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Vertenza fiscale con gli USA: il peggio forse è passato

La banca Wegelin ha suscitato le ire delle autorità americane Reuters

L’atto d’imputazione contro la banca privata elvetica Wegelin ha rappresentato l’apice del conflitto fiscale tra Svizzera e Stati Uniti, ritiene l’ambasciatore americano a Berna. Per Donald Beyer, gli altri istituti saranno più inclini a cooperare.

A Berna da due anni e mezzo, Donald Beyer è in prima linea nella risoluzione del conflitto che oppone le autorità americane alle banche svizzere, sospettate di aver aiutato dei clienti statunitensi a frodare il fisco nel loro paese. Nell’intervista concessa a swissinfo.ch, l’ambasciatore osserva che il peggio è passato e che le altre dieci banche attualmente sotto inchiesta mostrano una maggiore volontà di cooperazione.

Beyer risponde anche alle critiche per l’introduzione prevista il primo gennaio 2014 del Foreign Account Tax Compliance Act (Fatca), che impone alle istituzioni finanziari non statunitensi un dovere di trasparenza totale sui depositi e averi bancari di tutte le persone che hanno dei conti da rendere al fisco americano. Questa legge avrebbe spinto un centinaio di statunitensi che vivono in Svizzera a rinunciare al passaporto USA.

swissinfo.ch: Negli ultimi tempi, i rapporti tra Svizzera e Stati Uniti sono stati dominati dalle investigazioni del fisco americano. Le relazioni non rischiano di peggiorare ulteriormente se le indagini contro le altre banche svizzere dovessero proseguire?

Donald Beyer: A mio avviso abbiamo già raggiunto il punto più basso, con l’atto di accusa contro Wegelin e la decisione della banca di cedere la maggior parte dei suoi attivi a Raiffeisen. Gli altri istituti sembrano più inclini a cooperare. Credit Suisse e Julius Bär hanno indicato recentemente negli organi di stampa che vogliono aiutarci con tutti i mezzi possibili. Penso che alcune delle banche implicate sarebbero pronte a trasmetterci dei dati se la legge svizzera le autorizzasse. Finora ritengono che questa autorizzazione non esista e aspettano che i due governi trovino una soluzione.

Abbiamo avuto dei colloqui regolari con il segretario di Stato svizzero Michael Ambühl. Ho anche contatti frequenti con l’Internal Revenue Service (IRS, il fisco USA, ndr) e il dipartimento di giustizia. Tutti questi processi avanzano, anche se in modo più lento di quanto auspicheremmo.

swissinfo.ch: La Svizzera capisce la posizione degli Stati Uniti in questo dossier fiscale? In che occasioni avete potuto spiegare il punto di vista di Washington alle autorità elvetiche?

D.B.: Non sono sicuro che il cittadino medio capisca veramente qual è la posta in gioco, poiché le questioni sollevate sono complesse. Per contro, sono convinto che il governo e i ministri capiscano molto, molto bene. E hanno dato prova di un’attitudine molto costruttiva nel cercare una buona soluzione.

Certo, ci sono delle tensioni. Quello che sottolineiamo sempre, è che tutta questa vicenda non costituisce un attacco contro le banche svizzere, ma un tentativo di smascherare qualche migliaio di americani che hanno frodato il fisco negli Stati Uniti e di far pagare loro il dovuto.

swissinfo.ch: Cosa dice a tutti i contribuenti americani onesti che hanno stretti legami con la Svizzera, ma che sono sospettati solo perché possiedono un conto in una banca elvetica o a volte non sono accettati come clienti a causa della loro cittadinanza? Questo aspetto, abbinato ai timori legati all’introduzione del Fatca, fa sì che alcuni di loro non esitino addirittura a rinunciare alla cittadinanza americana…

D.B.: Bisogna differenziare a seconda dei casi. Da un lato ci sono sicuramente degli espatriati americani che hanno difficoltà ad aprire un conto in una banca svizzera. Così come alcuni svizzeri che vivono negli Stati Uniti hanno avuto delle noie per conservare i loro conti negli istituti elvetici.

Abbiamo consigliato loro di pazientare e di essere perseveranti. Pazienti poiché nessuna legge e nessun regolamento in Svizzera e negli Stati Uniti obbliga le banche a prendere simili decisioni. Le banche agiscono come vogliono nel quadro degli affari correnti. A volte decidono di rinunciare ai clienti americani. Se agiscono in questo modo è sicuramente perché non sanno se le inchieste dell’IRS possano in un modo o nell’altro metterle in pericolo.

Per quanto concerne l’introduzione del Fatca, esso ha fatto nascere molte inquietudini in tutto il mondo. Bisogna dare atto alla Svizzera di essere stato il primo Stato a puntare il dito sulle ricadute involontarie che questo provvedimento potrebbe avere. Ho comunicato diverse volte al dipartimento di Stato americano i punti problematici sollevati dai banchieri svizzeri e dai membri del governo. La buona notizia è che il governo americano sta prendendo tutto ciò molto sul serio.

Non posso affermare che non vi sia nessun legame tra il Fatca e i casi di rinuncia alla cittadinanza americana. Vi sono però diversi modi di vedere le cose. L’anno scorso, 1’708 cittadini americani nel mondo hanno rinunciato al loro passaporto, 100 dei quali in Svizzera. La maggior parte sono persone nate negli Stati Uniti ma che hanno sempre vissuto in Svizzera o hanno l’intenzione di restarvi tutta la loro vita. Non hanno voluto sottostare al Fatca o alla responsabilità di riempire una dichiarazione d’imposte.

Quello che è veramente interessante, è che nello stesso periodo 11’539 cittadini svizzeri si sono candidati per ottenere la «green card», mentre solo 100 cittadini americani che vivono in Svizezra hanno rinunciato alla loro nazionalità. Ciò equivale a una proporzione di 110 a 1.

swissinfo.ch: Secondo gli enti di promozione economica basati in Svizzera, le aziende americane starebbero gelando i loro piani di investimento in attesa che la vertenza fiscale tra i due paesi sia risolta. In che misura il conflitto fiscale, abbinato al franco forte, nuoce alle relazioni commerciali tra Svizzera e Stati Uniti?

D.B.: Non sono a conoscenza di questo fatto, ma non posso neanche affermare il contrario. Ritengo che le cose tra i nostri due paesi funzionino relativamente bene. Certo, il franco forte ha un impatto negativo sulla Svizzera, ciò non impedisce però a numerosi turisti americani di trascorrere qui le ferie. In senso inverso, 470’000 svizzeri si sono recati negli Stati Uniti nel 2011, ciò che rappresenta un aumento del 23% rispetto all’anno prima.

Nel 2010, la Svizzera è stata il più importante investitore diretto estero nell’economia statunitense. Le statistiche finali per il 2011 dovrebbero confermare questa tendenza. Inoltre circa 600 aziende americane hanno oggi la loro sede sociale o operativa in Svizzera. Attorno a queste imprese si è agglomerata una comunità americana piena di vita.

swissinfo.ch: Cosa le resta ancora da fare prima della fine del suo mandato in Svizzera?

D.B.: La prima priorità è di risolvere le questioni bancarie. Penso che tutti siano d’accordo nel riconoscere che si tratta essenzialmente di un’eredità del passato, dovuta a vecchie decisioni prese quando non c’erano né trattati, né leggi e mancava una certa consapevolezza. Oggi dobbiamo superare questa eredità.

La seconda priorità è di sviluppare gli accordi per lo scambio di informazioni, che permetteranno di proseguire la politica di esenzione dei visti. Molti paesi europei, tra cui l’Austria, che ha leggi altrettanto severe di quelle svizzere in materia di protezione della sfera privata, hanno già negoziato questi accordi. Due o tre settimane fa, il governo svizzero ha conferito un mandato negoziale all’Ufficio federale di polizia. Penso che vi siano buone speranze che il dossier vada in porto.

Donald Beyer è stato nominato ambasciatore degli Stati Uniti in Svizzera dal presidente Barack Obama nel giugno 2009. È entrato in funzione il 15 agosto 2009.

Nato in Italia, prima entrare in politica Donald Beyer è stato un uomo d’affari di successo.

Ex vice governatore e presidente del Senato dello Stato di Virginia dal 1989 al 1998, Donald Beyer è considerato come un importante donatore del Partito democratico. Secondo il «Center for responsive politics», per la campagna presidenziale di Obama nel 2008 avrebbe raccolto più di 500’000 dollari.

UBS è stata la prima banca svizzera a ritrovarsi nel collimatore della giustizia americana. Nel 2009 l’istituto è stato condannato al pagamento di una multa di 780 milioni di dollari per aver aiutato dei contribuenti americani a frodare il fisco.

L’anno seguente, il governo svizzero ha siglato un accordo per la trasmissione dei dati di 4’500 clienti americani di UBS alle autorità statunitensi. L’accordo è stato ratificato dal parlamento nel 2010.

Due amnistie fiscali negli Stati Uniti – una terza è iniziata in gennaio – hanno permesso di smascherare 30’000 persone che hanno frodato il fisco. La giustizia statunitense ha potuto raccogliere numerose prove sulla complicità delle banche svizzere.

Diversi banchieri e avvocati svizzeri sono stati arrestati o indagati negli ultimi mesi negli Stati Uniti. Tra di loro, vi sono anche tre dirigenti della banca privata Wegelin, incolpati il 3 gennaio scorso. Il 27 gennaio, Wegelin ha annunciato la vendita di gran parte dei suoi attivi al gruppo Raiffeisen.

Il 3 febbraio, la giustizia americana ha incolpato Wegelin per aver aiutato e incitato dei clienti americani a frodare il fisco. È la prima volta che una banca estera è formalmente incolpata per simili pratiche negli Stati Uniti.

Il Foreign Account Tax Compliance Act (Fatca) è stato adottato nel 2010 negli Stati Uniti. È stato concepito per sbarrare la strada alle scappatoie nelle regolamentazioni esistenti.

La nuova legge obbligherà le società straniere a dichiarare al fisco americano tutti gli averi di un importo superiore ai 50’000 dollari depositati da cittadini statunitensi all’estero.

Gli Stati Uniti sperano che la nuova legislazione possa portare nelle casse dello Stato 10 miliardi di dollari nello spazio di dieci anni. Il costo annuo per l’implementazione delle misure previste dalla legge sono stimati in 100 milioni di dollari per ogni banca straniera.

(traduzione di Daniele Mariani)

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