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Salario minimo in Svizzera? Rischio per l’occupazione

Se i votanti lo approveranno il mese prossimo, la Svizzera introdurrà un salario minimo legale che sarà più elevato di tutti quelli dei suoi concorrenti sui mercati di esportazione, sottolinea Beat Kappeler. L'economista ed ex sindacalista avverte che tale aumento potrebbe penalizzare l'occupazione.

Il popolo svizzero voterà il 18 maggio sull’introduzione di un salario minimo nazionale. Richiesta da un’iniziativa popolare dei sindacati, tale soglia minima sarebbe una novità nel processo di formazione dei salari nel paese. Finora, infatti, la sola modalità di fissazione di minimi salariali è stata quella dei contratti collettivi di lavoro negoziati dalle organizzazioni padronali e sindacali, che coprono unicamente dei rami economici, o delle regioni, oppure singole imprese.

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La proposta sarebbe ancorata a livello costituzionale, l’unica possibilità per le iniziative popolari. Concretamente, il testo esige uno stipendio minimo di 22 franchi all’ora, calcolato sulla base dei prezzi e dei salari nel 2011. Secondo i sindacati, questo corrisponde ad uno stipendio di circa 4’000 franchi al mese, versato dodici volte all’anno. Questo importo dovrebbe poi essere indicizzato all’evoluzione dei prezzi e dei salari reali nell’economia svizzera. Rapporti di lavoro particolari, come ad esempio stage di formazione o apprendistati, sarebbero esentati dall’obbligo di questo minimo.

Questa richiesta provoca forti reazioni da parte dei datori di lavoro e di diverse aziende della gastronomia, del settore alberghiero e della distribuzione, come pure delle piccole e medie imprese. Se il salario richiesto superasse la produttività di questi rami e dell’industria di esportazione, resterebbero loro solo il licenziamento, la razionalizzazione o l’outsourcing all’estero, affermano.

Beat Kappeler

Nonostante in generale nel paese vi sia un elevato livello di produttività, alcune attività ausiliarie poco razionalizzate sono necessarie.

Sarebbe dunque l’occupazione a sopportarne le conseguenze. Aggiungono poi che il principio della negoziazione sarebbe preferibile a un obbligo statale. Punti di vista che possiamo condividere, perché, nonostante in generale nel paese vi sia un elevato livello di produttività, alcune attività ausiliarie poco razionalizzate sono necessarie, anche come supporto in industrie high-tech. Dei negoziati differenziati a seconda dei casi ne tengono conto.

Misure contro il dumping

È vero che il mercato del lavoro svizzero è regolato da una rete abbastanza fitta di contratti collettivi, la maggioranza dei quali contempla salari minimi. Ma questi ultimi differiscono da un ramo economico all’altro e in alcuni casi sono inferiori alla soglia prevista dall’iniziativa. I sindacati stimano che se fosse approvata l’iniziativa, sarebbe aumentato lo stipendio a circa il 9% dei dipendenti del paese.

Ai contratti collettivi di lavoro si sono aggiunti accordi supplementari tramite le cosiddette “misure di accompagnamento”, in vigore da dieci anni, nel contesto della libera circolazione delle persone con i paesi dell’Unione europea (UE). Per evitare la concorrenza sleale e il dumping salariale, la legge impone i salari contrattuali a tutto il ramo economico a livello regionale, comprese le società non firmatarie, spesso straniere. Commissioni tripartite, composte di rappresentanti dei datori di lavoro, sindacati e autorità, sorvegliano l’applicazione e puniscono eventuali abusi.

Un altro complemento ai contratti collettivi in vigore è la dichiarazione di forza obbligatoria da parte dell’autorità federale o cantonale. In questo modo, i salari negoziati diventano dei minimi nazionali, ma che restano differenziati a seconda del risultato delle trattative settoriali.

Ciò mostra che nel mercato del lavoro svizzero esiste già un importante diritto di consultazione ufficiale e che, nonostante ciò, l’iniziativa cerca di cambiare sistema. In più, una clausola generale dell’iniziativa conferirebbe alle autorità l’obbligo di promuovere salari minimi nei contratti collettivi regionali, professionali e settoriali.

Più di Obama, più dello smic

Un altro aspetto è materiale. L’importo previsto per questo salario minimo supera quello di tutti i paesi concorrenti sul mercato delle esportazioni. Negli Stati Uniti, il governo di Barack Obama chiede un aumento del salario minimo nazionale che lo porterebbe a un corrispettivo di 9 franchi. Lo smic, ossia il salario minimo in Francia, ammonta a 9,53 euro, pari a circa 11,55 franchi. La Germania prevede un minimo di 8,50 euro a partire dal 2015, che equivale a 10,30 franchi. Dunque non è solamente il principio di una “politicizzazione” del salario minimo ad essere controverso, ma anche l’importo in sé.

I promotori argomentano che il livello dei salari – e dei costi – in Svizzera è globalmente più elevato. Inoltre si risparmierebbero soldi pubblici di prestazioni sociali versate dallo Stato alle economie domestiche povere. Altro argomento dei fautori: i bisogni di una famiglia sarebbero difficilmente coperti da salari inferiori ai 4’000 franchi al mese.

Beat Kappeler

I bassi salari (…) sono persino una chiave d’entrata nel mercato del lavoro per buona parte dei giovani, degli immigrati e delle donne che riprendono l’attività professionale.

Questa è però una duplice ignoranza della situazione delle persone in basso alla scala salariale. In primo luogo, è provato che praticamente tutte le economie domestiche dispongono di diversi redditi ausiliari e non soltanto di questo stipendio.

In secondo luogo, studi dell’OCSE sottolineavano già diversi anni fa che coloro che percepiscono bassi stipendi spesso con il tempo avanzano nella scala salariale. Per taluni i bassi salari costituirebbero un punto di passaggio e non il punto finale della vita professionale. Essi sono persino una chiave d’entrata nel mercato del lavoro per buona parte dei giovani, degli immigrati e delle donne che riprendono l’attività professionale.

La misura è colma

Il cittadino svizzero che vota dovrà farsi il proprio credo. Potranno quindi intervenire considerazioni collaterali. Da un canto, regna una certa sensazione di esasperazione nei confronti dei salari e dei bonus “garantiti” degli alti dirigenti delle banche. D’altro canto, il mercato del lavoro svizzero è caratterizzato dalla piena occupazione e alcuni potrebbero pensare che ognuno possa cavarsela da solo, senza interventi dello Stato o dei sindacati.

Alcune aziende esportatrici in situazione delicata a seguito della brutale rivalutazione del franco svizzero nel 2010 non mancheranno di predicare ai loro dipendenti di dare prova di moderazione su questa questione salariale. Si spera che questa moderazione svizzera prevalga anche in tutti gli altri settori.

Beat Kappeler, 67 anni, economista, editorialista, scrive in particolare per il domenicale

NZZ am Sonntag. Ha pubblicato vari libri sull’economia elvetica, su temi di politica sociale, sulla crisi finanziaria e sulla politica europea della Svizzera. Ha insegnato politiche sociali all’Istituto universitario di alti studi di amministrazione pubblica (IDHEAP) a Losanna. Ha anche un passato di sindacalista: è stato segretario centrale dell’Unione sindacale svizzera (USS).

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