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La passione degli espatriati per il volontariato

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Con la libera circolazione delle persone il volto degli emigranti in Svizzera è cambiato. Nei centri urbani, la maggior parte dei nuovi arrivati ha un alto livello di formazione. Un po' a sorpresa, diversi di loro sono attivi in attività di volontariato.

«Non potevamo sempre rispondere di no». Hubert Kausch, responsabile del servizio di volontariato della Croce Rossa Svizzera (CRS) del canton Zurigo spiega con queste parole il modo in cui è nata l’idea di offrire, anche agli espatriati, la possibilità di fare del volontariato.

A Zurigo, erano infatti sempre di più le richieste di persone appena arrivate in città che volevano ingaggiarsi a livello sociale, senza però parlare il tedesco. Sprovvista di un programma specifico, la CRS non poteva fare altro che declinare le offerte.

È così nata l’idea di coinvolgere questi immigrati altamente qualificati in azioni di raccolta fondi. Il primo gruppo è stato creato a fine 2011. Una lotteria organizzata a nel mese di maggio a Zurigo ha ad esempio permesso di raccogliere 5’000 franchi.

Attualmente, sono una quindicina le persone che partecipano a eventi di “fundraising. In collaborazione con la scuola internazionale di Winterthur oppure, ad esempio, in occasione di una gara podistica. Nel 2013, la CRS zurighese prevede di permettere ad alcune aziende di partecipare ad una corsa con l’obiettivo di raccogliere fondi.

Un residente su quattro in Svizzera (circa 1,5 milioni di persone) esercita almeno un’attività non remunerata presso un’organizzazione o un’istituzione, secondo l’Ufficio federale di statistica (UFS).

La percentuale di uomini (28%) è superiore a quella delle donne (20%).

Il lavoro di volontariato presso organizzazioni o associazioni varia molto da una regione all’altra. In questo senso, è più diffuso nella Svizzera tedesca rispetto alla Svizzera francese e alle regioni italofone del paese.

La percentuale di volontari è più alta nei comuni rurali e in quelli con meno di 1’000 abitanti.

Secondo la Croce Rossa zurighese, gli espatriati anglofoni fanno a volte fatica a farsi accettare nelle società dei villaggi che si basano ancora su codici tradizionali.

Oltre al volontariato organizzato, l’UFS censisce il volontariato detto “informale”, che riunisce l’aiuto al vicinato, la cura dei bambini, i servizi e le cure a membri della famiglia o a conoscenti che non vivono nella medesima economia domestica.

Il 21% della popolazione residente con 15 anni o più (1,3 milioni di persone) offre volontariamente tali servizi. Qui, le donne (26%) sono più presenti degli uomini (15%).

Confezionare pacchi regalo

Questo sabato di dicembre, l’irlandese Hazel e l’olandese Arjen, entrambi sulla trentina, stanno confezionando pacchetti regalo in un negozio di Winterthur. I fondi raccolti sono destinati al programma della CRS cantonale “Stage Salute sociale”. Hazel non parla tedesco, mentre Arjen se la cava decisamente bene.

La gente fa commenti sull’accento di Hazel? «Non direi», risponde la donna con un sorriso solare. «E con Arjen siamo ad ogni modo preparati». La raccolta fondi ha fruttato qualche centinaia di franchi, precisa Andrea Ramseier, coordinatrice dell’evento della CRS zurighese.

«È un successo. Il negozio [che non vuole essere menzionato, ndr] è stato molto contento del nostro servizio e in generale i clienti si sono soffermati per leggere i nostri cartelloni», aggiunge Ramseier.

La Croce Rossa, un “marchio”

Per Hazel et Arjen, come per numerosi espatriati, la Croce Rossa non rappresenta una scelta casuale. «Siamo veramente un marchio internazionale e spesso gli espatriati hanno già lavorato con la Croce Rossa nei loro paesi di origine», spiega Andrea Ramseier. Ad Amsterdam, Arjen ha ad esempio partecipato a incontri con persone anziane.

La tradizione del volontariato, e più in generale dell’azione caritativa, è particolarmente radicata nei paesi anglosassoni. Hazel, pittrice, era già una volontaria in Irlanda, prima di seguire il marito a Zurigo. Nel suo paese lavorava in un ospedale pediatrico. «Il volontariato è una grande opportunità per incontrare altre persone», afferma.

Un modo per integrarsi

Il volontariato è inoltre un modo per integrarsi, come si è potuto constatare a Basilea nel quadro di un progetto indirizzato agli emigrati con un alto livello di formazione (iniziativa BaselConnect).

Lieneke, un’olandese stabilitasi col marito a Basilea, è tra le persone che animano il progetto. «Siamo arrivati a inizio 2012. Mi sono immediatamente annunciata siccome considero che il volontariato sia un ottimo modo per integrarsi», dice in perfetto tedesco. «All’inizio la mia richiesta non ha avuto seguito siccome non parlo il dialetto. E a Basilea bisogna davvero conoscere lo svizzero tedesco….».

Questa è forse una delle ragioni per cui le associazioni di volontari di Basilea hanno visto «di cattivo occhio» i nuovi volontari, secondo una collaboratrice dei servizi d’integrazione. Oggi, aggiunge, sono però i benvenuti.

Lieneke si è così rivolta alla Fondazione Ronald McDonald, che permette ai genitori di rimanere accanto ai loro bambini ammalati all’ospedale. In seguito si è messa a disposizione della Fondazione Melchior, che sostiene le persone affette da patologie psichiatriche. Ed è proprio presso questa fondazione che, alla fine, ha ottenuto un impiego.

«Se si manifesta un certo interesse, se non si è troppo complicati e se si accetta di non capire tutto, si può ricevere molto», osserva Lieneke. «Le persone sono molto interessate al nostro lavoro di volontariato e sono molto contente che gli stranieri siano socialmente impegnati».

Altri sviluppi

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Il volontariato come mezzo d’integrazione?

Questo contenuto è stato pubblicato al La Svizzera è considerata una nazione di volontari. Un residente su quattro pratica almeno un’attività non rimunerata in seno a un’organizzazione o a un’istituzione. Questa partecipazione può permettere agli espatriati di entrare in contatto con la popolazione locale, di imparare o di migliorare le loro conoscenze linguistiche. Il volontariato è quindi un motore d’integrazione? Raccontateci…

Di più Il volontariato come mezzo d’integrazione?

Niente “giorni sociali” in Svizzera

Anche la città di Zurigo, che dispone di un sito Internet dedicato al volontariato, è stata confrontata a numerose richieste. «Alcune aziende ci contattano per sapere se abbiamo dei lavori da proporre a grandi gruppi di anglofoni», analogamente ai “social days” anglosassoni organizzati ad esempio nella cucina di una casa per anziani, spiegano i servizi sociali della città. Un gruppo di lavoro interdipartimentale si sta occupando di queste nuove questioni.

Nel negozio di Winterthur dove i volontari della Croce Rossa stanno impacchettando regalo dopo regalo, una giovane donna rumena si è appena presentata a Hubert Kausch per partecipare al programma di volontariato. «Tutti i miei amici sciano, al contrario di me. Vorrei rendermi utile!», afferma Elena.

«I volontari stranieri sono molto motivati», rileva Kausch. «Sono guidati dal principio morale di ridare alla società ciò che hanno ricevuto. Per noi è molto vantaggioso siccome queste persone sanno agire in maniera indipendente e organizzata. Giovani e molto attivi nella loro professione, sono dei contatti eccellenti e tematizzano alla perfezione la Croce Rossa. Ne sono sicuro: il volontariato è anche un contributo alla loro integrazione in Svizzera».

Il volto dell’immigrazione in Svizzera è cambiato con l’entrata in vigore dell’accordo sulla libera circolazione delle persone con l’Unione europea (2002).

«A Basilea, la maggior parte dei nuovi arrivati (60%) sono altamente qualificati. Il restante 40% fa invece parte del gruppo dei lavoratori poco o non qualificati, una volta maggioritario», spiega Nicole von Jacobs, delegata all’integrazione di Basilea.

Ufficialmente, il termine “espatriato” si riferisce a persone che possiedono un contratto di lavoro limitato nel tempo in un’azienda internazionale. Col tempo è stato esteso a tutti i lavoratori stranieri altamente qualificati.

Gli “espatriati” classici beneficiavano anche di un sostegno quasi totale da parte del loro datore di lavoro, dall’alloggio alla scolarizzazione dei loro figli.

Questi contratti sono però estremamente onerosi e le aziende internazionali non li stipulano più con la stessa facilità con cui lo facevano in passato.

Traduzione dal francese di Luigi Jorio

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