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Alla conquista della terra

Sin dall'inizio, gli abitanti di Rio Bonito si sono organizzati in associazione per difendere i loro interessi swissinfo.ch

Essere piccoli contadini in Brasile significa confrontarsi quotidianamente con lo strapotere dei latifondisti e dell'agrobusiness e lottare per la proprietà della terra. Il futuro dell'Amazzonia potrebbe però essere nelle loro mani. Reportage da Rio Bonito.

«Siamo arrivati qui nel 1991. All’inizio eravamo circa 150 famiglie, provenienti soprattutto dallo Stato di Maranhao, nel nord-est del Brasile. Siamo giunti ad Ulianópolis con la promessa di un lavoro. Solo che di lavoro non ce n’era, quindi per assicurare la sopravvivenza delle nostre famiglie ci siamo stabiliti qui e abbiamo occupato queste terre».

La storia di Rosano e degli abitanti della comunità di Rio Bonito è simile a quella di centinaia di migliaia di piccoli contadini brasiliani senza terra. L’«asentamento» di Rio Bonito – così vengono chiamati i territori recentemente occupati e colonizzati dai contadini senza terra – si trova a una cinquantina di km dal capoluogo Ulianópolis, 400 km a sud di Belém, nello Stato del Parà.

Grandi proprietà

In Amazzonia, la struttura dell’agricoltura non è diversa da quella nel resto del paese. Anche qui predominano le grandi aziende, le cosiddette ‘fazendas’. In Brasile si stima che l’1% circa dei proprietari terrieri possegga oltre il 50% delle terre coltivabili. Per i piccoli contadini rimangono, nella migliore delle ipotesi, sole le briciole.

L’occupazione di terre incolte, resa celebre soprattutto dal Movimento dei lavoratori senza terra, è spesso l’unica via d’uscita che rimane a molte famiglie. Con l’elezione alla presidenza nel 2002 di Luiz ‘Lula’ Inacio da Silva, molti speravano in un cambiamento radicale. La riforma agraria è però rimasta solo una vaga promessa.

A Rio Bonito la lotta per la terra è stata tutt’altro che facile: «La prima volta che abbiamo piantato qualcosa è arrivato un signore di Sao Paulo che diceva di essere il proprietario. Prima ha cercato di utilizzare le vie giuridiche, ma il titolo di proprietà che ha presentato al giudice non era legale. Poi, un giorno, è arrivato con una settantina di ‘pistoleiros’. La guerra è cominciata». Il volto di Rosano si incupisce. «Per fortuna, nessuno è morto, per lo meno nessun membro della nostra comunità». Rosano non va oltre. Non rievoca volentieri questo periodo della sua vita.

Dal fuoco all’ecologia

Nel 1997 l’orizzonte a Rio Bonito si schiarisce. I contadini ricevono degli attestati che permettono loro di poter restare. Anche se oggi sono ancora in attesa di un titolo di proprietà definitivo, gli abitanti sono fiduciosi.

Col passare degli anni, i membri della comunità cambiano radicalmente approccio nei confronti dell’agricoltura e dell’ambiente: «All’inizio bruciavamo tutto; nella testa di molta gente senza fuoco non era possibile nutrire la propria famiglia», spiega Rosano.

Un partenariato con l’IPAM, l’Istituto di ricerca ambientale in Amazzonia, permette ai piccoli contadini di Rio Bonito di capire che l’addebbiatura (la fertilizzazione con il fuoco), il disboscamento sistematico e l’accento messo solo su alcune colture non è l’unico metodo per vivere di agricoltura in Amazzonia.

‘Zé’ Pretinho, 57 anni e 14 figli, ci mostra con fierezza gli alberi che ha piantato: mogano, cedro, paricà… ‘Zé’ Pretinho ama la foresta, ma non ha agito solo per grandezza d’animo. Alcune di queste piante potranno essere tagliate e rivendute «dai figli dei suoi figli». Un taglio però selettivo, che non ha nulla a che vedere col sistema industriale che prevale nella regione.

Non solo canna da zucchero

In una regione dove impera la monocoltura della canna da zucchero, della soia e l’allevamento estensivo del bestiame, i 75 ettari di sua proprietà (una superficie enorme se paragonata alle aziende agricole svizzere, piccola invece per il Brasile) e i terreni degli altri abitanti della comunità fanno figura d’eccezione. A Rio Bonito è stato messo l’accento sulla diversità: manioca, miglio, riso, fagioli, frutta, polli, bestiame, apicoltura…

Riuniti in associazione, i piccoli contadini di Rio Bonito sono riusciti a creare dei partenariati che permettono loro di smerciare le eccedenze, ad esempio ai ristoranti delle scuole pubbliche della regione.

Venticinque famiglie hanno dal canto loro deciso di coltivare anche canna da zucchero (complessivamente circa 450 ettari). La produzione viene venduta a una ditta del posto, la Pagrisa.

«Questo partenariato è importante, poiché ci permette di stabilire buone relazioni con la gente dell’asentamento», sostiene Fernão Zancaner, il giovane direttore della Pagrisa.

Canna da zucchero

«Acquistando queste raccolte – afferma – offriamo a delle famiglie una sorta di reddito garantito, che permette loro di rimanere in questa regione e di dedicarsi anche alla coltivazione di altri prodotti». Oltre ad acquistare la canna da zucchero, la ditta stipendia anche due dei tre maestri che lavorano nella comunità e un’infermiera.

Secondo Rita Teixeira, membro di un’associazione femminile che collabora con gli agricoltori di Rio Bonito e che è sostenuta dall’Aiuto delle Chiese evangeliche svizzere (ACES), la realtà è però un po’ meno rosea. L’obiettivo della Pagrisa – afferma – è soprattutto di migliorare la sua immagine.

Nel 2007 la ditta è stata denunciata per aver impiegato oltre 1’000 ‘trabalhadores esclavos’, lavoratori sottopagati, senza nessuna protezione sociale e a cui spesso si impedisce di partire. Secondo la stampa, questi schiavi moderni dovevano nutrirsi con cibo avariato e bere acqua non potabile.

Fernão Zancaner sostiene dal canto suo che si tratta di menzogne propagate dalla concorrenza. Il caso non è ancora passato in giudicato.

Il partenariato con la Pagrisa, che vorrebbe aumentare la produzione a Rio Bonito, divide la comunità. Secondo alcuni l’obiettivo della ditta, che già possiede 12’000 ettari coltivati a canna da zucchero, sarebbe semplicemente di creare un legame di dipendenza e di controllare così indirettamente i terreni. A Rio Bonito la lotta per la proprietà della terra è lungi dall’essere finita.

swissinfo, Daniele Mariani di ritorno da Rio Bonito

Ulianópolis è il comune della regione amazzonica dove si è più disboscato negli ultimi 30 anni, stando a un’analisi effettuata con immagini radar dalla Sipam (Sistema di protezione dell’Amazzonia).

Il 76% della foresta vergine in quest’area è stato distrutto. Ciò rappresenta circa 18’000 km quadrati, un terzo della superficie della Svizzera.

Dall’agosto del 2007 al marzo del 2008, il Sipam ha constatato che solo nello Stato di Parà sono stati disboscati 1’362 km quadrati, una superficie del 76% superiore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

A Rio Bonito le persone che hanno occupato la terra nel 1991 hanno agito senza l’appoggio di un movimento nazionale. In Brasile il più celebre di questi movimenti che si battono per i diritti dei contadini senza terra è l’MST, il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (Movimento dei lavoratori rurali senza terra).

Quest’anno l’MST festeggia i suoi 25 anni di esistenza. Questo movimento è diventato famoso soprattutto grazie alle occupazioni di terre incolte appartenenti a grandi ‘fazendas’, soprattutto nel sud del Brasile.

Dopo l’occupazione inizia generalmente la battaglia legale affinché la comunità che si è installata ricevi dei titoli di proprietà.

Stando a Salete Carollo, uno dei leader dell’MST, in questi 25 anni 400’000 famiglie sono riuscite ad avere un diritto di proprietà. Altre 180’000 sono attualmente in lotta per conquistare la terra.

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