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La città ideale? All’estremo Nord, tra ghiacci e orsi polari

Sébastien Barrault vive sull'isola di Spitzberg dal 2005 swissinfo.ch

In una terra in gran parte ricoperta da ghiaccio e neve, dove l'orso bianco domina la banchisa, il vallesano Sébastien Barrault ha trovato il suo angolo di paradiso.

Nell’arcipelago di Svalbard, in Norvegia, ha deciso di vivere secondo i ritmi dettati dalla luce e dalla notte polare, a stretto contatto con la natura selvaggia.

A mille chilometri oltre il tetto d’Europa di Capo Nord, l’arcipelago di Svalbard non è certo tra i luoghi più ospitali del pianeta. Con improvvise tempeste, freddo e ghiaccio la natura ribadisce qui la sua supremazia sull’uomo.

E poi c’è l’orso polare, animale dai contorni leggendari, la cui sola presenza – più che il rischio effettivo di incrociarne il cammino – basta a condizionare la vita di tutti i giorni.

«L’orso bianco affascina e fa paura. Ma se ognuno rispetta il proprio territorio, non ci sono problemi», dice a swissinfo Sébastien Barrault, 30 anni, sull’isola di Spitzberg dal 2005.

Il fucile, a tracolla o fissato alla motoslitta, è comunque d’obbligo. L’orso non sempre conosce i suoi limiti.

Contagiato dal «virus di Spitzberg»

Sébastien, vallesano di Sion, è approdato sull’arcipelago norvegese per approfondire le sue conoscenze sul ghiaccio all’Università di Svalbard (UNIS).

«Vivere e lavorare in questo contesto è un’opportunità fantastica. Inoltre qui c’è qualcosa di magico: il contatto con la natura, i grandi spazi e le notti interminabili».

Il «virus di Spitzberg» lo ha contagiato durante il suo primo soggiorno nel gennaio 2004. Doveva rimanere sull’isola per sei mesi – per un corso su neve e ghiaccio – ma poi ha deciso di prolungare sino alla fine dell’anno. «Ho voluto seguire tutto il ciclo della luce polare», afferma.

Di ritorno in Vallese, l’idea di ripartire ha rapidamente preso forma. «Ho cercato lavoro in Svizzera come ingegnere in meccanica del ghiaccio. Sono però capitato solamente su annunci che ricercavano esperti per costruire macchine per gelati…», ricorda.

«Poi il mio professore all’UNIS mi ha contattato proponendomi un lavoro di dottorato. Non ci ho pensato due volte».

La città perfetta all’estremo Nord

A Longyearbyen, Sébastien vive con la sua compagna Elin in un prefabbricato dotato di tutti i comfort. Ai piedi del divano, una pelle di foca funge da tappeto. Un classico dell’arredamento artico.

Scrutando le casupole di legno del capoluogo dell’arcipelago dall’ampia finestra del salotto, parliamo dei diversi vantaggi che offre Longyearbyen (2’000 abitanti). «Questa è una zona tax-free e i contratti di lavoro sono uguali per tutti», indica Sébastien.

Ma c’è di più. Dalle parole del ricercatore elvetico, la cittadina più settentrionale del globo appare addirittura un luogo idilliaco. «Non c’è disoccupazione, qualsiasi presenza militare è proibita e non esiste criminalità: le porte di casa e le automobili rimangono aperte e se si lascia una borsa da qualche parte, si è sicuri di ritrovarla esattamente allo stesso posto».

Non sorprende quindi che per controllare gli oltre 62’000 km2 dell’arcipelago bastano… cinque poliziotti.

La paura dell’orso

Non mancano però gli inconvenienti. Ci mancherebbe. Oltre alla rigidità del clima, gli abitanti di Svalbard non sono al riparo da interruzioni di corrente elettrica, le cui conseguenze possono essere drammatiche. In caso di blackout prolungato è già previsto un piano di evacuazione generale.

Condividendo lo stesso territorio dell’orso polare bisogna poi agire con precauzione. Chi vuole «evadere dalla città» deve equipaggiarsi in modo adeguato. Altrimenti si va incontro a situazioni poco piacevoli: «Una volta mi sono ritrovato solo nella notte, senza fucile, proprio in una zona dove due anni prima avevo visto un orso», racconta Sébastien.

«Avevo pensato di seppellirmi nella neve: un’idea stupida, visto che l’orso può fiutare una foca ad un metro di profondità. Dopo un lunghissimo quarto d’ora sono finalmente venuti a recuperarmi».

Calore umano dal freddo artico

Da metà dicembre a fine gennaio cala poi la lunga notte polare. Un altro momento di sconforto? «Assolutamente no. È al contrario il periodo migliore: la gente si ritrova, è molto più socievole e si crea un’atmosfera speciale», spiega Sébastien.

«Il ritorno della luce è sicuramente un momento unico, anche se poi si fa fatica a seguire il ritmo della giornata normale e si perde un po’ la dimensione del tempo».

In futuro, al giovane vallesano interesserebbe continuare a lavorare sul ghiaccio marino in Norvegia. Non esclude però un’esperienza ancor più insolita. «Mi piacerebbe trascorrere un anno in una capanna isolata a cacciare e a porre trappole per volpi, perpetrando così la tradizione di Svalbard», ci confida.

Di ritornare in Svizzera per ora non se ne parla. D’altronde, come sentire la nostalgia di casa in una terra sulla quale sorge un ghiacciaio di nome «Tell», una «Helvetia-Valley» ed una montagna chiamata «Vallese»…

swissinfo, Luigi Jorio, inviato speciale a Svalbard

Arcipelago Svalbard: 62’000 km2 e circa 2’500 abitanti.
Dal 1920 sottostà alla sovranità norvegese.
Alla fine del 2006, in Norvegia risiedevano 2’086 svizzeri (di cui 1’241 di doppia nazionalità elvetico-norvegese).
Come la Svizzera, la Norvegia non appartiene all’Unione europea, ma è membro dell’Associazione europea di libero scambio (assieme a Islanda e Liechtenstein).

Sébastien Barrault nasce a Sion (Vallese) nel 1976.

Terminati gli studi al Politecnico federale di Losanna (scienze in ingegneria meccanica) lavora un anno alla Divisione delle malattie ossee dell’Ospedale universitario di Ginevra.

Nel 2004 decide di lasciarsi guidare dall’attrazione per il grande Nord e di seguire un corso sulla geofisica artica all’Università di Svalbard.

Dopo un breve rientro in Svizzera, ritorna sull’arcipelago norvegese dove attualmente svolge un dottorato sulle proprietà termiche del ghiaccio.

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