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Bill Barazetti, un giusto “svizzero”

Bill Barazetti (a sinistra) con Hugo Maron, uno degli ex bambini salvati nel 1939 ZVG

Al Giardino dei Giusti di Gerusalemme – cioè dei non ebrei che salvarono degli ebrei strappandoli alla furia nazista – sotto l’indicazione "Svizzera" si trova tra gli altri un nome sconosciuto: Bill Barazetti…

Eppure, per Berna, Bill Barazetti non è un cittadino svizzero. Com’è possibile?

Proprio partendo da questo primo “mistero” – non l’unico di una vita avventurosa, in cui si intrecciano luci e ombre – si può ripercorrere almeno a grandi linee la storia di un uomo che riflette le complessità, gli atti di eroismo, ma anche le contraddizioni di quegli anni terribili.

Perché Werner Theodore Barazetti, detto Bill, fu tante cose. Giovanissimo oppositore a Hitler, organizzatore di fughe di socialdemocratici e comunisti dalla Germania nazista, agente dei servizi segreti britannici e cecoslovacchi.

Ma se il suo nome è inciso sul marmo di Yad Vashem (il Museo dell’Olocausto di Gerusalemme), è per la partecipazione a una delle più importanti operazioni di salvataggio di bambini ebrei a Praga.

«Ciò che doveva essere fatto»

Quasi settecento bambini che, su sette treni, vennero trasferiti dalla Cecoslovacchia invasa dalle truppe tedesche, fino in Gran Bretagna. Dove ad organizzare l’operazione c’era un allora giovane finanziere, Nicholas Winton, oggi ultracentenario, che abbiamo incontrato nella sua casa alla periferia di Londra.

E che ci ripete quanto ha sempre ripetuto: «Feci semplicemente ciò che doveva essere fatto; il lavoro più impegnativo fu trovare le famiglie inglesi a cui affidare i bambini, come chiedeva il governo inglese; ogni famiglia doveva depositare in garanzia cinquanta sterline, una cifra considerevole in quegli anni; e avremmo potuto salvarne molti di più se per esempio le numerose personalità a cui mi ero rivolto negli Stati Uniti non avessero risposto con un rifiuto accampando ogni sorta di pretesto».

Scelte importanti

E Bill Barazetti, in tutto questo? La sua famiglia, emigrata alcune generazioni prima dalla Val Vigezzo, era approdata in Germania (dove Bill nacque nel 1914), per poi spostarsi in Svizzera, grazie al nonno professore di giurisprudenza. Per tutti loro, la cittadinanza elvetica. A cui però Ferdinand, il padre di Bill, rinunciò dopo essere tornato nella Germania che di lì a poco avrebbe conosciuto la travolgente ascesa di Hitler. Una rinuncia che coinvolgeva automaticamente tutta la famiglia.

Ma in casa Barazetti la frattura avviene soprattutto a causa di scelte politiche contrastanti e inconciliabili: Ferdinand e il figlio più giovane Bruno simpatizzanti del nazismo; mentre Bill, studente all’università di Amburgo, sceglie l’antinazismo militante dopo aver assistito all’aggressione di un suo docente.

Attivo nell’assistenza agli oppositori che vogliono espatriare, Bill è costretto a sua volta alla fuga, ma viene catturato dagli uomini della Gestapo. Lo picchiano selvaggiamente, lo credono morto, lo abbandonano in un bosco. Qui viene soccorso e salvato da Anne, una giovane originaria dei Sudeti cecoslovacchi, che non molto tempo dopo diventerà sua moglie a Praga.

Operazione di salvataggio

Qui, a Praga, alla fine del 1938, Bill incrocia i binari della straordinaria vicenda che in Israele ne ha fatto un eroe. Verosimilmente segnalato dai servizi segreti locali, Bill Barazetti collabora con una donna inglese – Doreen Warriner – del Comitato britannico per i rifugiati, una delle organizzazioni che cercano di soccorrere i fuoriusciti dalla Germania, dall’Austria e dalle regioni della Cecoslovacchia (i Sudeti, appunto) che gli occidentali hanno consegnato a Hitler con gli accordi di Monaco, nella speranza, o meglio nell’illusione, di soddisfare così gli appetiti espansionistici del Führer.

È proprio a Bill che nel gennaio 1939 Nicholas Winton, come egli stesso scrive nei suoi diari, assegna l’operazione di salvataggio dei bambini ebrei da trasferire in Inghilterra. La stragrande maggioranza di chi non riuscì a salire su quei “treni della salvezza” (ve ne furono 669), venne poi deportata e uccisa nei lager nazisti, soprattutto ad Auschwitz. Prima dell’occupazione tedesca, si calcola che gli ebrei di Cecoslovacchia fossero 88 mila. Sopravvissero solo in 13 mila.

Il tempo della gratitudine

Per mezzo secolo, cioè fino al 1988, anche in Gran Bretagna nessuno seppe nulla di questa pagina di storia, casualmente scoperta dalla BBC. E Nicholas Winton, che fino allora aveva taciuto, convinto di non aver fatto nulla di straordinario, diventa un eroe nazionale, e raccoglie la gratitudine sia degli “ex bambini” da lui salvati sia dei loro discendenti: che a lui devono il semplice fatto di esistere, e che oggi sono oltre cinquemila (li chiamano i “Winton Children”). Soltanto alcuni anni dopo si scoprirà anche la partecipazione di Bill Barazetti all’operazione.

Ciò avvenne soprattutto grazie a due ex bambini, Hugo Marom (uno degli inventori dell’aviazione israeliana) e Mordechai Segal (ex ufficiale dell’esercito israeliano): questi indagarono sui trascorsi di Bill e lo segnalarono alla direzione dello Yad Vashem. Che lo ricevette nel 1992, e decise di inserirne il nome fra quello dei Giusti al Memoriale dell’Olocausto.

«Il dilemma svizzero»

Ma è proprio alla cerimonia in suo onore allo Yad Vashem che Bill Barazetti crea la sorpresa. È lui stesso a parlarne in una lettera inviata pochi anni prima di morire (nel 2000) alla rivista Time Magazine: «Quando venne deciso che il mio nome sarebbe stato inciso sul muro dei Giusti al Museo dell’Olocausto di Gerusalemme, e mi fu chiesto sotto quale nazione dovesse essere collocato, dovetti riflettere. Mi domandavo: Repubblica Ceca? Inghilterra? Austria? Germania? Francia? No, alla fine ho scelto: la Svizzera».

Barazetti aveva intitolato la lettera «Il dilemma svizzero», e così spiega quella sua scelta, fatta per onorare gli avi sepolti ai piedi del Sempione e «per ricordare che, nonostante quanto accaduto nel Novecento, è negli antichi villaggi elvetici che era nato il più genuino spirito popolare della democrazia: qualcosa che nessuno svizzero e nessun europeo deve mai dimenticare».

Aldo Sofia, swissinfo.ch

Barazetti è un eroe per molti dei sopravvissuti, mentre altri sottolineano alcune contraddizioni nelle dichiarazioni che rilasciò allo Yad Vashem, e soprattutto in alcuni documenti.

Luci e ombre, sull’uomo che poi – dal 1940 al 1945 – lavorò per i servizi segreti militari inglesi.

Barazetti interrogava i prigionieri di guerra tedeschi, e al termine del conflitto Londra riconobbe ufficialmente l’importanza di questa sua attività nella lotta antinazista. Tanto che, presso gli Archivi Nazionali Inglesi c’è un dossier su Bill Barazetti. Ma è un dossier top secret, che non potrà essere aperto al pubblico prima del 2049.

«Le nostre indagini sono molto scrupolose – ha dichiarato la signora Steinfeld, una delle direttrici del Museo dell’Olocausto – e se abbiamo riconosciuto Barazetti fra le persone da onorare è perché partecipò al salvataggio di quei bambini mettendo a rischio la sua vita; cosa fece in seguito non è rilevante, e nessuno ha mai sostenuto che i “giusti” siano dei santi; è certo che in base alle nostre informazioni corse seri rischi per il suo lavoro contro il nazismo».

Alcuni “ex bambini dei treni” hanno chiesto alla Svizzera di restituire a Barazetti il passaporto elvetico.

Una richiesta non ricevibile, in base alla legge.

Anche se nel 1977 l’allora ambasciatore svizzero a Tel Aviv, Pierre Monod, rispose a Hugo Marom: «Le informazioni ricevute dimostrano che Barazetti ha resistito con atti coraggiosi ai nazisti per salvare numerosi bambini ebrei». Ma più di questo non fu possibile ottenere.

Bill Barazetti, il dilemma svizzero, a cura di Aldo Sofia e Lorenzo Buccella, è il titolo del documentario diffuso dalla Radiotelevisione svizzera lo scorso 5 maggio, in occasione del 65esimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale.

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