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Chiaro sì alle premesse per la diagnosi preimpianto

Con il sì popolare alla modifica dell'articolo costituzionale relativo alla medicina riproduttiva e all'ingegneria genetica, si è aperta la porta alla legalizzazione della diagnosi preimpianto in Svizzera. Keystone

Gli svizzeri hanno aperto le porte alla legalizzazione della diagnosi di embrioni concepiti tramite fecondazione in vitro prima di impiantarli nell'utero. Nella votazione odierna hanno avallato un modifica costituzionale in tal senso. Gli oppositori annunciano già un referendum contro la legge di applicazione.

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Quasi il 62% dei votanti e 20 cantoni e semicantoni su 26 hanno approvato la modifica dell’articolo costituzionale relativo alla medicina riproduttiva e all’ingegneria genetica in ambito umano. Ciò permette di legalizzare la cosiddetta diagnosi preimpianto (DPI), limitatamente a due casi: se una coppia è portatrice di gravi malattie ereditarie oppure se non può avere figli in modo naturale, ossia nei soli due casi in cui la fecondazione in vitro è autorizzata in Svizzera.

Sottolineando che il risultato è stato migliore del previsto, il ministro della sanità Alain Berset si è detto molto soddisfatto. Questa votazione ha dimostrato che si può e si deve dibattere di temi complessi con la popolazione e che la democrazia elvetica è matura per questo genere di discussioni, ha commentato.

Oggi nella Confederazione nascono circa 2’000 bambini all’anno tramite fecondazione artificiale. Ma, diversamente da quanto avviene nella maggior parte dei paesi europei, gli embrioni così generati attualmente non possono essere sottoposti ad esami genetici prima di essere impiantati nell’utero.

Con la decisione popolare odierna, si creano le basi legali per consentire di selezionare gli embrioni non affetti dalle anomalie genetiche dei genitori. In tal modo, hanno argomentato governo e parlamento proponendo il cambiamento, si evita alle coppie portatrici di gravi malattie ereditarie di confrontarsi con il difficile dilemma di interrompere o meno la gravidanza.

Un altro obiettivo della modifica è di permettere la selezione di embrioni con buone probabilità di svilupparsi per aumentare le probabilità di avere un figlio senza dover incorrere nel rischio di una gravidanza plurigemellare per chi non può averlo in modo naturale.

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Gli oppositori restano sul piede di guerra

Resta invece proibita la selezione di embrioni al fine di scegliere il sesso o caratteristiche fisiche, come anche allo scopo di generare cosiddetti “bambini sal­vatori” per poi donare cellule staminali a un fratello o una sorella gravemente malati.

Fissando limiti chiari, secondo il governo e il parlamento, si impediscono derive eugenetiche.

Non così la pensano però diverse organizzazioni, in particolare vicine alla chiesa o attive nella difesa degli handicappati, ma anche rappresentanti di tutto lo spettro politico, che hanno combattuto la modifica costituzionale. A loro avviso, con questa modifica si aprono le porte ad abusi, alla distinzione tra persone degne di vivere e altre che non lo sono e alla discriminazione di persone andicappate e dei loro genitori.

E nonostante il chiaro sì uscito oggi dalle urne, gli oppositori non si arrendono. Il Partito evangelico (PEV) ha immediatamente annunciato che lancerà il referendum contro la revisione della Legge sulla medicina della procreazione, già approvata dal parlamento.

“Nella legge il parlamento si è spinto troppo lontano”, ha dichiarato all’agenzia di stampa ats la deputata e presidente del PEV Marianne Streiff. A suo parere, molti di coloro che hanno votato sì oggi, diranno no alla legge. L’articolo costituzionale appare ancora inoffensivo, per questo motivo molti lo hanno accolto oggi, afferma.

Il referendum sarà sicuramente appoggiato da una larga coalizione. Le organizzazioni degli handicappati hanno già fatto sapere che lo sosterranno. Inoltre in questo genere di temi entrano in gioco convinzioni e sensibilità personali che travalicano gli steccati partitici.

I fautori non temono il referendum

Lo si è visto anche nella campagna sul voto odierno: nonostante che tra i grandi partiti rappresentati nel parlamento nazionale solo l’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) avesse raccomandato di votare no e il Partito socialista avesse deciso di lasciare libertà di voto, il comitato «No alla DPICollegamento esterno» era composto di esponenti di tutte le formazioni politiche.

Così come era interpartitico l’antagonista comitato «Sì alla medicina della procreazioneCollegamento esterno». Membro di quest’ultimo, il senatore liberale radicale Felix Gutzwiler non teme il referendum. Non ci saranno nuovi argomenti riguardo alla legge e il risultato chiaro del voto sull’articolo costituzionale non fa certo presagire una vittoria degli oppositori: anzi, ci sono grosse probabilità che i sì aumentino, ha dichiarato all’ats.

Il medico zurighese sottolinea che grazie alle modifiche costituzionale e legislativa, le coppie interessate avranno così la possibilità di beneficiare dei progressi scientifici come già avviene nella maggior parte dei paesi europei.

L’elettorato svizzero oggi era chiamato a pronunciarsi su una modifica dell’articolo 119 del Costituzione federale, relativo alla medicina riproduttiva e all’ingegneria genetica. 

Attualmente al punto 2 c. esso sancisce che «fuori del corpo della donna possono essere sviluppati in embrioni solo tanti oociti umani quanti se ne possono trapiantare immediatamente». Governo e parlamento propongono di modificare questa disposizione come segue: «fuori del corpo della donna può essere sviluppato in embrioni soltanto il numero di oociti umani necessario ai fini della procreazione assistita».

Come ogni emendamento costituzionale, la modifica ha dovuto essere sottoposta obbligatoriamente a votazione popolare e per essere approvata necessitava della doppia maggioranza di sì, dei votanti e dei cantoni.

Al momento in cui metterà in vigore la modifica costituzionale, il governo pubblicherà la relativa legge di applicazione, già varata dal parlamento. A quel punto, chi contesta la nuova legge potrà lanciare un referendum. In tal caso, se fossero raccolte almeno 50’000 firme di aventi diritto di voto entro 100 giorni, l’elettorato sarebbe chiamato alle urne per esprimersi sulla legge.


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