Bosnia-Erzegovina, 5 anni dopo la firma di Dayton: la Svizzera mantiene i suoi impegni
Con la firma degli accordi di Dayton finiva la guerra nella Bosnia-Erzegovina. La Svizzera, uno dei primi paesi ad impegnarsi sul posto, ha tracciato venerdì, a Berna, un bilancio dei suoi interventi a livello umanitario e finanziario.
Nel 1999 il parlamento elvetico ha approvato un credito speciale di 50 milioni di franchi, distribuito su un arco di 4 anni, fino al 2003, in favore della ricostruzione economica e sociale della giovane nazione.
Oggi, a cinque anni di distanza, i due attori principali dell’impegno svizzero in questa regione – la Direzione dello sviluppo e della Cooperazione (DSC) e il Segretariato di Stato all’economia, che dipende dal Dipartimento dell’economia -hanno analizzato quanto è stato raggiunto e ciò che resta ancora da fare.
Numerose personalità attive in Bosnia-Erzegovina, come l’ex amministratore dell’ONU nella città di Mostar, Hans Koschnick, o l’ambasciatore Wolfgang Petritsch, Alto rappresentante delle Nazioni Unite in Bosnia-Erzegovina, rappresentanti diplomatici, ministri stranieri e consiglieri federali, nonché la stampa hanno preso parte a Berna alla Quinta conferenza annuale dedicata alla cooperazione svizzera nell’Europa dell’est..Tema del simposio: “Cinque anni dopo Dayton: Bosnia-Erzegovina-Che cosa fa la Svizzera?
Nel suo discorso d’apertura il ministro degli esteri elvetico, Joseph Deiss, ha ricordato la lunga tradizione umanitaria svizzera, soffermandosi sui progetti realizzati dal nostro paese sul posto: dalla ricostruzione di 1450 case in Kosovo, ai profughi alloggiati presso volontari in Serbia, all’assistenza psicosociale offerta in Bosnia-Erzegovina ai bambini,vittime del conflitto.
Nei sei gruppi di studio, diretti da esperti svizzeri e bosniaci, che hanno fatto da cornice alla manifestazione, si è parlato invece molto delle difficoltà incontrate dagli operatori nella trasformazione delle strutture – politiche, economiche e sociali – ancora di stampo comunista: un ostacolo allo sviluppo del paese.
Un processo iniziato prima dell’inizio della guerra e poi arenatosi brutalmente con lo scoppio del conflitto. La guerra ha distrutto anche il tessuto sociale, di importanza vitale, in un paese come la Bosnia-Erzegovina e ha consolidato una mentalità, che stava cambiando, riattizzando l’odio e il desiderio di vendetta.
Un altro grande problema è costituito dalla lentezza delle riforme, dovuto ad una volontà politica spesso ancora troppo debole e alla difficoltà, per la popolazione locale, di adattarsi a nuove forme di convivenza economica e politica.
Inoltre, le speranze del futuro, i giovani, soprattutto i più qualificati, se ne vanno e chi resta o è disoccupato o deve far fronte a drammatiche lacune nell’infrastruttura delle grandi istituzioni. Il reparto di microbiologia dell’Università di Sarajevo, ad esempio, dispone di strumenti di lavoro così limitati da non poter offrire ai propri studenti una formazione adeguata.
In Bosnia-Erzegovina molto resta ancora da fare. Su questo punto i pareri concordano. Tuttavia non mancano gli spiragli di speranza. La violenza è diminuita, le varie comunità sono molto più propense a collaborare, di un tempo e con le ultime elezioni i cittadini hanno dimostrato di aver imboccato definitivamente la difficile via della democrazia. Ma come ha sottolineato Hans Koschnick, nel suo apprezzato discorso, “diamo tempo ai bosniaci, per riprendersi. Le ferite fisiche e psichiche non guariscono rapidamente”.
Per il ministro svizzero dell’economia, Pascal Couchepin, l’obiettivo principale della Svizzera deve essere quello di contribuire a stabilizzare la regione dell’Europa sud-orientale. Lo strumento più idoneo è il Patto di stabilità, nel quale poco tempo fa è stata integrata anche la Repubblica federale jugoslava, ha dichiarato il consigliere federale. Si tratta di uno strumento voluto dall’Unione europea e del quale la Svizzera fa parte come membro a tutti gli effetti.
L’obiettivo finale del Patto di stabilità è l’integrazione politica ed economica dei paesi balcanici nelle strutture europee ed euro-atlantiche: due condizioni essenziali per la stabilità della regione..
Elena Altenburger

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