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CPI: il compromesso europeo soddisfa Berna

Gli edifici della Corte penale internazionale all'Aja Keystone Archive

Le autorità svizzere hanno accolto favorevolmente la proposta europea per risolvere la vertenza con gli Stati Uniti sulla CPI.

Washington sta facendo pressione per strappare accordi bilaterali destinati a garantire l’immunità dei propri cittadini.

Lunedì, dopo mesi di trattative, l’Unione europea (UE) ha deciso di fare un passo verso gli Stati Uniti che, oltre a respingere la Corte penale internazionale (CPI), chiedono addirittura un diritto di immunità per i loro cittadini.

Washington sta premendo su diversi paesi per concludere accordi bilaterali, in cui venga stipulata una clausola di non estradizione.

L’UE avrebbe quindi ceduto alle pressioni americane? È questa in ogni caso l’opinione più diffusa che emerge dai commenti formulati il giorno dopo la decisione di Bruxelles.

Nessun allarme dalla Svizzera

Un’opinione non condivisa da Berna. “Ci rallegriamo per il fatto che la posizione espressa dall’UE limita in pratica il margine di manovra dei suoi Stati membri” afferma Daniela Stoffel, portavoce del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE).

Per il governo svizzero, così sembra perlomeno di capire, la decisione dei Quindici non viene considerata come una concessione che rischia di mettere in pericolo il futuro del tribunale internazionale.

Nessun segnale di allarme, quindi, per la Confederazione che, sin dall’inizio, ha sostenuto l’idea di una CPI forte.

Anche la coalizione delle ONG per la CPI ha reagito positivamente alla posizione europea, definita un segnale forte in favore della Corte e un rifiuto dei tentativi americani contrari al diritto internazionale.

UE più compatta

Finora, una decina di paesi (tra i quali Israele, Afghanistan e Romania) hanno accolto favorevolmente le richieste americane per accordi bilaterali sull’immunità. Pure sollecitata, la Svizzera ha reso noto in agosto di non entrare in materia.

Allo stesso modo ha reagito l’UE, anche se non in modo compatto. Alcuni paesi – in particolare Italia e Gran Bretagna – hanno manifestato da tempo una certa disponibilità ad andare incontro agli Stati Uniti. Bruxelles ha quindi deciso di prendere in mano il dossier.

Da un lato, il Consiglio dell’UE sostiene che tali accordi sono incompatibili con gli obblighi assunti dai paesi che hanno ratificato il trattato sulla CPI.

D’altro canto, apre invece le porte a delle eccezioni per “persone coperte dall’immunità di uno Stato o inviate dal proprio governo”. Sarebbe il caso, ad esempio, di militari inviati per operazioni di pace.

Una valenza politica

Per Jürg Lindenmann, giurista presso la Direzione del diritto internazionale pubblico del DFAE, la posizione di Bruxelles va letta innanzitutto come una volontà di dialogo.

A suo avviso, il compromesso avanzato dall’UE “fissa perlomeno criteri chiari e pertinenti per determinare in quali circostanze si può riconoscere il principio d’immunità, in virtù dell’articolo 98 della CPI”.

La proposta di Bruxelles definisce infatti espressamente che eventuali accordi devono comportare una clausola particolare: nessuna persona può beneficiare del diritto di impunità se è perseguita per crimini che sottostanno alla competenza della CPI.

Questi principi hanno un valore giuridico? “Bisogna piuttosto parlare di un valore politico, il che non è da trascurare” risponde Jürg Lindenmann.

Secondo l’esperto, gli i Quindici dovranno infatti rispondere a Bruxelles per ogni passo che compieranno in vista di un accordo con gli Stati Uniti.

Bernard Weissbrodt, swissinfo

La CPI persegue i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità ed i genocidi;
È stata creata tramite lo Statuto di Roma (17 luglio 1998);
Lo Statuto è entrato in vigore il 1 luglio 2002;
139 Stati l’hanno sottoscritto, 81 Stati l’hanno ratificato;
La Svizzera lo ha ratificato il 12 ottobre 2001.

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