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L'astronomo svizzero Michel Mayor swissinfo.ch

L'astronomo svizzero Michel Mayor, intervistato da swissinfo, è fiducioso: il 21esimo secolo potrebbe riservare enormi progressi in merito alla comprensione dei pianeti che non appartengono al sistema solare.

Nel 1995, Michel Mayor e l’astrofisico Didier Queloz dell’Università di Ginevra furono protagonisti di una scoperta che rivoluzionò l’astronomia moderna. I due scienziati riuscirono infatti a individuare il primo pianeta esterno al nostro sistema solare (exopianeta), che orbitava attorno a una stella a una distanza di 42 anni luce dalla Terra.

Dodici anni più tardi, Mayor e Queloz localizzano «Gliese 581 c», un pianeta potenzialmente simile alla Terra che orbita attorno alla stella nana «Gliese 581». Finora, sono stati scoperti più di 300 exopianeti: la metà di loro è stata reperita grazie al team di esperti dell’ateneo ginevrino.

In occasione dell’inizio dell’Anno internazionale dell’astronomia, swissinfo ha intervistato Michel Mayor per discutere le peculiarità di questa disciplina scientifica.

swissinfo: Quale è l’importanza delle due figure storiche celebrate nel 2009, ossia Johannes Kepler e Galileo Galilei?

Michel Mayor: Entrambi hanno dato un enorme contributo all’astronomia. Essi ne sono i padri fondatori, dei veri e propri personaggi chiave, anche se hanno vissuto molti anni fa e da allora la fisica vi sono stati enormi progressi.

Kepler (1571-1630) intraprese una sorta di ricerca mistica per tentare di comprendere l’organizzazione dell’universo, segnatamente il funzionamento delle orbite planetarie. Egli riuscì a formulare tre leggi matematiche concernenti il movimento dei pianeti: si trattò di una vera e propria svolta.

La mia attività concerne lo studio degli exopianeti, ma gli strumenti matematici utilizzati si basano ancora sulle leggi di Kepler. E gli aspetti legati alla meccanica dipendono dai lavori di Galileo Galilei (1564-1642). Che piaccia o no, questi due grandi personaggi sono quindi tuttora presenti.

swissinfo: Il ventesimo secolo è coinciso con progressi straordinari nella comprensione delle stelle. Il nuovo secolo sarà quello degli exopianeti?

M.M.: Il ventesimo secolo è stato un periodo incredibile per l’astrofisica. In primo luogo, siamo riusciti a capire come funzionano le stelle. Nel 1937, Hans Bethe ha scoperto l’origine dell’energia solare. In seguito, vi sono stati contributi importantissimi concernenti la formazione, l’evoluzione e la sparizione di una stella.

Un’altra scoperta fondamentale è stata la nucleosintesi, cioé il processo della produzione degli elementi chimici durante le prime fasi dell’universo.

Nel ventesimo secolo è inoltre nata la cosmologia matematica, una disciplina basata sulla teoria della relatività di Einstein. È un approccio ambizioso: si tenta infatti di definire equazioni in grado di spiegare l’evoluzione di tutto l’universo.

I primi exopianeti sono stati scoperti soltanto alla fine del ventesimo secolo, ma è incredibile quanto abbiamo imparato sul loro conto durante gli ultimi quindici anni.

Attualmente, ne sono stati individuati più di 300, ma il dato che mi impressiona di più è il numero di persone che lavorano in questo settore. Abbiamo assistito a una moltiplicazione delle tecniche di lavoro, comprendenti i satelliti, la ricerca effettuata sulla Terra e i metodi teorici fondamentali.

Le prime, modeste immagini degli exopianeti sono state ottenute un paio di mesi fa, ma disponiamo già di informazioni concernenti la massa, l’orbita e la loro struttura interna. Stiamo inoltre incominciando ad analizzarne l’atmosfera, per determinare la presenza di acqua, diossido di carbonio e sodio; abbiamo pure misurato le temperature atmosferiche.

swissinfo: È difficile individuare un exopianeta?

M.M.: Un exopianeta è più leggero di una stella. Pertanto, i metodi d’individuazione indiretta comprendono l’analisi delle variazioni nel movimento della stella. I mutamenti nella velocità con cui la stella si avvicina o si allontana dalla Terra possono infatti far dedurre la presenza di un altro pianeta.

L’altra difficoltà è quella di riuscire a vedere un exopianeta. I pianeti, in confronto alle stelle, emettono infatti molta meno luce nel cosmo. Per questo motivo, l’individuazione diretta risulta problematica. Immaginate di situare una candela un metro di fronte a un faro, e di osservarla da una distanza di mille chilometri. Ovviamente, la luce del faro impedisce di vedere la candela.

swissinfo: La Nasa ha pianificato per marzo 2009 la missione «Kepler». In che modo quest’ultima servirà a comprendere meglio l’universo e a scoprire nuovi pianeti?

M.M.: L’obiettivo della missione «Kepler», della durata di tre anni, è quello di studiare gli exopianeti simili alla Terra nei quali potrebbe svilupparsi la vita. Attualmente, disponiamo di molteplici informazioni a proposito degli exopianeti più grandi, ma il loro interesse è relativo.

Per rendere possibile la presenza della vita, è necessario un pianeta roccioso con una temperatura adeguata: tuttavia, le apparecchiature esistenti faticano a individuare i pianeti con queste caratteristiche. La missione della Nasa potrebbe aiutarci a trovarli e fornirci informazioni importanti. Sono certo che tra una ventina d’anni vi sarà la prima esplorazione spaziale dedicata specialmente agli exopianeti.

swissinfo: Quali sono le possibilità che esista la vita su altri pianeti dell’universo?

M.M.: Come scienziato non sono in grado di rispondere a questa domanda. Vi sono probabilmente molti exopianeti rocciosi, con una temperatura adeguata, che orbitano attorno a stelle simili al sole… ma non sappiano in quali potrebbero esistere forme di vita.

Ciononostante, non è questo il problema principale. Una volta riunite tutte le condizioni necessarie, infatti, quali sono le possibilità che la chimica e la biologia possano creare un organismo vivente complesso come una singola cellula? In realtà non lo sappiamo. Alcune persone sostengono che, essendo avvenuto sulla Terra, il medesimo fenomeno può ripetersi ovunque. Ma non disponiamo di certezze a questo proposito.

La biologia non è abbastanza sviluppata per rispondere a tale domanda. L’universo ha impiegato diverse centinaia di milioni di anni per effettuare i propri esperimenti chimici in un laboratorio immenso come la Terra. Questo è l’argomento scientifico più sicuro.

A titolo personale, credo che la vita sia il prodotto delle varie leggi dell’universo: quando le condizioni necessarie sono presenti, essa può esistere in una forma o nell’altra. Non vi è nulla di strano in questo concetto: anche gli atomi di cui siamo formati vengono da una stella. Devo dire che l’idea dell’esistenza di altre forme di vita non mi dispiace affatto.

swissinfo: Quali sono le sue aspettative per l’Anno internazionale dell’astronomia?

M.M.: L’astronomia è meravigliosa. È affascinante poter comprendere le caratteristiche principali dell’universo e del suo funzionamento.

Abbiamo la tendenza a dividere in compartimenti: pittura, musica, altre arti e infine la scienza. Ma in realtà, discipline come l’astronomia, l’archeologia o la paleontologia fanno tutte parte della cultura. Per esempio, è una vergogna non conoscere i principali progressi dell’astronomia durante gli ultimi venti anni!

Inoltre, l’Anno internazionale dell’astronomia potrebbe avere un altro ruolo importante. Negli ultimi anni, infatti, il numero di giovani che decidono di dedicarsi alle scienze esatte come la fisica e la matematica è fortemente calato. Spero quindi che questa manifestazione serva a far scoprire gli aspetti appassionanti dell’astronomia e ad attirare nuovi studenti.

swissinfo, Simon Bradley
(traduzione e adattamento: Andrea Clementi)

Oltre 130 paesi partecipano all’Anno internazionale dell’astronomia, una manifestazione che vuole aumentare l’interesse nei confronti dell’universo e dei suoi segreti. Lanciata dall’Unione astronomica internazionale e dall’Unesco, la rassegna è incominciata ufficialmente il 15-16 gennaio a Parigi.

In particolare, sarà ricordato il quattrocentesimo anniversario della prima utilizzazione di un telescopio astronomico da parte di Galileo Galilei e della pubblicazione dell’Astronomia Nova da parte di Johannes Kepler, un testo fondamentale per la comprensione dei movimenti planetari.

In Svizzera, le manifestazioni inizieranno ufficialmente il 5 febbraio.

Nel 1995, l’Osservatorio astronomico di Ginevra annunciò in anteprima mondiale la scoperta di un exopianeta, vale a dire un pianeta situato al di fuori del sistema solare.

Lo studio degli exopianeti è da allora diventato un promettente settore della ricerca astrofisica. Si prevede di potere raggiungere una migliore comprensione dell’origine del sistema solare e del nostro pianeta.

Dal 1995, la scoperta di nuovi exopianeti non ha avuto sosta; oggi se ne conoscono circa 300. La maggior parte consiste in masse gassose di temperatura molto elevata. La ricerca si orienta ora verso la scoperta di pianeti sufficientemente lontani dal loro sole che presentino condizioni simili a quelle della Terra.

Nato nel 1942 a Losanna, Michel Mayor ottiene nel 1971 un dottorato presso l’Università di Ginevra, con una tesi sulla dinamica delle galassie spirali.

In questo ambito costruisce il suo primo spettrografo (apparecchio per analizzare la luce) che gli permette di misurare la velocità delle stelle. Nel 1995, con il collega Didier Quéloz, annuncia la scoperta di «Peg b», il primo pianeta orbitante attorno a una stella simile al nostro sole.

Michel Mayor ha al suo attivo centinaia di pubblicazioni ed ha vinto numerosi premi scientifici.

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