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Sete di giustizia per i no global svizzeri picchiati a Genova

Le manifestazioni di protesta a Genova un anno fa contro la politica del G8 vennero stroncate manu militari dalle forze dell'ordine italiane swissinfo.ch

Da accusati ad accusatori: si ribalta la posizione dei nove svizzeri arrestati lo scorso luglio a Genova nelle proteste contro il vertice del G8.

Arrestati, picchiati, incarcerati, accusati di vari reati tra cui quello di resistenza a pubblico ufficiale che il codice penale italiano punisce con la reclusione da sei mesi fino a due anni di prigione ed espulsi, infine, dall’Italia. Questa la situazione nella quale si sono ritrovati un anno fa nove giovani svizzeri, che si erano recati a Genova per partecipare alle manifestazioni antiglobalizzazione indette in concomitanza con il vertice del G8, svoltosi nel capoluogo ligure dal 20 al 22 luglio 2001. A distanza di un anno le accuse si sono ribaltate: ora ad essere indagati dalla Procura di Genova sono i poliziotti che li hanno arrestati ed “interrogati”.

Le denunce degli svizzeri

I funzionari della polizia italiana chiamati in causa dai nove svizzeri sono accusati di lesioni personali gravi e gravissime aggravate dall’uso delle armi, calunnia e falsificazione dei verbali. Lo conferma a swissinfo l’avvocato Massimo Pastore, uno dei legali che assieme ai colleghi Fabio Taddei ed Emanuele Tambuscia rappresentano i nove svizzeri.

“Le cause sono a buon punto – puntualizza l’avvocato Pastore – anche perché con l’avanzare degli interrogatori si scopre che ci sono tutta una serie di falsi nei verbali, nei rapporti forniti dalla polizia. Nelle versioni degli agenti di pubblica sicurezza si è scoperto che alcune prove sono state fabbricate. I casi più macroscopici sono quelli relativi a due bombe molotov, che la polizia sosteneva aver rinvenuto durante la perquisizione alla scuola Diaz, ma che invece erano state preventivamente sistemate dagli agenti. L’altra prova rivelatasi falsa è la coltellata che un poliziotto giurava aver ricevuto, sempre all’interno della scuola Diaz, ma che le perizie sul giubbotto antiproiettile hanno dimostrato essere tagli effettuati dai poliziotti stessi”.

Un arresto da incubo

Simona Digenti, 22 anni, studentessa alla Facoltà di veterinaria dell’università di Zurigo è una dei nove giovani no global svizzeri arrestati nella perquisizione alla scuola Diaz e che hanno vissuto la degradante esperienza delle violenze gratuite nella caserma di Bolzaneto, dove è stata trattenuta in stato di fermo prima del trasferimento al carcere di Alessandria. Anche lei, come gli altri otto svizzeri, ha denunciato il comportamento violento delle forze dell’ordine italiane.

“A distanza di un anno – confida a swissinfo Simona Digenti – soffro ancora i postumi dei molti colpi che mi hanno dato in testa. Ho infatti sempre difficoltà di concentrazione e buchi nella memoria”. Per Simona Digenti gli strascichi dell’arresto e delle violenze subite è comunque ancora presente, anche se a livello inconscio. Lo dimostra il fatto che dopo la scarcerazione non ha più voluto metter piede né a Genova né in Italia e questo nonostante la doppia cittadinanza svizzera ed italiana.

Per la giovane studentessa in veterinaria di Zurigo la denuncia contro le brutalità della polizia italiana è un atto dovuto, anche se non mostra lo stesso ottimismo dell’avvocato Pastore sull’esito finale della vertenza giudiziaria: “Per dire la verità – confessa Simona Digenti – non penso che cambierà qualcosa. L’ho fatto perché speravo che forse la prossima volta non avrebbero più potuto fare la stessa cosa. Devo anche dire che il mio impegno di militante antiglobalizzazione si è rafforzato dopo quello che ho subito”.

L’appello della madre di Carlo Giuliani

Numerosi avvenimenti e manifestazioni ricordano in questi giorni e ripropongono in chiave analitica i tre tragici giorni di discussioni dei grandi della terra e di proteste di piazza. Genova non vuol dimenticare il morto, i 560 feriti, i 221 arrestati ed i quasi quaranta milioni di franchi svizzeri di danni che il vertice degli otto Paesi più industrializzati ha causato.

In questi dodici mesi, il simbolo di quanto accaduto a Genova tra il 20 ed il 22 luglio dello scorso anno è diventato Carlo Giuliani, il giovane no global ucciso da un carabiniere ausiliario quasi coetaneo. “La morte di Carlo riguarda tutti – dichiara a swissinfo Heidi Giuliani, la madre della giovane vittima del G8 di Genova – ed è per questo che cerchiamo in tutti i modi di far conoscere quello che è avvenuto. Proprio in questi giorni abbiamo inaugurato alcune mostre fotografiche presso Palazzo Ducale per affermare il valore della vita contro una politica di morte. Il nostro scopo è quello di sostenere il valore ed il rispetto della vita e ribadire l’importanza di fare chiarezza perché quanto avvenuto un anno fa non si ripeta”.

Ed è proprio perché le violenze, le intimidazioni, i soprusi di alcuni reparti della polizia italiana non abbiano mai più a ripetersi che nove giovani svizzeri hanno deciso di denunciare le umiliazioni inferte loro da chi la legge dovrebbe tutelare ed applicare al di sopra di tutto e di tutti.

Sergio Regazzoni

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