Prospettive svizzere in 10 lingue

Apartheid: il mea culpa delle chiese evangeliche

Durban ai tempi dell'apartheid Keystone Archive

La Federazione delle chiese evangeliche della Svizzera (FCES) esprime rincrescimento per la sua posizione di fronte al regime dell’apartheid in Sudafrica.

Ma per le organizzazioni di sostegno alle vittime della segregazione, la presa di posizione delle chiese è insufficiente.

In occasione della presentazione di tre studi sui rapporti tra chiese evangeliche svizzere e regime dell’apartheid in Sudafrica, la Federazione delle chiese evangeliche della Svizzera (FCES) ha espresso rincrescimento per il proprio passato.

Le chiese evangeliche hanno imboccato troppo unilateralmente la via dei buoni uffici e della riconciliazione rispetto al problema dell’apartheid, indica un comunicato pubblicato giovedì. Le vittime della segregazione e coloro che all’interno delle chiese hanno levato la loro voce contro l’ingiustizia sono stati trascurati.

Già due anni fa il presidente della FCES Thomas Wipf si era scusato per la politica della federazione: “Noi come chiese ci siamo impegnati troppo poco per le persone vittime dell’apartheid”, aveva detto allora. In quell’occasione la FCES aveva assegnato l’incarico per la realizzazione dei tre studi.

Condanna teologica ma silenzio politico

“Dal punto di vista teologico, la condanna dell’apartheid era evidente”, spiega Paul Schneider, vice-presidente della FCES a swissinfo. “Ma avevamo difficoltà all’epoca a prendere ufficialmente posizione”.

La FCES promette ora di trarre le dovute conseguenze da quanto emerso dalle ricerche. Per il futuro la FCES si è impegnata a redigere linee guida teologico-etiche per la sua politica estera, sulla base di uno dei tre studi. Inoltre le Chiese prevedono progetti concreti di aiuto in Sudafrica.

“Abbiamo anche costatato che eravamo troppo isolati”, aggiunge Schneider. “Dobbiamo impegnarci di più in seno all’Alleanze riformata mondiale. E dobbiamo anche distinguere meglio quando parliamo di teologia e quando parliamo di politica”.

Tra evangelo e ragion di stato

Fra gli studi presentati vi è la tesi di licenza di Lukas Zürcher, che ha avuto libero accesso agli archivi della FCES e ne ha messo in luce i rapporti con il Sudafrica fra 1970 e 1990.

La FCES, secondo Zürcher, avrebbe molto esitato a prendere posizione sulla questione sudafricana. Alla fine avrebbe scelto di percorrere “lo stretto crinale che passa tra evangelo e ragion di stato, rinunciando ad una posizione profetica, che avrebbe potuto irritare gli ambienti economici e le autorità”.

Nello sforzo di non mettersi contro le autorità e di non creare spaccature all’interno del protestantesimo svizzero, la FCES avrebbe assunto un ruolo neutrale di mediazione, privandosi dell’opportunità di contribuire alla fine dell’apartheid.

“Le chiese, e in particolare quella protestante, scelsero una posizione alternativa alla condanna aperta dell’apartheid, finendo per cercare il dialogo con il regime e con le chiese che lo sostenevano”, osserva anche lo storico Eric Morier-Genoud, che ha partecipato al progetto del Fondo nazionale per la ricerca scientifica dedicato ai rapporti Svizzera-Sudafrica.

Legittimazione del regime

“C’è chi ritiene che questo atteggiamento delle chiese abbia permesso al regime sudafricano di guadagnare tempo”, precisa Morier. Un’accusa, quella di aver fornito una sorta di legittimazione al regime e a chi lo sosteneva, che emerge anche da un altro studio commissionato dalla FCES.

Christoph Weber ha analizzato la questione dei cosiddetti “colloqui bancari”. Fra 1986 e 1989 una delegazione ecumenica, tra cui sedevano anche rappresentanti delle chiese evangeliche, cercò il dialogo con le grandi banche svizzere.

Scopo dei colloqui era di convincere le banche a sostenere le sanzioni contro il regime di Pretoria. Ma l’autore constata che negli incontri non si discusse mai di rivendicazioni concrete. Per le banche si trattava di un semplice scambio di opinioni.

Una critica più radicale è espressa dalla Campagna svizzera per riduzione del debito e il risarcimento al Sudafrica (KEESA), che ha pubblicato un comunicato in cui commenta gli studi presentati dalla FCES.

Secondo la KEESA, i colloqui con le banche “non solo erano destinati a fallire, ma aiutarono le banche a migliorare la loro immagine in un momento in cui ne avevano urgentemente bisogno”.

Critiche alla posizione della FCES

Gli ambienti del movimento anti-apartheid rimangono del resto scettici sull’attitudine generale delle chiese evangeliche. “Certo, è positivo che dagli studi emergano fatti nuovi”, dice Mascha Madörin, economista dell’Azione piazza finanziaria svizzera e coordinatrice della KEESA. “Ma le conseguenze politiche non contengono elementi di novità”.

Per Madörin, la FCES continua a ignorare le posizioni delle chiese sudafricane, “anche sulla questione delle cause intentate contro banche e imprese che hanno sostenuto il regime dell’apartheid”.

“Dal nostro punto di vista, il ruolo della FCES non può essere semplicemente quello di riflettere la posizione del governo e di economiesuisse”, aggiunge l’economista.

swissinfo

La Federazione delle chiese evangeliche della Svizzera (FCES) ha espresso il suo rammarico per la propria posizione di fronte al regime dell’apartheid in Sudafrica.

La presa di posizione ha accompagnato la presentazione di tre studi sulle relazioni tra chiese evangeliche svizzere e regime di Pretoria.

Per il futuro, la FCES vuole adottare linee guida teologico-etiche per la propria politica estera e sostenere progetti di sviluppo in Sudafrica.

Le organizzazioni che sostengono le vittime dell’apartheid sono però scettiche, pur accogliendo con favore i tre studi.

La FCES continuerebbe a non tener conto delle posizioni delle chiese partner in Sudafrica.

In conformità con gli standard di JTI

Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative

Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.

Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR