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Accordo con gli USA su UBS: i deputati dicono no

La strada è ancora lunga. Reuters

La camera bassa del parlamento ha respinto martedì l'accordo siglato con gli Stati uniti, che prevedeva la consegna alle autorità americane dei dati riguardanti migliaia di clienti di UBS. L'intesa non è però ancora definitivamente affossata.

Con 104 voti contro 76 e 16 astenuti, i deputati hanno rifiutato di ratificare l’accordo che prevede la comunicazione alle autorità fiscali di Washington dei dati relativi a 4’450 clienti.

Attese disattese

L’intesa è stata sostenuta unicamente da radicali e democristiani, mentre la sinistra si è opposta, in ragione delle mancate garanzie concernenti le grandi banche e il rischio di fallimento.

Martedì sera, con 123 voti contro 67 e 2 astenuti, la Camera del popolo non ha infatti voluto entrare in materia sulla pianificazione governativa di misure per limitare i rischi sistemici causati dalle grandi aziende.

L’Unione democratica di centro (destra nazional-conservatrice) ha dal canto suo bocciato l’accordo poiché non ha apprezzato il sostegno dato dal Consiglio degli Stati, giovedì scorso, a due mozioni che mirano all’imposizione dei bonus dei manager.

L’UDC ha chiesto martedì al Nazionale di pronunciarsi sulle due mozioni, prima di decidere in merito alla sorte dell’accordo con gli USA. Tuttavia, la mozione d’ordine è stata respinta con 125 voti contro 58 e 5 astenuti. A quel punto, Caspar Baader ha annunciato che il suo partito avrebbe respinto l’accordo «non essendo disposto a ingoiare anche questo rospo».

Prima del voto, la camera del popolo aveva deciso con 97 voti contro 78 di sottoporre l’intesa a referendum facoltativo, contrariamente al Consiglio degli Stati dove era prevalsa l’opinione che un voto popolare avrebbe dilatato i tempi di applicazione dell’intesa.

La palla torna ora nel campo dei senatori, che avevano avallato l’intesa il 3 giugno.

Senatori favorevoli

Alcuni giorni or sono, la maggioranza dei senatori aveva infatti seguito gli argomenti del liberale radicale ticinese Dick Marty, il quale aveva fatto presente che l’intesa riguarda un numero limitato di casi e si basa sull’accordo di doppia imposizione del 1996, non sottoposto al referendum facoltativo.

Al termine di un dibattito di quasi cinque ore, i senatori aveva approvato l’accordo, con entrata in vigore retroattiva, con 31 voti contro 12.

Banchieri delusi

Urs Roth, presidente dell’Associazione svizzera dei banchieri, ha definito il responso di martedì «una doccia fredda», esprimendo delusione per la decisione dei deputati ma rammentando nel contempo che il verdetto non è definitivo.

«Sono convinto che alle fine il parlamento approverà l’accordo, poiché quest’ultimo è nell’interesse della Confederazione. A essere in gioco non è la credibilità della piazza finanziaria, bensì quella del governo svizzero di fronte agli Stati Uniti», ha aggiunto Roth.

swissinfo.ch e agenzie

Febbraio 2009: la FINMA (Autorità federale di vigilanza dei mercati finanziari) autorizza la consegna agli USA dei nomi di 255 clienti di UBS sospettati di evasione fiscale.

Marzo 2009: il governo annuncia di volersi adeguare agli standard dell’OCSE; per farlo, deve allentare il segreto bancario.

Agosto 2009: la Svizzera e gli Stati Uniti raggiungono un accordo sulla vertenza UBS. La Confederazione si impegna a trattare entro un anno una domanda di assistenza amministrativa che riguarda circa 4’450 conti.

5 gennaio 2010: il Tribunale amministrativo federale (TAF) giudica che la FINMA non disponeva di una base legale sufficiente per consegnare alla giustizia statunitense i dossier di 255 clienti di UBS. La FINMA deposita un ricorso al Tribunale federale.

22 gennaio 2010: il TAF dà ragione ad una cittadina statunitense e stabilisce che l’assistenza giudiziaria agli USA può essere accordata solo nei casi di frode fiscale, ma non in quelli di evasione. L’accordo tra Svizzera e Stati uniti è da considerarsi extragiudiziale e non può prevedere modifiche su questo punto.

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