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Berlino fa arrabbiare Berna

Il ministro svizzero della finanze Hans-Rudolf Merz con Angela Merkel: i due paesi faticano a trovare una lingua comune Keystone

Il fatto che la Germania abbia l'intenzione di acquistare i dati – rubati – relativi a circa 1'500 evasori fiscali peggiora le relazioni fra i due paesi. Secondo Mark Pieth, professore di diritto penale, si tratta di una vera e propria violazione della sovranità elvetica.

«Ci troviamo di fronte a un attacco in piena regola da parte di uno Stato nei confronti di un altro: è questo il vero problema», dichiara a swissinfo.ch Mark Pieth, docente di diritto all’Università di Basilea. Quest’ultimo è considerato da anni una delle personalità più critiche nei confronti del segreto bancario elvetico.

«Dobbiamo evitare di affermare che la Svizzera ha agito in modo scorretto. Ciò può essere vero, ma in questo caso non è l’aspetto determinante. Il nodo centrale della questione riguarda le relazioni tra due Stati di diritto», precisa Pieth.

Botta e risposta

Secondo il ministro tedesco delle finanze Hans Eichel, invece, la Confederazione mina la fiducia da parte della Germania proteggendo gli evasori fiscali tedeschi. Peter Hänni – professore di diritto pubblico all’Università di Friburgo – fa presente che per la Svizzera non è scontato invocare lo Stato di diritto, considerando il comportamento delle stesse banche elvetiche.

Dal canto suo, Pieth sottolinea che il comportamento della Germania rischia di peggiorare i rapporti tra i due paesi. Secondo il professore, la strategia di Berlino è paragonabile a quella della Cina, quando Pechino aveva appoggiato i pirati informatici che si erano introdotti nei sistemi del Dipartimento statunitense dell’economia. Pieth ritiene «profondamente scorretto» risolvere una situazione difficile ricorrendo a una sorta di baratto.

A suo parere la Confederazione deve evitare di fornire assistenza giudiziaria alla Germania, se sulla base dei dati contenuti nel CD incriminato dovessero essere avviate delle procedure. «Molto spesso le informazioni acquistate non saranno sufficienti per un procedimento giudiziario. Ciò significa che la Germania sarà costretta a minacciare le persone in questione, prefigurando conseguenze gravi, per spingerle all’autodenuncia», spiega.

Aspre critiche

In Svizzera, i partiti borghesi hanno rivolto veementi critiche alla Germania. Alcuni hanno parlato di «dichiarazione di guerra», altri ancora di «scandalo». Secondo la sinistra, quanto sta accadendo è «inaccettabile».

Il democristiano Eugen David, presidente della Commissione di politica estera del Consiglio degli Stati (Camera dei Cantoni), ha ricordato che in merito alla questione non è ancora stata scritta l’ultima parola. Di conseguenza, a suo parere è necessario mantenere il dialogo con Berlino. «Ovviamente riteniamo che un criminale autore di un furto di dati deve essere estradato sulla base degli accordi giudiziari. Inoltre, le informazioni rubate non possono essere utilizzate per altri scopi», precisa a swissinfo.ch.

La liberale radicale Christa Markwalder – presidente della Commissione di politica estera del Consiglio nazionale (Camera del popolo) – ha definito «preoccupante» l’atteggiamento tedesco, e si è chiesta se il cambiamento politico nel paese ha realmente modificato la situazione.

Secondo Christa Markwalder, la Germania e la Svizzera condividono la stessa concezione del diritto: la Confederazione non ha mai negato la propria assistenza giudiziaria anche nei casi di reati fiscali. La presidente ha inoltre ricordato i negoziati in merito all’accordo sulla doppia imposizione. Interpellata in merito alla richiesta dell’Unione democratica di centro (destra nazional-conservatrice) di interrompere le discussioni, Markwalder ha dichiarato che è legittimo porsi la domanda.

Illusione populista?

Secondo Eugen David, minacciare l’interruzione delle trattative sarebbe controproducente: «L’accordo sulla doppia imposizione è importante per entrambi i paesi. Preferisco infatti discutere sulla base di principi chiari». A suo parere, è illusorio pensare che la Germania possa risolvere i propri problemi in materia di evasione fiscale soltanto regolando la situazione con la Svizzera: «Chi vuole pagare meno imposte cercherà nuove mete, indipendentemente dalla Confederazione».

Mark Pieth ritiene necessario evitare due atteggiamenti: attaccare frontalmente la Germania e cedere passivamente. «Conosco molti colleghi a Francoforte che sono pronti a opporsi al modo di procedere della Germania. Si deve quindi cercare il dialogo con le persone che sono disposte a criticare il governo tedesco».

Secondo il professore, vi è però una circostanza che rende tutto più difficile: «Siamo in una fase populista. Angela Merkel non è più molto solida nella sua posizione, e cerca dunque di aumentare la propria popolarità con queste manovre».

Andreas Keiser, swissinfo.ch
(traduzione e adattamento a cura della redazione italiana)

Nell’ultimo anno la Svizzera è stata ripetutamente presa di mira da diversi Stati che vorrebbero costringere Berna a fornire assistenza amministrativa per smascherare evasori fiscali.

L’inizio della crociata ha coinciso con la crisi finanziaria mondiale che ha scavato buchi enormi nei budget di molti Stati.

Su pressione del G-20, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) nell’aprile 2009 ha inserito la Svizzera sulla cosiddetta “lista grigia” dei paesi non cooperativi. La Confederazione è stata stralciata da quell’elenco in settembre, dopo aver sottoscritto dodici convenzioni di doppia imposizione rinegoziate secondo gli standard OCSE in materia di scambio d’informazioni e di assistenza amministrativa in caso d’evasione fiscale.

Ma la tregua è di breve durata. La morsa dei paesi in cerca di fondi evasi all’erario si stringe di nuovo intorno alla Svizzera. In ottobre lo scudo fiscale lanciato dal ministro italiano Giulio Tremonti crea nuove tensioni fra Berna e Roma. In dicembre interviene un conflitto con Parigi, che vuole utilizzare i dati rubati alla banca ginevrina HSBC da un suo ex informatico italo-francese.

Il 22 gennaio 2010, una sentenza di principio del Tribunale amministrativo federale stabilisce che la procedura di assistenza amministrativa prevista dall’accordo extragiudiziale firmato nell’agosto 2009 con Washington non è legale. L’accordo è da rifare.

L’ultimo episodio è di questi giorni. Il 30 gennaio la Frankfurter Allgemeine Zeitung rivela che un anonimo informatore ha offerto a Berlino i dati di evasori tedeschi con conti in banche svizzere. Secondo notizie di stampa, si tratterebbe di 1500 titolari di conti, che sarebbero venduti per 2,5 milioni di euro.

Il 1° febbraio, la cancelliera tedesca Angela Merkel manifesta la volontà del governo tedesco a trattare con l’informatore. “Se i dati sono rilevanti, dobbiamo fare il possibile per entrare in possesso”, dichiara.

Le autorità svizzere gridano allo scandalo, richiamandosi allo stato di diritto. Ma Berlino sembra incurante delle proteste elvetiche. Il 2 febbraio, il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble dice che «in linea di principio la decisione è presa»: Berlino vuole entrare in possesso dei dati e in fretta.

Il governo svizzero deciderà il 3 febbraio come muoversi.

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