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Zugo: un anno dopo la strage

I feriti sulle gradinate del Parlamento di Zugo dopo l'attacco omicida. Keystone/Zuger Presse/Christof Borner

La carneficina provocata da uno squilibrato nel settembre del 2001 ha portato ad un ripensamento delle misure di sicurezza in tutta la Svizzera.

Le misure: controlli negli edifici pubblici; catalogazione di soggetti che importunano gli impiegati; persone di contatto fra amministrazione pubblica e cittadini.

Ancora oggi il 27 settembre 2001 suscita apprensione. In quel giorno uno squilibrato era entrato nell’edificio del parlamento di Zugo uccidendo 14 persone.

L’uomo era armato fino ai denti e da mesi era in lotta con le istituzioni. Nella sparatoria ha ferito ulteriori 14 persone prima di togliersi la vita. Un evento che ha sconvolto tutta l’opinione pubblica, ben oltre i confini nazionali.

Minacce in aumento

Secondo l’Ufficio federale di polizia i delitti e le minacce contro gli impiegati pubblici sono aumentati considerevolmente negli ultimi cinque anni. Ma solo il dramma di Zugo ha portato ad un rafforzamento delle misure di sicurezza.

Molte domande rimangono comunque aperte: si sarebbe potuto evitare il bagno di sangue? E ancora: è possibile identificare i soggetti pericolosi?

La psicologia non dà risposta. Non si tratta di una patologia e non è possibile identificare un profilo univoco dei potenziali aggressori.

Misure di sicurezza più severe

Le autorità hanno nel frattempo rivisto le misure di sicurezza. Nel canton Ticino, Giura e Turgovia si sono adottate misure concrete: porte blindate e controlli d’entrata, ma si è puntato anche sulla formazione del personale nell’autodifesa e nell’identificazione del pericolo.

In Ticino, a medio termine, gli sportelli aperti al pubblico attualmente nel Palazzo del governo troveranno una nuova ubicazione. Ma Gianpiero Gianella, cancelliere del governo ticinese afferma: “Il governo vuole migliorare la sicurezza senza intaccare il rapporto diretto con il cittadino”.

Ma questa stessa idea ha spinto le autorità ginevrine a non cambiare niente. L’Hôtel de Ville rimarrà accessibile al pubblico anche in futuro: “Non vogliamo sprofondare nella psicosi”.

Pericolo reale

Eppure da anni in Ticino si registrano minacce e offese agli impiegati pubblici. Ma è il caso di Zugo ad aver dato una spinta ulteriore all’analisi della situazione e alla realizzazione di misure concrete.

“Le minacce e la disponibilità alla violenza sono aumentate considerevolmente dalla sparatoria di Zugo”, afferma anche Barbara Umiker, portavoce del Dipartimento di Polizia di Basilea campagna. È stato nominato anche un delegato per la valutazione dei casi e il personale è stato formato appositamente.

Nel frattempo inoltre è in corso la revisione della legge sul porto d’armi. Una regolamentazione più severa potrebbe essere la conseguenza di Zugo.

Registro degli “attaccabrighe”

Un’ulteriore conseguenza del caso è la costituzione di un elenco di querulanti potenzialmente pericolosi che creano fastidi agli impiegati delle amministrazioni. Un registro potrebbe facilitare la ricerca dei sospetti.

Ma nel frattempo un po’ ovunque si insedia la figura dell’omubudsmann, il mediatore fra cittadini e amministrazione. Numerosi cantoni, fra cui Zurigo, ma anche l’amministrazione federale, conoscono questo intermediario per tensioni fra utente e funzionari.

Non ci sarà invece un’istanza generale per la Confederazione che superi i dei compiti precisi come la protezione dei dati o il controllo dei prezzi. Un simile ufficio costerebbe almeno due milioni di franchi l’anno, un prezzo giudicato eccessivo per i risultati concreti che potrà offrire.

L’opinione degli esperti

Alla redazione del settimanale d’inchiesta e servizio “Beobachter” si ritiene efficace il ruolo del mediatore. “Dai fatti di Zugo anche nella nostra redazione si è coscienti dell’importanza della consulenza”.

Per garantire la qualità e l’indipendenza la redazione, che dispone di una linea telefonica diretta con il milione di lettori, ha steso delle direttive chiare.

Ma un’altra cosa sembra ormai appurata: i casi come quello dell’omicida di Zugo non si possono evitare. L’unico rimedio è prevenire le situazioni drammatiche in cui i potenziali protagonisti si possono trovare.

Per Tedy Hubschmid, presidente della Società svizzera di psichiatria, le soluzioni imboccate sono troppo semplicistiche: “Invece di investire soldi in ulteriori schedature, lo Stato dovrebbe occuparsi direttamente delle persone, investendo in cose veramente importanti”.

swissinfo

Alle 10.30 del 27 settembre 2001 un individuo vestito da poliziotto penetra nel palazzo del Gran Consiglio di Zugo. Porta con sé un fucile d’assalto, un’arma automatica e dell’esplosivo. Una volta entrato nella sala dei deputati spara all’impazzata. Dopo decine di colpi esplosi, segue una detonazione, forse una bomba a mano.

14 deputati e i membri del governo cantonale perdono la vita. Altre persone vengono portate negli ospedali della regione, in parte versano in gravi condizioni. Anche il folle si toglie la vita.

La drammatica notizia si diffonde in un attimo. La seduta delle Camere federali a Berna viene sospesa. Da tutto il paese e anche dall’estero arrivano le reazioni di cordoglio. Il bilancio di sangue è infatti senza precedenti nella storia delle istituzioni elvetiche.

Ad essere colpita, oltre alle vittime, è quella immediatezza tutta svizzera di contatto e di apertura verso la vita pubblica. È una giornata nera per il paese, già scosso dagli eventi dell’11 settembre e dalla crisi di Swissair.

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