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«Non ci rendiamo conto della ricchezza degli indios»

Silvio Cavuscens è rimasto stregato dal Brasile e dall'Amazzonia più di 30 anni fa. Da allora consacra la sua vita alla difesa dei diritti degli indigeni ed in particolare del popolo Yanomami.

Si potrebbe ascoltarlo per ore senza mai stancarsi. Quando parla della foresta e soprattutto dei suoi abitanti, Silvio Cavuscens è una vera e propria enciclopedia, mai banale o noiosa. Ammirandolo intrecciare le fronde di una palma per ricavarne in un paio di minuti una sorta di bisaccia, si capisce immediatamente che ha avuto dei buoni maestri.

Dopo aver vissuto per trent’anni a stretto contatto coi popoli della foresta amazzonica, questo friburghese d’origine stabilito a Manaus potrebbe considerarsi uno di loro. Silvio Cavuscens rimane però lucido: «Molte persone credono che ci si possa trasformare in indios. Per quanto mi riguarda ho imparato un po’ a vivere come loro, ma ci sono molte cose che ancora mi sfuggono, che probabilmente non capirò mai, come ad esempio la loro spiritualità. Ho capito velocemente che lo scopo non era di sapere tutto, ma di vedere in che modo era possibile diventare un loro alleato».

Un lungo apprendistato

Silvio Cavuscens, 53 anni, arriva in Brasile nel 1975 all’età di 18 anni e da allora non è più ripartito. «Mi sono innamorato della gente», spiega.

In un primo tempo, Silvio impara a conoscere la realtà dei ‘caboclos’, i meticci tra bianchi e indios. In Amazzonia vive dei mestieri più diversi: «Ho fatto il marinaio, il fabbro, sono stato meccanico, guida turistica, ho fabbricato dei mattoni…».

Poi, nel 1978, dopo aver lungamente discusso con un’antropologa, decide di compiere il grande salto. Con la sua piroga raggiunge la regione di frontiera tra il Perù e il Brasile, dove vivono gli Yagua. I suoi ricordi sono ancora nitidi: «Sono arrivato un giorno verso fine pomeriggio. Dapprima mi hanno respinto. Per quindici giorni ho dormito sulla canoa e ho iniziato ad aver alcuni contatti coi bambini, a fare il bagno con loro. Dopo due settimane la mia piroga è affondata ed ho perso quasi tutto. Mi hanno aiutato, una famiglia mi ha adottato e ho cominciato a partecipare alle loro attività».

Gli Yagua gli insegnano che è possibile vivere in un modo molto diverso da quello occidentale. «Gli indios vivono alla giornata e non conoscono la nozione di accumulare delle ricchezze. Gli Yanomami, ad esempio, hanno un sistema di ridistribuzione fantastico. Se dai qualcosa ad uno di loro, una camicia o un machete ad esempio, dopo qualche mese potrai ritrovare questo oggetto in un altro villaggio. I beni circolano, poiché la dimostrazione del potere sta nella capacità di offrire».

«Una terra senza leggi»

Questi costumi lo segnano profondamente. «A un certo punto ho forse dovuto rinnegare le mie origini per aver la forza di stabilirmi qui. Oggi ho una relazione molto più chiara con la Svizzera. Mi piace tornare e valorizzo le cose del mio paese, ma la mia vita ormai è qui, questo stile di vita mi corrisponde meglio».

Il periodo passato con gli Yagua gli apre gli occhi soprattutto sulla dura realtà alla quale sono confrontati i popoli indigeni in Amazzonia. Di esempi Silvio Cavuscens potrebbe citarne centinaia: ‘garimpeiros’ (cercatori d’oro), malattie, disboscamento, violenza, inquinamento dei fiumi…

«I cercatori d’oro, ad esempio, hanno un impatto devastante sulle popolazioni indigene. Corrompono i leader locali per poter restare, creano un clima d’instabilità nel gruppo, abusano delle donne, trasmettono delle malattie…».

Quando non si rendono complici, il governo centrale e le autorità locali chiudono gli occhi. «L’Amazzonia è una terra senza leggi. I politici sono spesso loro stessi dei grandi proprietari che facilitano o provocano le invasioni e il disboscamento per le monocolture o le miniere. I pregiudizi nei confronti degli indios sono terribili», spiega Silvio Cavuscens.

La Costituzione brasiliana del 1988 ha in teoria conferito agli indigeni diritti maggiori, in particolare ha riconosciuto il loro diritto sulle terre che occupano tradizionalmente.

La situazione, però, fondamentalmente non è cambiata, perché «non è stata risolta la più grande contraddizione, ossia l’obbligo di proteggere i loro territori e la volontà di sviluppare dei progetti economici». Le riserve indigene rappresentano il 20% dell’Amazzonia e racchiudono ricchezze molto agognate.

A partire dagli anni ’70, le «popolazioni tradizionali» – non solo gli indios, ma anche ribeirinhos (abitanti delle rive dei fiumi), seringueiros (coglitori di lattice), quilombolas (ex schiavi) – cercano di prendere in mano il loro destino, rganizzando diverse assemblee in una prospettiva di lotta per la terra.

Una ricchezza inestimabile

Silvio Cavuscens partecipa in prima persona a questo movimento, lavorando dapprima con gli indios Chicuna, poi come consigliere della COIAB (Coordinazione delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana). Un lavoro non facile: «Sono stato minacciato, mi sono fatto picchiare…».

Da alcuni anni Silvio Cavuscens è coordinatore della Secoya, un’organizzazione che difende i diritti del popolo Yanomami, stabilito nello stato di Roraima, al confine col Venezuela. «Oltre al lobbying politico, la nostra associazione si occupa ad esempio di formare persone che forniscono assistenza sanitaria o dei maestri. Sempre però con un approccio indigenista, ossia con una comprensione della dimensione culturale, linguistica, ambientale e territoriale del popolo Yanomami», spiega Silvio Cavuscens.

A volte le lotte delle popolazioni indigene hanno successo, spesso falliscono nell’indifferenza generale. Silvio Cavuscens non abbassa però le braccia: «Il mondo non si rende conto della ricchezza degli indiani e di quanto possano insegnarci in termini di rapporti con lo spazio, la natura e di organizzazione sociale».

swissinfo, Daniele Mariani di ritorno da Belém

Gli Yanomami sono una delle popolazioni tradizionali dell’Amazzonia che ha avuto i contatti più tardivi con la società “sviluppata”.

I primi contatti datano della metà degli anni ’50.

Gli Yanomami vivono nella regione di frontiera tra il Brasile e il Venezuela. Si stima che la popolazione sia di circa 14’000 persone.

Nella regione dove è attiva l’associazione Secoya, vivono circa 2’300 Yanomami.

Si tratta di una popolazione seminomade, che vive di caccia e pesca. Per le coltivazioni usano la tecnica del debbio (ossia bruciano parte della foresta per fertilizzare il terreno).

Si stima che in Brasile la popolazione indigena sia di circa 750’000 persone.

Le etnie più grandi contano un massimo di circa 20’000 persone.

Gli antropologi hanno identificato 235 lingue, di cui 188 ancora viventi.

Nel 1910 fu fondato il Servizio di protezione degli indios. Negli anni ’60, questo organismo fu sciolto, poiché era diventato uno strumento nelle mani dei grandi proprietari terrieri. Nel 1964 fu fondata la FUNAI, la Fondazione nazionale dell’indio.

La Costituzione del 1988 riconosce agli indios il possesso delle terre che occupano tradizionalmente. Tuttavia questo articolo è interpretato in modo assai ‘liberale’. La demarcazione dei territori, che doveva essere conclusa nel 1993, è ancora in corso.

Recentemente in una vertenza per un’area nello Stato di Roraima (Raposa – Serra do Sol), alcuni giudici hanno decretato una riduzione della terra indigena a profitto dei grandi proprietari, in particolare alcuni risicoltori. Se questa sentenza venisse confermata, potrebbero essere messi a repentaglio molti altri territori indigeni.

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