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«Una festa per dimostrare una fiducia ritrovata»

Madeleine Lüthi, console onorario di Svizzera a san Pietroburgo. Alexandra Stark

La città festeggia e si fa manifesto di un paese che cambia. Le impressioni di Madeleine Lüthi, console onorario San Pietroburgo.

La Lüthi gestisce un albergo e una scuola di lingue nell’antica capitale russa.

Come si prepara la città alla festa?

Nei giorni prima dei festeggiamenti sembrava tutto tranquillo. Si sono completati gli ultimi preparativi. Ma dietro le quinte si muovono molte cose, soprattutto per quel che riguarda la sicurezza. Nei giorni della festa ufficiale sono arrivati circa 50 capi di Stato.

Oltre all’anniversario tondo, quali sono le ragioni di questi pomposi festeggiamenti?

Da una parte è una dimostrazione della ritrovata fiducia della città e della Russia, ma San Pietroburgo ha una lunga tradizione di città aperta. Qui sono arrivati scienziati, architetti da tutto il mondo. Ai tempi di Pietro il Grande le condizioni quadro erano ideali per poter agire e lavorare. E forse si auspica una rinascita di questo spirito originario dei pionieri.

Il presidente Putin cerca coscientemente di ridare alla sua città natale la gloria passata e il suo carattere internazionale. I festeggiamenti permettono di giocare una mossa intelligente per diffondere una nuova immagine della città nel mondo. Si cerca di superare i cliché sotto cui la nuova Russia soffre.

La Svizzera non è invitata, ma partecipa attivamente ai festeggiamenti. Quali le ragioni di questo appuntamento speciale e privato in luglio?

Abbiamo delle relazioni storiche profonde. Si parte da Domenico Trezzini, l’architetto ticinese che è stato il primo capomastro della città. Ma anche gli altri cantoni hanno importanti relazioni.

Ufficialmente la Svizzera non è stata invitata. La motivazione ufficiale è che la Svizzera non fa parte dell’UE. Per questo la Confederazione ha organizzato dei festeggiamenti propri in luglio. Partecipano molti cantoni: Ginevra regala un orologio fiorito e ci sarà l’Orchestra della Svizzera italiana. Anche il presidente Couchepin parteciperà in luglio alle manifestazioni.

Quali sono i traguardi di questi «Swiss Days»?

Presenza svizzera coordina le attività, ma le relazioni sono vive da anni. Il canton Ticino ha un accordo dal 2000 con San Pietroburgo di carattere soprattutto culturale per la promozione della conoscenza del lavoro degli architetti che hanno dato un volto alla città. Anche Ginevra si riallaccia alla presenza dello stratega militare François Lefort alla corte degli zar.

Ma in questa occasione sarà presente anche la Svizzera ufficiale per migliorare le relazioni fra i due paesi.

E a che punto stanno le relazioni commerciali?

Ci vuole molta pazienza e le cose qui sono molto più complicate rispetto alla Svizzera. La Russia deve ancora trovare la sua strada. Sono poco più di dieci anni che la via è stata imboccata: nel ’92 sono stati liberalizzati i prezzi, cosa che ha reso difficili molte cose per la popolazione. Ma il cambiamento deve avvenire soprattutto nelle teste.

Ma guardando la città si nota che molto è stato fatto. Sono stati restaurati molti edifici e di pari passo anche l’economia e la società stanno trovando la loro strada.

Anche la vita economica rinascerà. Fin ora le relazioni economiche si sono concentrate su Mosca, ma credo che prossimamente le cose cambieranno. A Mosca risiedono oggi circa 400 svizzeri. Qui è un decimo di questa cifra. Ma molti altri raggiungono la città periodicamente. Per il momento non è ancora prevista la creazione di un «Business Center» qui, ma le attività avranno sicuramente un occhio più attento dopo questo appuntamento di luglio.

Per uno sviluppo economico e per dare coraggio agli investitori stranieri è importante anche la legalità. I pregiudizi su questo versante non sono pochi. Come giudica lei la situazione?

È vero che le cose non sono sempre semplici. Per sopravvivere nell’economia locale è necessario avere partner affidabili in Russia e seguire le regole come dovuto. Solo così sarà possibile difendersi davanti ad un tribunale. Ci vogliono poi delle relazioni oneste in tutte e due le direzioni. Sia i russi che gli svizzeri devono poter approfittare equamente e dopo le cose funzionano.

Poi non è più la stagione per lanciare dei progetti mastodontici. Le cose piccole pagano di più.

Oltre alla ricostruzione economica la Russia ha anche una situazione umanitaria che va migliorata. Si aspetta un contributo anche dalla Svizzera?

Qui c’è ancora molto da fare. Le malattie si espandono, perché ci sono ancora troppe vittime del crollo del sistema. Penso poi ad epatite, tubercolosi, Aids. Le carceri sono strapiene e in genere molti sono provati dal passaggio all’economia libera. L’impegno dei paesi occidentali e dunque della svizzera dovrebbe venir intensificato.

Cosa si aspetta la Svizzera dalle giornate di luglio?

Spero sia l’occasione per un nuovo slancio. Le relazioni non sono fortissime e la presenza dell’economia elvetica in Russia è limitata. Anche a livello culturale si può fare di più, ma ci sono alcuni progetti che lasciano sperare in bene.

Già per l’anno prossimo ci sarà un’esposizione all’Hermitage sugli architetti ticinesi in febbraio e San Pietroburgo sarà invitata e ci sarà uno scambio in margine ai 200 anni di Mediazione – 300 anni di San Pietroburgo.

Intervista: Daniele Papacella

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