accaduto per il nostro sistema solare, 4.6 miliardi di anni fa.
Sentire l’invisibile
Teoricamente, il modello che fa dei pianeti un sotto-prodotto del processo di formazione delle stelle esiste da decenni. Ma gli scienziati hanno sempre preferito le prove alla teoria.
Il problema è che le stelle sono davvero lontane. A distanze di anni luce (9500 miliardi di km), i loro pianeti, che non emettono luce propria, sono fuori dalla portata dei telescopi. Un po’ come se si cercasse di distinguere una formica sulla luna. Missione impossibile? No, perché se il pianeta è invisibile è tuttavia possibile notare il modo in
cui la sua massa perturba la traiettoria della sua stella nel vasto movimento di rotazione della galassia.
Movimenti a zig-zag
In effetti, un pianeta non gira esattamente attorno al centro della sua stella. I due corpi ruotano attorno al centro di gravità del sistema di masse che formano nel loro insieme. E così, la stella non si sposta sulla sua orbita seguendo una linea retta ma la sua traiettoria è scossa da piccole oscillazioni.
Vista dalla terra, la sua velocità non è dunque costante. Ogni tanto si avvicina un pochino per poi allontanarsi di nuovo. Gli astronomi parlano dell’effetto Doppler, che rende la luce di un corpo celeste più
blu quando si avvicina e più rossa durante il movimento opposto. Se si considerano le distanze, questi movimenti sono minuscoli. Per scoprirli occorrono dunque spettrometri (strumenti d’analisi della luce) di una precisione estrema. Qualità tipicamente svizzera.
Caso fortunato
Come numerose altre scoperte scientifiche, quella fatta nel settembre 1995 da Michel Mayor e Didier Quéloz dell’Osservatorio di Ginevra è stata frutto del caso.
Durante un anno, i due astrofisici hanno puntato il loro telescopio sulla costellazione di Pegaso alla ricerca di nane brune. Queste specie di “stelle abortite” sono delle
bolle di gas di massa non sufficientemente grande perché al loro interno si sviluppi una reazione termonucleare che le trasformerebbe in nuovi Soli.
Mayor e Quéloz trovarono invece un pianeta. E che pianeta: 700 volte la massa della terra, ruotante attorno alla 51esima stella di Pegaso, situato a 48 anni-luce dal nostro mondo.
La sorpresa non fu tanto nella scoperta in quanto tale, attesa da tempo, ma nelle sue caratteristiche.
Un pianeta da incubo, al quale assomigliano la maggior parte degli altri circa 200 esopianeti scoperti da allora: immense bolle di gas che ruotano molto velocemente e molto vicino a stelle che le surriscaldano
fino a centinaia o migliaia di gradi.
La caccia continua
Evidentemente, date le loro caratteristiche, questi mondi lontani sono tutt’altro che adatti ad ospitare la vita. Ma non è scontato che sarà sempre così.
Se i pianeti sono un sottoprodotto della formazione delle stelle, la vita dev’essere un sottoprodotto della formazione dei pianeti. Michel Mayor ne è convinto. E lo sono pure numerosi altri scienziati.
La caccia dunque continua. Alla ricerca di nuovi pianeti rocciosi, sufficientemente lontani dai loro Soli perché le loro temperature possano essere più adatte alla vita.
Una delle ultime scoperte (primavera 2006) della squadra di Michel Mayor è molto promettente: un sistema di tre pianeti, due dei quali rocciosi, a circa 40 anni-luce dalla terra.
Ma per saperne di più, l’uomo dovrà presto inviare nuovi telescopi nello spazio unicamente destinati a questa missione, il nuovo “Graal” degli astrofisici.
swissinfo, Marc-André Miserez (traduzione : swissinfo, Marzio Pescia)
Il metodo più comune per scoprire gli esopianeti è quello delle cosiddette “velocità radiali”, che consiste nel misurare le variazioni di velocità delle stelle.
In altri casi, quando il pianeta passa davanti alla sua stella, è possibile notare una piccola alterazione della luminosità di quest’ultima.
Quando due stelle sono allineate, la più vicina può poi creare una “lente gravitazionale” e permettere così di “vedere” eventuali pianeti nei pressi della più lontana.
Nei prossimi anni, le agenzie spaziali europea e americana lanceranno una flotta di telescopi spaziali che si dedicheranno unicamente alla ricerca di esopianeti.
Il 6 ottobre 1995, gli svizzeri Michel Mayor e Didier Quéloz annunciano la scoperta del primo esopianeta, notato misurando le variazioni di velocità della stella Pegaso 51 grazie ad un telescopio dell’Osservatorio dell’alta Provenza (Francia) associato allo spettrometro Elodie.
Questo strumento per analizzare la luce, frutto di una collaborazione elvetico-francese, è l’elemento portante della storica scoperta. Sarà seguito da Coralie, poi da HARPS, capace di misurare delle variazioni di velocità dell’ordine di 3 km/h per stelle lontane centinaia di migliaia di anni luce.
Dei circa 200 esopianeti identificati sino ad oggi, circa la metà sono stati scoperti dalla squadra di Michel Mayor.
Le scoperte sono valse al suo autore una miriade di premi svizzeri ed internazionali. In attesa di un eventuale Premio Nobel per la fisica.
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