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Beni culturali: commercianti e istituzioni in trincea

Queste statuette del Secondo secolo avanti Cristo, fanno parte di una prestigiosa collezione privata elvetica Keystone

Il disegno di legge sul trasferimento dei beni culturali è pronto. Ma gli operatori del settore non ci stanno.

La Svizzera è una delle principali piazze di scambio per l’antiquariato e le antichità. Nel 1999 il settore registrava un giro d’affari dichiarato di un miliardo di franchi, conquistando il quarto posto a livello internazionale.

Ma l’accusa di essere alta in graduatoria grazie a loschi affari è sempre in agguato. E infatti negli ultimi anni sono aumentate considerevolmente le denuncie penali, volte alla restituzione di beni trafugati, lo registra un rapporto federale. In molti casi si tratta di beni arrivati in Svizzera durante il periodo nazi-fascista. Ma la Svizzera non dispone ancora di un ordinamento organico che possa difendere il mercato pulito da quello in ombra.

L’Interpol denuncia già da anni il commercio di beni culturali, come una delle voci più importanti del mercato nero, dopo la droga e le armi. Il settore sarebbe inoltre terreno fertile per il riciclaggio del danaro sporco.

Gli sgarri scoperti sono spesso stati cavalcati ripetutamente dalla stampa internazionale e le regole deontologiche che gli operatori stessi si sono imposti non bastano a far tacere le accuse e coprire le lacune.

Con la ratifica della Convenzione dell’UNESCO del 1970 si cerca di correre ai ripari ed evitare un ulteriore danno d’immagine. Il processo legislativo è partito nel 1993 con la mozione della consigliera nazionale Ruth Grossenbacher. La consultazione del disegno di legge è finita nel gennaio 2001.

Il progetto degli operatori del settore

Adesso, prima del vaglio del Parlamento, un gruppo di commercianti del settore e collezionisti privati si è fatto avanti con un’altra proposta. Attraverso un’iniziativa parlamentare del Consigliere nazionale argoviese Ulrich Fischer si mettono in discussione parti essenziali del progetto governativo.

Si tratta di una sorpresa, perché in sede di consultazione anche i gruppi d’interesse erano stati consultati, senza che uscissero delle dissonanze rilevanti alla proposta. Jean-David Kahn, commerciante e coautore della controproposta dà la colpa al clima della comunicazione: “Dalle due parti ci si è comportati come degli autisti: la comunicazione non ha funzionato, adesso però presentiamo una proposta matura”.

Bocche cucite invece all’Ufficio federale: l’iniziativa sostenuta dalle associazioni dei collezionisti e mercanti d’arte vien considerata “mezzo procedurale non conforme”. La stampa denuncia invece il progetto come espressione di interessi particolari.

Al centro della nuova proposta sta la creazione di un catalogo federale dei beni rubati che vincola i rivenditori a confrontare gli oggetti in vendita con questa nuova banca dati. “Piuttosto che gonfiare l’amministrazione federale con compiti di polizia difficilmente realizzabili – spiega Kahn – auspichiamo un potenziamento dell’autoregolazione del settore”.

Al contrario del disegno di legge che prevede un periodo di trent’anni per il diritto di restituzione, la controproposta aspira a soli dieci anni per la prescrizione. Attualmente un compratore in buona fede può tenersi l’oggetto dopo cinque anni dall’acquisto.

Un’ampia sezione è dedicata alla protezione dei beni svizzeri e stranieri con limiti all’esportazione. “Vogliamo che la Svizzera realizzi dei contratti bilaterali con altri paesi per definire in maniera vincolante quali oggetti possono essere venduti”. La proposta venuta dal settore non contempla invece norme sulle rogatorie internazionali.

Tutti e due i progetti non prevedono comunque delle clausole retroattive. Questo esclude quindi la possibilità che la Cina richieda, per fare un esempio, l’importante collezione di oggetti tibetani, conservata a Basilea.

Un fenomeno internazionale

Alla Commissione svizzera dell’UNESCO si segue con attenzione il processo di legislazione. Per la presidente Francesca Gemnetti la questione è fondamentale: “L’adesione a pieno titolo della Svizzera alla Convenzione sui beni culturali è un nostro traguardo”.

I dati disponibili denunciano la vastità del fenomeno e confermano la necessità di provvedimenti legislativi. In vent’anni in Italia sono stati registrati 253’000 furti di beni culturali. Più della metà proviene da chiese. Incalcolabili inoltre i reperti recuperati illegalmente da scavi archeologici clandestini. Nella sola Puglia si contano 100’000 tombe antiche devastate.

Anche in estremo oriente la situazione è preoccupante. Fonti ufficiali cinesi affermano che gli oggetti provenienti da scavi clandestini rappresentano ormai la più importante merce di contrabbando del paese. Non molto differenti i dati del Messico, dell’Africa centrale o dell’ex-blocco sovietico, dove il ladrocinio ha origini recenti.

In attesa del Consiglio federale

Adesso spetta al governo, forse già mercoledì prossimo, pronunciarsi sull’iniziativa parlamentare. Per Kahn l’attesa è grande: “Nessuno crede che la nostra proposta sia costruttiva, ma abbiamo realizzato un progetto che garantisce l’applicabilità e garantirà anche in futuro il ruolo fondamentale dei privati nel collezionismo svizzero”.

Ma sull’autoregolazione del settore c’è poca fiducia da parte Dipartimento dell’interno. Ufficialmente non si rilasciano dichiarazioni, ma si confida nella volontà del governo di tenere fede agli impegni presi con le istituzioni internazionali, attraverso la ratifica della Convenzione dell’UNESCO.

Daniele Papacella

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