The Swiss voice in the world since 1935

Durban, una conferenza per rendere più visibile il razzismo

swissinfo.ch

Venerdì è iniziata in Sudafrica la conferenza internazionale dell'ONU sul razzismo, con la partecipazione di 130 paesi. Le discussioni, sullo sfondo del conflitto in Medioriente e delle rivendicazioni delle vittime del colonialismo, si annunciano infiammate. La Svizzera partecipa con una delegazione di cui fanno parte anche alcuni rappresentanti di organizzazioni non governative.

Su pressione dell’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Mary Robinson, i paesi aderenti alla Lega araba hanno rinunciato a voler vedere scritto sui documenti della conferenza l’equazione «sionismo uguale razzismo». Fu una risoluzione dell’Onu, adottata il 10 novembre 1975, ad affermare che «il sionismo è una forma di razzismo e di discriminazione razziale», ma una risoluzione sempre dell’Onu del 16 dicembre 1991 aveva revocato il parallelo tra sionismo e razzismo.

I paesi arabo- islamici hanno però chiesto in un documento la «necessità della cessazione dell’aggressione israeliana contro il popolo palestinese» e di fare in modo che quelle pratiche israeliane siano classificate «crimini contro l’umanita»’. Gli Stati Uniti, che si sono opposti al tentativo di far passare alla Conferenza una equiparazione tra sionismo e razzismo e dunque una esplicita condanna di Israele, hanno deciso di non far partire per Durban il segretario di Stato, Colin Powell, e ai lavori della Conferenza partecipa una delegazione di basso profilo.

Molti Stati africani chiedono che a Durban sia preso un impegno non solo a riconoscere la schiavitù come un crimine contro l’umanità, ma a creare un meccanismo che permetta ai discendenti degli schiavi di ricevere un risarcimento finanziario per le sofferenze inflitte dall’Occidente ai loro antenati. Anche la Cina ha appoggiato la richiesta di risarcimento. Su un tema così posto gli Usa non sono disposti a collaborare. L’argomento inoltre rischia di esacerbare alcuni conflitti in Africa, come nello Zimbabwe, dove da oltre un anno si è scatenata una specie di «caccia al bianco». Una mediazione possibile è che i Paesi occidentali finanzino per il futuro un piano di sviluppo per i paesi Africani.

Un altro tema riguarda le forme di discriminazione in atto all’interno delle singole società, come avviene ad esempio nel sistema delle caste in India o anche in Europa per i Rom.

Fra i membri della delegazione svizzera c’è Boël Sambuc, vice presidente della Commissione federale contro il razzismo, istituita nel 1995, dopo l’adesione della Svizzera alla Convenzione internazionale contro il razzismo.

Qual è oggi la tendenza in Svizzera per quanto riguarda gli episodi di razzismo?

È difficile rispondere precisamente a questa domanda perché non esiste una vera e propria struttua di monitoraggio. A Durban proporremo d’altronde proprio che i paesi si dotino di precisi strumenti di controllo e di osservazione. Negli ultimi anni sono stati fatti numerosi passi avanti nel riconoscere e nel punire i delitti di carattere razzista, in particolare con l’adesione della Svizzera alla Convenzione internazionale per la lotta contro il razzismo e con l’elaborazione dell’articolo 261bis del codice penale che reprime le manifestazioni più gravi di razzismo. Questo non significa che ci sia un aggravamento del numero di questo tipo di delitti. Ci possono essere però delle ondate di risentimento o di xenofobia che riguardano certe particolari categorie di persone.

In che maniera si manifesta il razzismo in Svizzera?

Si è quasi sempre trattato di razzismo non di tipo fisico, non violento. Un razzismo più verbale, di insulti e graffiti, attraverso lettere di lettori ai giornali o addirittura di discorsi politici, che mira all’esclusione di certi gruppi sociali come i neri, gli ebrei, gli stranieri, i musulmani. Esistono anche episodi violenti, da collegare all’estrema destra, agli skinhead. Anche questi episodi devono essere presi sul serio.

L’Unione democratica di centro, partito di governo, ha dunque secondo lei una responsabilità precisa nell’instaurazione di questo clima?

Non vorrei drammatizzare, vorrei dapprima ricordare che la Svizzera ha una lunga tradizione di coabitazione e di rispetto fra diverse culture nella vita di ogni giorno. Sarebbe troppo semplice e comodo dare tutta la colpa all’UDC, un partito che peraltro non è nemmeno monolitico, perché comporta diverse tendenze e varia molto a seconda delle sezioni cantonali. Discorsi dal contenuto razzista sono ripresi anche da altri partiti, essenzialmente dello schieramento di centro-destra. È questo un fenomeno presente anche in altri paesi che ci preoccupa.

La Svizzera dispone oggi degli strumenti necessari per prevenire e reprimere il razzismo?

No, quanto abbiamo non basta. Che cos’è in realtà il razzismo? È il disprezzo dell’altro in quanto individuo o in quanto comunità, gruppo o paese. La prevenzione del razzismo passa dunque attraverso l’educazione ai diritti dell’uomo, l’educazione a scuola, la formazione degli insegnanti e degli adulti, il dibattito e l’informazione nel mondo del lavoro. La repressione vera e propria non è che una piccola parte della lotta contro il razzismo, anche se ha un importante valore simbolico. In Svizzera, contrariamente ad altri paesi, non accettiamo una libertà di parola assoluta. La nostra libertà finisce laddove inizia quella degli altri. Accettiamo dunque che a un certo momento entri in scena l’articolo del codice penale per servire da freno. Un freno che tocca però soltanto le manifestazioni pubbliche di razzismo, le sue espressioni più gravi. Resta molto da fare nel settore civile e altri paesi sono molto più progrediti della Svizzera.

Il razzismo ricorre oggi molto spesso a Internet per diffondersi in tutto il mondo senza incontrare frontiere. Che fare per impedire l’abuso delle nuove tecnologie?

La Svizzera si trova in una posizione vicina a quella degli europei, che -contrariamente agli americani- vorrebbe disciplinare maggiormente il materiale che circola in rete. Noi siamo dell’opinione che si debbano criminalizzare gli atti di razzismo in qualsiasi modo e in qualsiasi luogo essi si esprimano, compreso su Internet.

La conferenza di Durban dovrà evitare lo scoglio del parallelismo fra sionismo e razzismo e dei danni causati dal colonialismo. Due temi che rischiano di fare naufragare la conferenza…

La posizione della delegazione svizzera è condivisa dalla nostra commissione federale. È inaccettabile l’assimilazione di sionismo e razzismo. La lotta contro l’antisemitismo è un compito di tutte le politiche nazionali contro il razzismo e non ci devono essere debolezze in questo campo.
Per quanto riguarda il colonialismo, la Svizzera non intende accusare la ex potenze coloniali e si allinea nel campo occidentale, ma in modo forse più determinato. La Svizzera ammette infatti apertamente che ci sono state sofferenze e conseguenze molto nefaste provocate dal colonialismo. Oggi dobbiamo riflettere in che modo ristabilire l’equilibrio e ridare dignità ai popoli vittima del colonialismo.

Che cosa vi aspettate, in fondo, dalla conferenza di Durban?

Il risultato positivo che tutti si augurano è l’adozione di una dichiarazione finale e di un programma d’azione. Questi due atti contengono un catalogo di ingiunzioni concrete per tutti i paesi, affinché adottino misure di lotta contro il razzismo, di prevenzione, di educazione. Comunque, la nozione di successo o di fallimento di questo tipo di conferenze è molto relativa. Pensate quanto è difficile già a livello di un solo paese trovare un consenso su un tema così delicato. Anche se i due documenti non saranno adottati, in ogni caso alla lotta contro il razzismo sarà stata riconosciuta un’importanza universale. Avremo fatto un grande passo avanti per la visibilità del problema, per evitare la negazione del razzismo. Durban potrebbe dunque essere soltanto un inizio.

Intervista curata da Mariano Masserini

Uno smartphone mostra l’app SWIplus con le notizie per gli svizzeri all’estero. Accanto, un banner rosso con il testo: ‘Rimani connesso con la Svizzera’ e un invito a scaricare l’app.

Articoli più popolari

I più discussi

In conformità con gli standard di JTI

Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative

Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.

Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR