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Talebani pronti alla guerra santa

Manifestazioni in Pakistan a sostegno dei talebani e contro un attacco americano Keystone

I fondamentalisti islamici, al potere a Kabul, hanno annunciato di voler riprendere la guerra santa contro gli Stati uniti, nel caso di un attacco armato all'Afghanistan. Da Washington, il presidente George W. Bush ha lanciato avvertimenti ai Talebani, dichiarando inoltre di voler prendere, vivo o morto, il terrorista Osama bin Laden.

Questo contenuto è stato pubblicato il 18 settembre 2001

Dal sospetto all'accusa: se fino a domenica il ricco terrorista di origine saudita Osama bin Laden era il sospetto numero uno, da lunedì l'affermazione di Bush ufficializza il colpevole per le stragi di martedì 11 settembre a New York e Washington.

Dal Pentagono il presidente americano ha anche messo in guardia i talebani, invitandoli a prendere "sul serio" le sue dichiarazioni, gettando benzina sul fuoco della spasmodica attesa della risposta armata americana.

Anche il segretario di stato americano lunedì ha confermato: "tutte le strade delle indagini portano a bin Laden", ha detto Colin Powell nell'incontro con la stampa, riconoscendo inoltre che: "la norma di legge che impedisce di uccidere un leader straniero è in discussione".

Il regime di Kabul, reo di proteggere bin Laden, in queste ore è sotto la pressione diretta del Pakistan: la delegazione di alti funzionari inviati da Islamabad ha deciso di protrarre la sua visita in Afghanistan di un altro giorno, nel tentativo di convincere i talebani del concreto rischio che il paese corre, a causa di possibili rappresaglie aeree.

Riunione in Afghanistan del consiglio religioso

Secondo un portavoce dei fondamentalisti a Kabul, i talebani si preparano a rilanciare la jihad, la guerra santa, contro gli americani, in caso di aggressione del loro popolo. Una decisione sulla jihad e sull'evenutale estradizione di Osama bin Laden verrà comunque adottata nel corso di una riunione del consiglio degli Ulema a Kabul, che dovrebbe riunire centinaia di rappresentanti religiosi di tutto il paese e potrebbe durare diversi giorni.

Ma le notizie che giungono dal Paese vanno verso la direzione dei preparativi per la resistenza all'attacco americano: in queste ore i Taleban, la milizia integralista che controlla gran parte del paese, hanno schierato 20-25mila uomini sulla frontiera col Pakistan, paese che fino a ieri era il loro principale alleato.

Preparativi di guerra

Una cinquantina di esperti americani, alcuni dei quali appartenenti alle forze speciali, sono arrivati a Islamabad dove, assieme ai responsabili dei servizi segreti pachistani, dovrebbero raccogliere informazioni in vista di un'eventuale rappresaglia aerea Usa contro l'Afghanistan.

Il Pakistan nei giorni scorsi ha garantito all'alleato Usa il sorvolo del proprio spazio aereo oltre a sostegno logistico e alla possibilità per le unità della U.S. Navy di utilizzare i porti del paese, in vista di un attacco contro il paese dei talebani.

Il generale Pervez Musharraf, capo delle forze armate che nel 1999 prese il potere con un incruento colpo di stato - autonominandosi due anni dopo presidente del Pakistan - si trova ora nella poco invidiabile situazione di essere amico sia dei talebani che degli Stati Uniti.

La sua lealtà agli Stati Uniti sta alimentando disordini in casa: trenta partiti che si ispirano al fondamentalismo religioso islamico si sono riuniti lunedì a Lahore, da dove hanno avvertito le autorità che una eventuale cooperazione con gli Usa potrebbe provocare "una guerra civile".

Fuga in massa dall'Afghanistan

L'Afghanistan da lunedì è completamente isolato. Ventimila persone, temendo una devastante rappresaglia americana per gli attentati della settimana scorsa, sono già arrivate in Pakistan. Altre migliaia sono ammassate alla frontiera, secondo un allarme lanciato dall'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati.

Tutte le agenzie umanitarie se ne sono andate dall'Afghanistan. "Il governo dei Taleban - afferma il portavoce del Comitato internazionale della croce rossa Mario Musa - ci ha detto che non poteva garantire la sicurezza degli stranieri. Non avevamo altra scelta". Secondo l'Onu circa sei milioni di persone - quasi un terzo della popolazione rimasta in Afghanistan - rischiano di non aver cibo a sufficienza nell'inverno che sta arrivando.

Nessuno ha notizie precise sugli otto volontari occidentali in prigione a Kabul dal 5 agosto. Sei donne e due uomini dell'organizzazione umanitaria Shelter Now International (Sni) sono stati accusati di diffondere il cristianesimo in Afghanistan, e rischiano la pena di morte.

Il punto alle indagini

Trapela poco in realtà dalle indagini dell'FBI sulle stragi a New York e Washington. Dopo quasi una settimana di inchieste con gli indizi e gli arresti che si inseguono in tutto il Paese, il ministro della Giustizia John Ashcroft ha detto pubblicamente ciò che le fonti investigative ripetevano, in privato, da giorni: "i complici dei dirottatori, che hanno legami con organizzazioni terroristiche, potrebbero essere ancora presenti negli Stati Uniti".

Presenti e pronti a colpire, come l'Fbi sospetta che fossero alcune persone che adesso si trovano in arresto, anche se non con contestazioni legate direttamente agli attacchi a Washington e New York. Il bilancio delle persone fermate per essere interrogate è di 49, alle quali si aggiunge un numero imprecisato (si parla di 3 o 4 persone) di arresti su mandato di cattura emesso esplicitamente per le stragi.

Ashcroft ha assicurato la presenza di agenti armati in borghese sui voli civili.

Nel quadro delle indagini, resta decisiva la pista di Amburgo, dove hanno vissuto almeno tre dei 19 dirottatori. Ma sono molti gli spunti che gli investigatori a cui è affidato il caso, saliti a 7.300, seguono dentro e fuori dagli Usa.

Procedono anche in Svizzera, a ritmo serrato, le indagini del Ministero Pubblico della Confederazione su uno degli autori degli attacchi terroristici negli USA che risulta aver soggiornato in Svizzera e che ha acquistato due coltelli a Zurigo. Nessun commento riguardo a presunti soldi del plurimilionario Osama Bin Laden che sarebbero transitati attraverso una società di Lugano.

Soccorsi e vittime

Il numero dei dispersi, nell'attacco di una settimana fa contro le Torri gemelle di New York, è improvvisamente salito a 5422. 201 invece i corpi recuperati.

Fra le vittime, vi sono cittadini di una quarantina di nazionalità. "Dall'Argentina allo Zimbabwe", ha detto il sindaco Rudolph Giuliani. Quasi a zero le speranze di ritrovare superstiti ma si continua a cercare: "qualcuno potrebbe avercela fatta ed essere ancora vivo nelle gallerie sotto il World Trade Center", sprona Giuliani.

A Washington, il numero delle vittime appare ormai fissato in modo stabile a 198. I corpi già recuperati sono 95.

Scende anche il numero di svizzeri irreperibili dopo l'attacco terroristico negli Usa dell'11 settembre: lunedì sera erano tuttavia ancora 100, ha annunciato il Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae), che ha inviato due psicologi a New York per assistere i famigliari delle possibili vittime.

Si continua a temere il peggio per i sei svizzeri che al momento dell'attacco si trovavano nel World Trade Center o nelle immediate vicinanze, ha detto Walter Thurnherr, responsabile per gli svizzeri all'estero nel Dfae. A costoro si aggiungono i due coniugi elvetici che si trovavano su uno degli aerei utilizzati per gli attacchi.

Vista l'accresciuta tensione internazionale a seguito degli attacchi antiamericani, il Dipartimento degli esteri sconsiglia qualsiasi viaggio in direzione del Pakistan, dello Jemen e dell'Afghanistan.

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