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Sciopero: una parola assente

Novembre 1918, Paradenplatz Zurigo: intervento dei militari per fermare lo sciopero generale Keystone Archive

La "pace del lavoro" è il nome della convenzione firmata nel 1937 da sindacati e padronato dell'industria mettallurgica svizzera.

Una convenzione periodicamente rinnovata fino ad oggi ed estesa ad altri settori.

Esclusa la lotta

“Le parti contraenti si impegnano a mantenere in modo assoluto la pace del lavoro, per tutta la durata della Convenzione e a farla rispettare dai loro membri. Di conseguenza è esclusa ogni misura di lotta, quali la serrata, lo sciopero o il boicottaggio, anche nei casi di divergenze attinenti a questioni non regolate dalla presente Convenzione”.

Questo il tenore dell’art. 2 di un accordo in nove punti, firmato il 19 luglio 1937 da sindacati e padronato dell’industria metallurgica svizzera, con il quale le parti sociali s’impegnano a risolvere pacificamente, attraverso il negoziato e l’arbitrato, le divergenze e i conflitti di lavoro (vedi: articolo in altri sviluppi).

La convenzione, detta di “pace del lavoro” – periodicamente rinnovata fino ad oggi ed estesa ad altri settori – nasce in un clima politico e sociale caratterizzato dalla lotta contro la crisi economica e dalla volontà di rinsaldare l’unità nazionale di fronte ai pericoli totalitari.

Pace in cambio di lavoro e previdenza

La rinuncia dei sindacati all’arma dello sciopero traduce un’evoluzione iniziata dopo il fallito sciopero generale del 1918, che aveva avuto obiettivi tanto politici quanto economici. L’Unione sindacale cancella nel 1927 la lotta di classe dai propri statuti.

L’arrivo al potere dei nazisti in Germania e la grande depressione degli anni trenta, accelerano la revisione strategica e ideologica del movimento operaio. Il partito socialista stralcia dai programmi la “dittatura del proletariato” e accetta la difesa nazionale armata.

L’impegno a risolvere pacificamente i conflitti di lavoro, avrebbe dovuto avere come contropartita un piano di rilancio economico (basato in buona parte sulla produzione di materiale bellico), la creazione di posti di lavoro e la generalizzazione dei contratti collettivi di portata generale.

Per il padronato, in parte restio verso i contratti collettivi che limitano l’autonomia aziendale, rafforzano la burocrazia sindacale e favorirebbero la “pigrizia” dei lavoratori, la conciliazione volontaria con i sindacati serve soprattutto a prevenire l’ingerenza statale in materia di politica del lavoro (orari, salari, ferie, ecc.).

Lo Stato concentrerà, infatti, i suoi sforzi sulla previdenza sociale, con l’introduzione dell’AVS nel 1948 e la previdenza professionale obbligatoria (casse pensioni) nel 1978. La Confederazione avrà però un ruolo decisivo, dapprima con un decreto urgente del 1941, poi con una legge del 1956, nel dichiarare l’obbligatorietà generale dei contratti collettivi di lavoro, ossia la possibilità di estenderne il campo d’applicazione all’insieme di un ramo d’attività.

Boom economico e wellfare state

In Svizzera, il ricorso allo sciopero diminuisce fortemente soltanto dagli anni cinquanta, con la lunga fase di crescita economica e il moltiplicarsi delle convenzioni collettive, che nel 1951 concernono già più di 750 000 salariati.

Il benessere e la coesione sociale raggiunti in Svizzera, sono frutto della situazione congiunturale del dopoguerra o merito degli accordi di pace del lavoro? Mancano i riscontri empirici che permettano di pronunciarsi in merito. Fatto sta, che, da oltre mezzo secolo, la pace del lavoro ha avuto nel nostro paese una funzione più ideologica che sociale.

In particolare, ha generato una coppia di miti storici antitetici. Per gli uni, quello del welfare State ottenuto grazie al partenariato sociale e come correlato, il carattere “antinazionale” dello sciopero, estraneo ai costumi elvetici.

Per gli altri, il mito del tradimento e del “disarmo” di classe, avente come corollario l’illusione che l’arma dello sciopero sia in grado di mutare radicalmente le sorti dei salariati.

Marco Marcacci

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