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Politica d’immigrazione da rivedere

Per il FNS, l'immigrazione dev'essere selezione, non discriminazione Keystone

Discriminazione salariale, mancato riconoscimento dei diplomi: gli immigrati continuano a subire forme d'esclusione.

Il Fondo nazionale per la ricerca (FNS) chiede una politica più chiara, orientata ai bisogni dell’economia e all’integrazione.

Dopo essere stata per secoli un paese d’emigrazione, la Svizzera è diventata negli ultimi 50 anni un paese d’immigrazione.

Dagli anni Ottanta, come dimostrano gli studi scaturiti dal programma PNR 39 del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS), la composizione e la posizione sociale della popolazione immigrata ha subito delle forti trasformazioni.

Se nel corso degli anni sono state adottate misure per l’integrazione degli stranieri di seconda e terza generazione e dei cittadini dell’Unione europea, i “nuovi” migranti provenienti soprattutto dall’ex-Jugoslavia, dall’Asia e dall’Africa continuano ad essere discriminati.

Immigrati, ammortizzatore congiunturale

“I nuovi migranti hanno generalmente uno statuto precario”, ha osservato l’etnologo Hans-Rudolf Wicker (Università di Berna) presentando martedì i risultati del programma PNR 39. “Sul mercato del lavoro, essi hanno lo stesso ruolo dei lavoratori stranieri del passato quello cioè di ammortizzatori congiunturali.”

In altre parole, quando la crescita economica rallenta, i primi a farne le spese sono i nuovi immigrati – spesso richiedenti l’asilo e rifugiati – maggiormente a rischio di licenziamento. Il tasso di disoccupazione fra gli immigrati si situa del resto attorno al 6%, rispetto al 2,8% della popolazione svizzera.

Disparità salariali

Ma al di là della precarietà, la discriminazione si traduce in disparità salariali e nel mancato riconoscimento dei titoli di studio acquisiti all’estero.

Se il salario medio di uno svizzero nel 2000 era di 5’525 franchi al mese, quello dei lavoratori stagionali era di 3’573 franchi, di 4’376 per gli stranieri con permesso annuale, di 4’715 per quelli con permesso C e di 5’069 per i frontalieri.

Le differenze salariali riproducono in parte competenze diverse e un diverso grado di formazione, ammette Yves Flückiger, economista dell’Università di Ginevra. Ma – aggiunge – “i lavoratori stranieri subiscono una discriminazione salariale rispetto alla manodopera svizzera.”

Diplomi non riconosciuti

Una discriminazione che si registra anche nel mancato riconoscimento di diplomi e titoli di studio conseguiti all’estero. “L’educazione acquisita all’estero è meno valorizzata da quella conseguita in Svizzera”, osserva ancora Flückiger. “E questo indipendentemente dagli anni passati nel nostro paese.”

Un dato che indica “un certo fallimento della politica d’integrazione svizzera”, tanto più che si constata un maggior riconoscimento della formazione conseguita nei paesi del nord (Germania, Francia, Europa del nord e Canada) rispetto ai diplomi ottenuti in paesi quali l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Turchia e l’ex-Jugoslavia.

“La distanza culturale”, riassume Flückiger, “costituisce un ostacolo al riconoscimento dei titoli di studio.”

Immigrazione, fattore di crescita

Partendo dal presupposto che l’immigrazione è un fattore determinante per il benessere e la crescita economica di un paese e che a lungo termine le nazioni vincenti saranno quelli che sapranno gestirla meglio e non quelli che l’impediranno, gli esperti del FNS hanno elaborato una serie di raccomandazioni, rivolte al mondo politico ed economico.

“Il nostro scopo”, ha sottolineato Werner Haug, vice-direttore dell’Ufficio federale di statistica e presidente del gruppo di esperti del programma PNR 39, “era di rendere concrete le discussioni emotive attorno al tema emigrazione.”

In concreto, il FNS, raccomanda di adottare una politica d’immigrazione che trovi un equilibrio tra apertura e controllo, basandosi su tre pilastri: una migliore integrazione degli stranieri, una riduzione dell’attuale sovraccarico della politica d’asilo e la realizzazione di basi legali per un’immigrazione professionale.

Per evitare l’illegalità e gli abusi nel settore dell’asilo, non basterebbero misure che tendono a rendere più rapida e restrittiva la procedura d’asilo, ma occorrerebbe anche creare alternative all’asilo, elaborando dei criteri di selezione basati sulle qualifiche professionali e sulle relazioni sociali dei migranti, oltre che sui bisogni del mercato del lavoro.

In altre parole, gli esperti chiedono che la Svizzera, paese d’immigrazione, si dia anche una vera politica d’emigrazione.

swissinfo, Andrea Tognina

Il programma nazionale di ricerca 39, intitolato “Migrazioni e relazioni interculturali” e avviato nel 1995, si è concluso alla fine del 2002. Dotato di 8 milioni di franchi, ha permesso di finanziare 28 ricerche in settori diversi, come la salute, la formazione, il mercato del lavoro, il diritto e lo sviluppo urbano.

I risultati degli studi sono già stati utilizzati nell’elaborazione della nuova legge sugli stranieri e nella politica d’integrazione in alcuni cantoni.

Gli studi sono pubblicati nel volume “Les migrations et la Suisse”, a cura di Hans-Rudolf Wicker, Rosita Fibbi e Werner Haug, edito dalla Seismo di Zurigo.

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