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La guerra al terrorismo durerà ancora a lungo

Lo spettro di una torre del World Trade Center, dopo gli attentati dell11 settembre 2001 Keystone

Quattro anni dopo gli attentati dell'11 settembre, Jacques Pitteloud ritiene che la guerra al terrorismo rischia di continuare ancora per 20 o 30 anni.

In un’intervista a swissinfo, il responsabile dei servizi di sicurezza svizzeri si esprime in favore di un rafforzamento delle misure di sorveglianza.

Jacques Pitteloud ha assunto la direzione dei servizi d’informazione nel giugno 2000, poco più di un anno prima degli attacchi dell’11 settembre 2001, costati la vita ad oltre 3’000 persone a New York e Washington.

Il suo incarico verrà soppresso alla fine di quest’anno, in seguito ad un programma di ristrutturazione destinato a creare un solo organismo di sicurezza, che comprenderà l’attuale servizio d’informazioni per l’interno e quello per l’estero.

swissinfo: Come valuta il contributo offerto dalla Svizzera alla lotta internazionale contro il terrore lanciata dopo gli attentati dell’11 settembre?

Jacques Pitteloud: Il ruolo svolto dalla Svizzera corrisponde più o meno alla sue dimensioni in ambito internazionale. Va detto però che, per quanto ci concerne, ci troviamo confrontati a delle restrizioni legali che ostacolano il lavoro dei servizi di sicurezza.

Rimane comunque ancora molto lavoro da fare, sia da noi che negli altri paesi europei, soprattutto per risolvere il problema dell’afflusso massiccio di immigranti che non riescono a venir integrati nelle nostre società.

swissinfo: Come si può affrontare questo problema?

J.P.: Bisogna seguire la strategia della carota e del bastone. Da una parte, dobbiamo essere più aperti ed efficienti nella politica d’integrazione di coloro che desiderano essere assimilati. Dobbiamo smetterla di erigere troppe barriere, come i divieti di lavoro per gli immigranti. Negli ultimi 20 anni non abbiamo eccelso in questa politica d’integrazione.

Dall’altra parte è necessario essere più duri nei confronti di coloro che vengono da noi soltanto per distruggere le nostre vite. Non possiamo tollerare la loro presenza. Queste persone non devono poter rimanere in Europa.

swissinfo: Il ministro di giustizia Christoph Blocher intende cambiare la legislazione, in modo da accordare al governo maggiori poteri di sorveglianza. È favorevole a questi cambiamenti?

J.P.: Assolutamente! Sono stato uno dei primi sostenitori della necessità di modificare le leggi. Dopo lo scandalo delle schedature (negli anni ’80), in Svizzera si è deciso di risolvere il problema degli eccessi compiuti dai servizi d’informazione, bloccando completamente il loro lavoro. È stata una decisione veramente stupida.

Ora, se vogliamo reintrodurre delle attività delicate, come le intercettazioni telefoniche, è chiaro che bisogna predisporre dei limiti precisi. La sorveglianza dei cittadini deve essere l’eccezione e non la regola. Va quindi definita con precisione.

swissinfo: I difensori dei diritti civili sono però del parere che, anche in questo caso, si andrebbe già troppo lontano …

J.P.: Non si tratta di paranoia e neppure della volontà di violare le libertà civili. La Svizzera non diventerà uno Stato poliziesco.

Ma è in gioco la sicurezza – e non soltanto quella del nostro paese. Sarebbe un duro colpo per l’immagine della Svizzera, se dovesse risultare un giorno che i responsabili di un attentato terroristico, perpetrato magari a Milano, Parigi o Londra, hanno pianificato la loro azione sul territorio elvetico, approfittando della mancanza di misure di sorveglianza da parte delle autorità svizzere.

swissinfo: Vi è effettivamente da temere che la Svizzera possa servire da base logistica o finanziaria per la preparazione di attacchi terroristici?

J.P.: Abbiamo esaminato molto attentamente tutte le ipotesi relative all’esistenza in Svizzera di un’eventuale rete di finanziamento di Al-Qaeda. Ma non abbiamo trovato praticamente nulla.

Però non va dimenticato che la Svizzera non è un’isola. Quando si scoprono delle cellule terroristiche a Milano, Monaco, Strasburgo o Vienna, vi sono grandi probabilità che alcune piste conducano anche in Svizzera. È questo è già effettivamente successo.

swissinfo: Dopo gli attacchi avvenuti nel luglio scorso a Londra, il presidente della Confederazione Samuel Schmid ha asserito che anche la Svizzera potrebbe finire nel mirino dei terroristi. Lo ritiene anche lei?

J.P.: Per essere chiari, la Svizzera è molto meno minacciata rispetto ad altri paesi, come la Gran Bretagna o l’Italia, le cui forze armate sono presenti in Iraq. Ma la Svizzera potrebbe diventare un bersaglio per altre ragioni, ad esempio nel caso in cui dei terroristi volessero colpire interessi americani, britannici o israeliani sul nostro territorio.

swissinfo: Dobbiamo quindi considerarci oggi meno sicuri rispetto ad alcuni anni orsono?

J.P.: Personalmente mi sento meno sicuro oggi rispetto al 2001, per il fatto che in questi ultimi anni il fenomeno della jihad (guerra santa), partito soprattutto dalla regione del Golfo, si è ormai globalizzato. Si è trasformato in un’ideologia che ha intaccato anche alcune piccole parti delle comunità musulmane residenti in Europa.

Si tratta di una differenza importante tra il 2001 ed oggi. Questa ideologia si sta diffondendo un po’ ovunque.

swissinfo: Secondo lei, è possibile vincere la guerra contro il terrorisimo?

J.P.: Ci troviamo di fronte a gruppi efficienti e senza scrupoli, formati da persone che partono da motivazioni ideologiche e religiose. Sono i più pericolosi e rischiano di fare un numero ancora più grande di vittime.

Non vi è dubbio la guerra al terrorismo sarà lunga e non potrà essere vinta soltanto con un rafforzamento dei servizi di sicurezza e delle legislazioni. Bisogna affrontarla anche sul campo ideologico. Dobbiamo convincere le comunità musulmane, a cominciare da quelle che vivono sul nostro territorio, che si tratta di una guerra sbagliata.

swissinfo: Dovremo quindi vivere ancora per decenni con l’ombra del terrorismo?

J.P.: Questa situazione durerà 20 o 30 anni. E in questo periodo i servizi di sicurezza potranno sventare anche 9 attentati su 10. Ma dobbiamo arrenderci all’idea che il decimo potrebbe avere successo. Ciò è già avvenuto a Londra e rischia di ripetersi ancora molte volte.

swissinfo, Ramsey Zarifeh
(traduzione Armando Mombelli)

Jacques Pitteloud, di origini vodesi, ha già rivestito diversi importanti incarichi presso i Dipartimento della difesa e degli affari esteri.
Nel giugno del 2000 ha assunto la funzione di coordinatore dei servizi d’informazione.
Questa carica verrà soppressa alla fine dell’anno, in seguito ad una ristrutturazione degli organismi di sicurezza.

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