Aborto depenalizzato solo fino a 12 settimane: i senatori restringono i termini

Se il dibattito sulla depenalizzazione dell'aborto non esistesse, bisognerebbe inventarlo per illustrare la ricerca spinta all'estremo di un consenso politico. Il dibattito in parlamento dura ormai da 30 anni.
Questa discussione, approdata venerdì alla Camera alta dopo vari rinvii, ha le sue origini nell’iniziativa parlamentare inoltrata nel 1993 dalla deputata socialista Barbara Haering, in favore di una depenalizzazione dell’aborto, per una “soluzione dei termini” che permetta l’interruzione della gravidanza durante le prime 14 settimane.
Questa iniziativa è già stata approvata nel 1998 alla Camera bassa. La Camera alta l’ha dunque fatta sua, con 21 voti contro 18. Ha però introdotto restrizioni supplementari, come il termine massimo per abortire di 12 settimane invece delle 14 accettate dai deputati. Inoltre, la donna che vuole abortire dovrà inoltrare una domanda scritta e far valere una situazione di grande difficoltà. È anche stato rafforzato il ruolo del medico, che deve informare in modo completo la paziente se non vuole dovere rispondere davanti alla giustizia.
La legge che regola oggi l’aborto data del 1942. Essa prevede eccezioni al divieto di principio “quando una gravidanza possa far temere un danno grave e permanente alla salute della donna incinta.” Questa legislazione non impedisce che in Svizzera si compiano ogni anno 13.000 aborti.
Il presidente della commissione giuridica, il senatore Dick Marty, ha ricordato che la repressione penale in questo campo provoca soltanto miseria e clandestinità. “La soluzione attuale è indegna di uno Stato di diritto e in realtà oggi nel nostro paese esiste già una soluzione dei termini”, ha rilevato Marty, dove diversi cantoni hanno un atteggiamento relativamente liberale.
Per la maggioranza della commissione, è importante mettere a disposizione della donna incinta una struttura che la possa consigliare, ma il ricorso a questa struttura non deve essere obbligatorio. E qui stava la principale differenza all’interno della commissione, che al termine dei lavori preparatori aveva accettato la variante della consultazione facoltativa di strettissima misura.
La proposta di minoranza, difesa soprattutto dai democristiani e dalla destra conservatrice, proponeva l’obbligatorietà della consultazione. Questo “avrebbe permesso alla donna di conoscere altre opinion e di entrare in contatto con specialisti; le donne straniere avrebbero potuto avere a disposizione interpreti e, in definitiva, la decisione finale della donna sarebbe diventata più solida.”
In realtà, affermano coloro che vogliono invece lasciare la libertà alla donna di ricorrere a una consultazione, chi era per un tale obbligo tralasciava completamente le condizioni in cui si sarebbe dovuta svolgere la consultazione e si concentrava sull’aspetto burocratico e formale.
Secondo Dick Marty, questa soluzione della minoranza trascurava totalmente la dimensione etica. “Si privilegiavano i formulari invece della qualità della consultazione; inoltre, si dimentica che con l’apertura di un dossier per ogni consultazione si rischia di violare la sfera privata.” Per finire, i senatori hanno accettato la versione della maggioranza con 21 voti contro 19.
Il governo, favorevole dal canto suo alla consultazione obbligatoria della donna che vuole abortire, presenterà nelle prossime settimane al parlamento il messaggio su un’iniziativa popolare pendente che vuole invece proibire radicalmente l’aborto. Il governo è contrario a questa iniziativa e non intende opporle alcun controprogetto. La soluzione dei termini, dopo l’eliminazione delle divergenze tra le due Camere, potrebbe però costituire un controprogetto indiretto.
Mariano Masserini

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