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A Bengasi è di ritorno l’ottimismo

Molti volontari hanno dato una mano a ripulire le strade di Bengasi. AFP

Lo storico centro della rivolta anti Gheddafi è da qualche mese sede del Consiglio nazionale libico di transizione, l'organo che si appresta ad assumere il controllo del paese. Intervista a Daniel Beyeler, responsabile dell'ufficio dell’aiuto umanitario svizzero a Bengasi.

In preda a una sanguinaria guerra civile, la Libia sta entrando lentamente in una nuova era. Secondo gli osservatori internazionali, il regime di Gheddafi è infatti destinato a crollare.

Un momento che la popolazione sta attendendo con ottimismo da 42 anni, spiega Daniel Beyeler, a capo dell’ufficio a Bengasi del Corpo svizzero di aiuto umanitario, un’agenzia della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC).

L’ufficio elvetico è stato aperto a metà marzo per assistere le persone in difficoltà. swissinfo.ch ha incontrato Beyeler durante un suo passaggio in Svizzera.

swissinfo.ch: Quale è la situazione a Bengasi?

Daniel Beyeler: L’atmosfera è tranquilla e la situazione è quasi tornata alla normalità. C’è parecchio traffico e nelle strade si rivedono poliziotti in uniforme. I locali e quasi tutti i negozi sono di nuovo aperti. La gente sta ripulendo le strade, ciò che è di buon auspicio in vista di una nuova era.

Le persone incontrate per strada e i miei collaboratori si dicono molto fiduciosi. Sono convinti che stanno per entrare in un periodo di transizione. Mi sembra che abbiano abbastanza fiducia nel Consiglio nazionale di transizione [istituito dagli oppositori di Gheddafi per rappresentare la Libia, ndr].

Nel consiglio ci sono persone di Bengasi, Tripoli, Brega o Misurata. Da ciò che ho visto, non c’è alcuna intenzione di dividere il paese.

swissinfo.ch: In quali progetti sono coinvolti l’aiuto e la cooperazione svizzera?

D. B.: Ci concentriamo sull’aiuto umanitario, principalmente in campo sanitario e alimentare. Sosteniamo gli ospedali di Tubruk e di Bengasi e forniamo medicamenti. Due giorni fa è approdata un’imbarcazione con a bordo 20 tonnellate di latte in polvere.

Lavoriamo poi in progetti a favore degli sfollati interni. A Bengasi ci sono al momento 65’000 persone ripartite in 77 campi e in comunità di accoglienza. Forniamo loro materiale come materassi e coperte.

swissinfo.ch: Ci sono anche persone venute da altri paesi?

D. B.: Fino al 2 giugno, quasi 950’000 persone provenienti dai paesi vicini hanno lasciato la Libia. Fin dall’inizio, la DSC e l’Ufficio federale della migrazione hanno sostenuto finanziariamente l’Organizzazione internazionale della migrazione. Abbiamo anche messo a disposizione un esperto per organizzare, quando possibile, il rimpatrio dei cosiddetti cittadini dei paesi terzi.

swissinfo.ch: Quale tipo di aiuto sta fornendo la Svizzera? Finanziario? Logistico?

D. B.: Da una parte sosteniamo il nostro partner principale, ovvero il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Abbiamo anche contribuito finanziariamente al Programma Alimentare Mondiale e all’agenzia delle Nazioni Unite per l’aiuto umanitario.

D’altra parte agiamo invece in modo diretto, ad esempio fornendo assistenza medica agli sfollati interni o sostenendo progetti a favore delle donne.

Quelli che distribuiamo sono medicinali particolari, utilizzati ad esempio dai pazienti con un tumore o che hanno subito una chemioterapia. Sono abbastanza costosi e al momento i canali di distribuzione tra la Libia e il resto del mondo sono bloccati. I medicinali arrivano a Bengasi via mare e la loro distribuzione è supervisionata dal nostro staff sul posto.

swissinfo.ch: Sembra che la gente a Bengasi sia ben organizzata. Nessun problema a livello di corruzione o di distribuzione degli aiuti?

D. B.: Non credo. Tutte le persone con le quali ho discusso sono estremamente oneste. Lavorano duramente e sono felici di dare una svolta alla loro vita.

È impressionante notare l’entusiasmo della popolazione. Ogni giorno la gente si ritrova nel centro di Bengasi, si siede assieme e discute. È un’atmosfera molto piacevole.

swissinfo.ch: E come reagiscono le donne? È stato incredibile vedere le donne scendere in strada durante tutte queste rivoluzioni arabe…

D. B.: In effetti è così. In passato le organizzazioni non governative a favore delle donne non potevano agire in Libia. Ho però trovato un gruppo di donne che da dieci anni sostiene i poveri a Bengasi. Le organizzazioni femminili esistono e stanno assumendo maggiore importanza.

swissinfo.ch: Un cambiamento accettato anche dagli uomini?

D. B.: Sì, le persone hanno una mentalità aperta. Credo che ciò sia di buon auspicio per il futuro. Tra i miei collaboratori locali vedo gente istruita che ha voglia di imparare. C’è pure molta gente emigrata all’estero che ora fa ritorno in Libia per sostenere il paese. È sbalorditivo.

swissinfo.ch: La Svizzera ha deciso di venire a Bengasi così da posizionarsi per il futuro?

D. B.: No. La nostra missione principale è la solidarietà e il sostegno alle persone in difficoltà. Diversi organi umanitari sono giunti in Libia allo stesso tempo della Svizzera e l’azione è stata coordinata dalle Nazioni Unite.

Esiste inoltre un Comitato libico per l’aiuto umanitario che agisce sotto il Consiglio nazionale di transizione e coordina tutti gli sforzi umanitari. Si tratta di giovani che lavorano con successo assieme all’ONU.

swissinfo.ch: Nessun problema di rivalità o di attuazione dei progetti?

D. B.: Assolutamente no. Il tutto si è svolto correttamente sin dall’inizio. È un piacere lavorare qui.

swissinfo.ch: Ci sono anche arabi di altri paesi ad essere attivi in campo umanitario?

D. B: Certo, ad esempio l’Organizzazione islamica di soccorso. Nelle riunioni di coordinamento ci sono persone che provengono da ogni parte del mondo, da est a ovest. Tutti partecipano.

Il Corpo svizzero di aiuto umanitario dispone da metà marzo 2011 di un ufficio a Bengasi, la seconda città più importante della Libia.

Il suo scopo è di valutare i bisogni e di fornire un aiuto d’emergenza.

Attualmente vi lavorano dieci persone: il consulente sanitario è un dottore dalla doppia cittadinanza svizzera-libica, mentre cinque persone sono del posto.

La sua azione si focalizza nell’assistenza sanitaria e nell’alimentazione, in particolare in favore degli sfollati interni.

A Bengasi, il governo svizzero sostiene anche finanziariamente diverse organizzazioni di aiuto.

A fine aprile erano stati versati 550’000 franchi al Comitato Internazionale della Croce Rossa, 1’500’000 franchi all’Organizzazione internazionale della migrazione, 500’000 franchi al Programma Alimentare Mondiale e 300’000 franchi all’ufficio dell’ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari.

La rivolta popolare contro il regime di Gheddafi è scoppiata a Bengasi nel febbraio 2011, nello stesso periodo delle sommosse in Tunisia e in Egitto (“primavera araba”).

È stata innescata dall’arresto a Bengasi di un attivista per i diritti umani.

Il governo ha reagito con bombardamenti aerei, ciò che ha portato alcuni ministri e alti rappresentanti libici a dimissionare in segno di protesta.

A fine febbraio è stato creato il Consiglio nazionale di transizione, il “volto politico dell’insurrezione”.

Nel mese di marzo, il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha autorizzato una “no-fly zone” al di sopra della Libia; la Nato ha lanciato una serie di attacchi aerei per proteggere i civili.

Dopo aver conquistato alcune cittadine sulla costa orientale, gli insorti hanno puntato su Tripoli. Sono però stati respinti dalle truppe di Gheddafi.

Scontri si sono verificati anche nelle regioni occidentali del paese, zone in gran parte inaccessibili per giornalisti e organizzazioni di aiuto.

Le sommosse hanno provocato una fuga in massa di stranieri, principalmente di lavoratori giunti in Libia dai paesi vicini (Tunisia, Egitto, Algeria, Niger, Chad e Sudan solo per citarne alcuni).

Nonostante la forte pressione internazionale, Gheddafi ha annunciato di non volersi arrendere.

Secondo una stima di fine aprile dell’amministrazione statunitense, i morti dall’inizio dell’insurrezione sarebbero tra i 10’000 e i 30’000.

Traduzione di Luigi Jorio

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