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“C’è un’enorme pressione che si sta accumulando”

Proteste nel Myanmar
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Meno di un mese dopo il colpo di stato militare, centinaia di migliaia di persone stanno manifestando in Myanmar in nome della democrazia. Un'intervista con il responsabile di Helvetas a Yangon.

Il 1° febbraio, il governo democraticamente eletto del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi doveva entrare in carica. Ma alla vigilia dell’insediamento i militari, avanzando a giustificazione presunti brogli elettorali, hanno preso il potere. Da allora, l’ex Birmania si trova in un limbo politico. Le critiche internazionali sono state dure.

Nel frattempo, la resistenza nel Paese è cresciuta: uno sciopero generale ha portato l’economia alla paralisi, le manifestazioni si stanno diffondendo e ci sono già stati diversi morti attribuiti alle forze di sicurezza.

Il responsabile dell’organizzazione di cooperazione allo sviluppo Helvetas in Myanmar, Peter Schmidt, vive da quattro anni nell’ex capitale Yangon, la più grande città del Paese. In un’intervista, parla della tensione delle ultime settimane.

swissinfo.ch: Com’è la situazione sul terreno?

Peter Schmidt: Dall’inizio del mese ho lasciato la mia casa solo tre volte per andare a fare la spesa. Anche se finora gli stranieri non sono stati attaccati in modo specifico, la disposizione di Helvetas è di non uscire più. La sicurezza viene prima di tutto.

Cosa significa questo per voi?

In Myanmar dallo scorso agosto c’è stata una seconda ondata di coronavirus che ha colpito il Paese, innescando un lockdown. Da allora, la maggior parte del nostro lavoro la svolgiamo da casa; i nostri uffici sono chiusi. La situazione si è un po’ alleggerita in dicembre, ma dalla presa di potere dei militari abbiamo dovuto ridimensionare di nuovo le nostre attività.

C’è un coprifuoco dalle 8 di sera alle 4 del mattino, e viene rispettato. Vivo vicino a un’arteria principale del traffico cittadino; durante quelle ore è completamente deserta. C’è anche un divieto di assembramento, in teoria non potrebbero incontrarsi più di cinque persone. Tuttavia, in questo momento nel Paese centinaia di migliaia di persone si riuniscono ogni giorno per manifestare. Ogni giorno vedo innumerevoli auto e furgoni pieni di gente che si recano alle manifestazioni. Erano particolarmente numerosi il 22 febbraio, giorno in cui è stato indetto uno sciopero generale.

Internet è spento dall’1 alle 9 del mattino tutti i giorni, presumibilmente per rendere difficile la comunicazione. Anche i social media sono bloccati; sono visti come un fattore chiave per il coordinamento delle manifestazioni. Ma ci sono modi per aggirare questi blocchi.

Quindi i progetti di Helvetas al momento sono sospesi?

Il nostro obiettivo è quello di sostenere le persone svantaggiate. Ed è quello che stiamo facendo ora. Ma non è semplice. Per esempio, è molto difficile incontrare i coltivatori di riso per ottimizzare l’irrigazione dei loro campi. C’è un secondo problema: molti dei nostri interlocutori statali non stanno lavorando affatto – si sono uniti al movimento per la democrazia, il cosiddetto Civil Disobedience Movement CDMCollegamento esterno.

Le scuole sono già state chiuse per un anno – a causa del coronavirus. Ora anche alcuni operatori sanitari sono in sciopero, così che diversi ospedali hanno ridotto massicciamente i loro servizi. Intere sezioni di ministeri hanno smesso di funzionare. Fino a poco tempo fa, non si poteva immaginare che una fascia così ampia della popolazione si sarebbe unita alle proteste.

Negli ultimi anni ho visto il paese profondamente diviso lungo linee religiose ed etniche. Ci sono diversi movimenti indipendentisti, alcuni dei quali armati, e l’espulsione dei Rohingya musulmani è avvenuta non molto tempo fa.

Ecco perché sono ancora più sorpreso dalla diversità della resistenza. Gruppi di ogni genere si sono uniti alle manifestazioni. Marciano i culturisti, il club di motociclisti sfila con la bandiera dell’NLD, il partito di Aung San Suu Kyi, i proprietari di cani portano a spasso i loro animali domestici, i venditori ambulanti musulmani offrono cibo ai protestanti. C’è un’unificazione contro il colpo di Stato che ha coinvolto ampi settori della società.

L’esperimento democratico in Myanmar è durato poco. Ora i semi della democrazia germoglieranno comunque?

In ogni caso la resistenza alla presa di potere dei militari è impressionante. Uno dei messaggi centrali dei manifestanti è: “Non vogliamo una dittatura militare”. La generazione sulle strade è giovane, agile, istruita rispetto al passato e sa usare gli strumenti digitali. I social media giocano un ruolo enorme – gli attacchi della polizia finiscono immediatamente in rete. L’ampiezza della resistenza è anche una possibile spiegazione del perché i militari sono stati finora sorprendentemente moderati verso le manifestazioni, permettendo enormi cortei di protesta. Un altro messaggio è: “Vi siete messi contro la generazione sbagliata”, un riferimento a precedenti colpi di stato soffocati nel sangue.

Myanmar e democrazia: il rapporto è irto di tensioni. La Svizzera è impegnata da tempo in questo processo, come sottolinea il nostro reportage del 2018:

Altri sviluppi

Anche la Svizzera ufficiale è messa in discussione

Dopo la fine della lunga dittatura militare nel 2010 e l’apertura del Paese, anche la Svizzera si è impegnata in Myanmar. Nel 2012 ha aperto una delle sue più grandi ambasciate a Yangon e investe circa 35 milioni di franchi all’anno nella cooperazione allo sviluppo, nella costruzione della pace e nell’aiuto umanitario.

Ma il recente colpo di Stato avrà probabilmente un impatto sull’impegno elvetico. “Stiamo esaminando se e quali dei nostri progetti debbano essere sospesi perché vanno a beneficio del governo militare o devono essere amministrati da esso”, scrive il Dipartimento federale degli affari esteri in risposta a una nostra domanda. Il DFAE precisa tuttavia che è ancora troppo presto per dare una risposta dettagliata sul futuro della presenza svizzera nel Paese del sudest asiatico.

Dopo la presa del potere da parte dei militari il governo svizzero ha pubblicato un comunicato stampaCollegamento esterno in cui critica i recenti sviluppi. Ha anche aderito alle sanzioni dell’UE. Queste includono misure finanziarie e limitazioni per i viaggi, rivolte principalmente contro singoli membri delle forze armate. In una mossa insolita, l’ambasciata svizzera a YangonCollegamento esterno si è unita ad altre missioni occidentali nel condannare le azioni dei militari:

documento
Pagina Facebook dell’ambasciata svizzera in Myanmar

Il ruolo dell’esercito come istituzione nazionale dominante ha anche a che fare con la diversità del Paese: in Myanmar ci sono 135 gruppi etnici riconosciuti, più altri che non sono riconosciuti come tali. Dalla sua indipendenza dalla Corona britannica nel 1948, l’ex Birmania ha vissuto diversi conflitti interni armati.

La Cina è stata un attore chiave in questi conflitti: gli esperti considerano decisiva l’influenza cinese sulla giunta militare. Secondo alcune vociCollegamento esterno, il grande vicino sta aiutando i militari a costruire un firewall digitale in Myanmar.

Da parte sua, il gigante tecnologico Facebook ha già reagito, bloccando gli account legati all’esercitoCollegamento esterno. Anche le pubblicità delle aziende controllate dall’esercito saranno rimosse.

Signor Schmidt, cosa accadrà ora?

Peter Schmidt: Si sta accumulando molta pressione. Alcuni suppongono che le forze democratiche vinceranno questa battaglia. Altri credono che i militari permetteranno alle masse di sfogarsi, per così dire, e che il regime attenderà semplicemente la fine della crisi. Non azzardo una previsione.

Ci sono rapporti secondo cui i critici del regime sono vittima di rappresaglia, soprattutto di notte. Il Comitato internazionale della Croce Rossa ha registrato quasi 500 arresti la settimana scorsa. Da allora, il numero è cresciuto. Politici, attivisti ma anche influencer politici come attori o artisti sono particolarmente a rischio.

Cosa significa tutto questo per Helvetas?

Abbiamo già dovuto adattare il nostro lavoro a causa della pandemia e ora lo stiamo facendo di nuovo a causa della situazione politica. Non è ancora chiaro in che direzione si andrà alla fine, ma sono scettico. In collaborazione con altre organizzazioni per lo sviluppo, intensificheremo il nostro aiuto umanitario di emergenza e lavoreremo in particolare con le organizzazioni della società civile e le imprese del settore privato.

Attività come la formazione professionale pratica o la promozione dell’agricoltura sostenibile sono possibili e sensate anche in una situazione politicamente instabile. Continuiamo a fare ciò che è possibile finché la sicurezza dei nostri dipendenti e dei nostri partner non è a rischio.

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