A Genova come a Davos: criminalizzata l’anti-globalizzazione?

Una repressione massiccia dei militanti anti-globalizzazione potrebbe avere conseguenze incalcolabili: i giovani impegnati rischiano di avere un'immagine negativa dello Stato e di perdere fiducia in esso, sostiene Jean Rossiaud, dell'Osservatorio dei movimenti sociali dell'Università di Ginevra. E un avvocato vicino agli ambienti contrari al Forum economico di Davos insiste: si sta criminalizzando la protesta.
«L’uso di mezzi giuridici contro i movimenti sociali tende ad aumentare fortemente», afferma Viktor Györffy, membro di un collettivo di avvocati zurighesi che difendono gli oppositori al Forum economico mondiale di Davos (WEF). Le proteste hanno portato le autorità a moltiplicare le misure per garantire la sicurezza: divieti di manifestare, condanne, impossibilità di passare le frontiere, restrizioni alla libertà di movimento e schedature.
Secondo Györffy quest’ultimo strumento è più pericoloso a disposizione delle autorità: «Una parte delle informazioni raccolte al WEF sono state utilizzate a Genova per il vertice dei G8», ha detto. Il fatto che le schede siano distrutte nei Grigioni non significa infatti che altrettanto avvenga a livello federale e internazionale.
Per l’avvocato, perlomeno dopo Davos è diventato chiaro che lo Stato considera individui violenti tutti coloro che sono fortemente impegnati per una causa. Un gran numero di individui sono quindi limitati nell’espressione dei loro diritti politici. Questo nonostante la maggioranza di manifestanti non adotti una strategia violenta.
Dal canto suo Jean Rossiaud, ritiene che si stia assistendo siaa una strutturalizzazione del movimento di massa che ad una sua radicalizzazione. La frangia radicale si divide in due categorie: quella minoritaria, che fa ricorso alla violenza, non costituisce un fenomeno nuovo. Il problema è costituito da coloro che puntano su una «non-violenza attiva», che potrebbero in futuro non rifiutare più lo scontro.
Gli stati non sanno bene cosa fare, rileva Rossiaud. Quali garanti della pubblica sicurezza non possono accettare la violenza materiale, ma non hanno né interesse né voglia di reprimere un movimento sociale che mette in causa il carattere democratico degli stati europei. Secondo Rossiaud comunque per il momento l’ipotesi di una radicalizzazione che porti al terrorismo è da scartare.
swissinfo e agenzie

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