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Il ruolo del medico di fronte al decesso

Tre tipi di decisioni mediche sono all'origine del 51% dei decessi in Svizzera. www.toscana.lafragola.kataweb.it

La metà delle morti in Svizzera sono legate a una decisione medica.

Lo evidenzia uno studio condotto dalla rivista inglese “The Lancet” su sei paesi europei, tra cui la Svizzera e l’Italia.

In Europa, in media, solo un terzo dei decessi è dovuto a cause improvvise e inaspettate, tipo incidenti o malori letali. Nei restanti due terzi dei casi, la medicina gioca un ruolo importante nello stabilire se e fino a che punto è giusto mantenere in vita persone gravemente malate.

Quando si decide, in un modo o nell’altro, di staccare la spina, si può considerare che sia lo stesso personale medico a influire sul decesso.

Tre tipi di decisioni mediche

Lo studio condotto dalla rivista medica “The Lancet” su 20.480 casi di morte in Svizzera, Belgio, Danimarca, Italia, Paesi Bassi e Svezia considera tre tipi di decisioni mediche all’origine di un decesso: il rifiuto dell’accanimento terapeutico, la scelta di somministrare farmaci antidolorifici anche se questi possono accelerare la morte, e infine l’eutanasia vera e propria, ossia la somministrazione di sostanze che uccidono il malato, unita al suicidio assistito, quando è il paziente stesso a ingerire il cocktail letale.

Questi tre tipi di decisioni mediche, nel loro insieme, sono all’origine della morte soprattutto in Svizzera, con il 51% dei casi, contro il 44% nei Paesi Bassi, il 41% in Danimarca, il 38% in Belgio, il 36% in Svezia e appena il 23% in Italia (circa una persona su quattro).

Considerando i tre tipi di decisione singolarmente, il nostro paese è in testa anche per quanto riguarda il rifiuto dell’accanimento terapeutico, che ha provocato un decesso nel 28% dei casi, contro il 20% nei Paesi Bassi, il 14-15% in Belgio, Danimarca e Svezia, e il 4% in Italia. La decisione di sospendere le cure è stata presa per lo più per pazienti sopra gli 80 anni; la morte in media è sopravvenuta una settimana più tardi.

La Confederazione è invece a metà strada, attorno al 22%, per quanto riguarda la scelta di prescrivere farmaci contro il dolore, anche se questi possono essere letali; sostanze del genere sono state somministrate nel 26% dei casi in Danimarca e solo nel 19% dei casi in Italia. I pazienti interessati erano soprattutto malati di cancro, di tutte le età; la loro vita raramente è stata accorciata di più di un mese

La Svizzera ha poi un tasso relativamente basso di eutanasia, dell’1,04%, contro l’1,82% in Belgio e il 3,4% nei Paesi Bassi, dove comunque non si nota un aumento particolare dei casi di morte assistita. Dietro di noi vengono la Danimarca (0,79%), la Svezia (0,23%) e l’Italia (0,10%).

I casi di eutanasia


In generale, nei sei paesi considerati dallo studio, l’eutanasia ha interessato persone colpite da tumore, oppure altri tipi di malati sotto gli 80 anni, per i quali la fine è stata avvicinata in media di un mese. Il loro decesso è sopravvenuto fuori dall’ospedale soprattutto in Svizzera (88% dei casi), contro il 76-77% in Paesi Bassi e Danimarca, il 60% in Italia, il 52% in Svezia e il 50% in Belgio.

Infine, lo studio ha preso in considerazione i rapporti fra medico, paziente e parenti. Ne è risultato che, quando il malato è in grado di decidere da sé liberamente, la discussione con lui e il suo nucleo familiare è particolarmente frequente negli stati in cui si ricorre di più a decisioni mediche: il 78% dei casi in Svizzera e addirittura il 92% nei Paesi Bassi, contro il 42% in Italia e il 38% in Svezia.

Nel caso di pazienti ormai incapaci di comunicare, la discussione fra medico e parenti è stata molto diffusa in Paesi Bassi (85%), Belgio (77%) e Svizzera (69%), mentre in Italia e Svezia ci si è fermati al 39% dei casi. Inoltre, prima di prendere una decisione sulla morte di un malato, i medici hanno consultato un collega nel 40% dei casi circa in Svizzera, Belgio e Paesi Bassi, nel 20% negli altri paesi. Il personale infermieristico è stato interpellato in modo variabile: nel 57% dei casi in Belgio, seguito da Svizzera (50%), Danimarca (38%), Paesi Bassi (36%), Svezia (30%) e Italia (solo il 12%).

I 20.480 casi di morte considerati dallo studio (coordinato dalla dottoressa olandese Agnes Van der Heide) risalgono al periodo tra giugno 2001 e febbraio 2002, e riguardano per metà persone che all’epoca avevano meno di 80 anni.

La rivista ha inviato un questionario ai medici responsabili dei relativi certificati di decesso, chiedendo loro di spiegare la causa di queste morti e di specificare eventuali decisioni prese in merito. Il tasso di risposta ai questionari in Svizzera è stato abbastanza elevato (67%), contro il 62% in Danimarca, il 61% in Svezia, il 59% in Belgio e il 44% in Italia. In testa i Paesi Bassi, dove i medici interpellati hanno risposto nella misura del 75%.

swissinfo, Alessandra Zumthor

Sono stati considerati tre tipi di decisioni mediche all’origine di un decesso: il rifiuto dell’accanimento terapeutico, la scelta di somministrare farmaci antidolorifici anche se questi possono accelerare la morte, e infine l’eutanasia vera e propria, ossia la somministrazione di sostanze che uccidono il malato, unita al suicidio assistito, quando è il paziente stesso a ingerire il cocktail letale.

Questi tre tipi di decisioni mediche, nel loro insieme, sono all’origine della morte soprattutto in Svizzera, con il 51% dei casi, contro il 44% nei Paesi Bassi, il 41% in Danimarca, il 38% in Belgio, il 36% in Svezia e appena il 23% in Italia.

Un terzo dei decessi è dovuto a cause improvvise;
In due terzi dei casi la medicina svolge un ruolo importante;
Paesi considerati: Svizzera, Italia, Belgio, Danimarca, Olanda, Svezia;
20.480 casi esaminati;
Uno studio condotto dalla rivista “The Lancet”.

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