Gauguin, le sue star, il suo “show”… e la massa di visitatori
La retrospettiva Gauguin della fondazione Beyeler riscuote un enorme successo di pubblico, grazie in particolare a un allestimento e un marketing audaci. Il tutto a scapito della qualità? Niente affatto, risponde il sociologo Olivier Moeschler, secondo cui un buon utilizzo delle nuove tecnologie consente di far scoprire l’arte a un pubblico nuovo.
È l’esposizione dei superlativi. Con la retrospettiva dedicata a Paul Gauguin (fino al 28 giugno), la Fondazione BeyelerCollegamento esterno ritiene di aver realizzato «l’esposizione più bella» di tutti i tempi sull’artista, il cui radicalismo continua ad affascinare. Il museo non presenta soltanto opere che non venivano esposte da molto tempo, ma innova anche su più fronti.
Un paio di esempi: ancora prima dell’apertura dell’esposizione, alcune star sono state invitate a partecipare a delle letture. Al museo, le proiezioni multimediali e interattive permettono ai visitatori di “navigare” sulle informazioni a loro piacimento.
Ma tutti questi sforzi, come una sorta di imballaggio di lusso attorno a una scatola vuota, non rischiano di annientare la percezione dell’arte? Lo abbiamo chiesto a Olivier MoeschlerCollegamento esterno, ricercatore associato all’Istituto di scienze sociali dell’Università di Losanna e specialista di sociologia della cultura.
swissinfo.ch: Il successo dell’esposizione Gauguin non è in primo luogo quello del marketing?
Olivier Moeschler: Questa strategia di comunicazione mostra semplicemente che una grande esposizione si “vende”, o meglio si promuove, come una grande produzione hollywoodiana per stuzzicare la curiosità di un ampio pubblico. Anche Bastien Baker è stato coinvolto [per le “playlist” Gauguin, ndr] con lo scopo di sedurre un pubblico più svizzero e più giovane. Quindi probabilmente per ringiovanire e rinnovare il pubblico dell’istituzione.
swissinfo.ch: Questa logica economica ha una sua ragione di esistere nel mondo delle belle arti?
O. M.: In fondo, non c’è nulla di male. È da un pezzo che l’economia – non quella dei beni simbolici, ma quella dei beni tout court – ha capito che si tratta non tanto di soddisfare dei desideri, quanto di suscitarli, di costruire dei bisogni, di creare la domanda.
Ciò mostra anche che le istituzioni culturali – perlomeno quando ne hanno i mezzi – conoscono perfettamente le regole del gioco mediatico e il linguaggio da utilizzare per attirare un pubblico più vasto. Questo successo permette di ammortizzare l’investimento. Detto questo, [la strategia] è piuttosto fatta bene, con la lettura di Keanu Reeves e la volontà di far entrare Bastien Baker nella logica dell’esposizione e del museo, e non l’inverso. Così facendo, un ampio numero di visitatori può beneficiare di queste opere.
Potremmo dunque anche vedere questa strategia come una manna, uno strumento al servizio della democratizzazione culturale, di un maggiore accesso a opere di valore. È anche una conferma del fatto che la cultura e le istituzioni culturali sono state costrette a scendere dal loro piedistallo. Devono giustificare la loro esistenza, generare entrate e interessare le masse per legittimare i loro costi. Se tutto ciò potrà davvero ampliare e diversificare il pubblico, allora è piuttosto una buona notizia.
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swissinfo.ch: Al giorno d’oggi, bisogna accompagnare le esposizioni d’arte con sofisticati mezzi tecnologici per attirare il pubblico?
O. M.: I legami tra il digitale e le opere fisiche “tradizionali”, tra gli spazi reali e quelli digitali, sono oggi molteplici. Le frontiere tra istituzioni e Internet, tra creatori e spettatori, tra professionisti e dilettanti, sono a volte sfumate.
Il libro digitale presentato alla fine dell’esposizione vuole essere un incitamento alla creatività e alla dimensione partecipativa degli spettatori. Il fatto di pensare che “siamo tutti degli artisti”, in una “società creativa” in cui chiunque può creare e diffondere in continuazione delle opere, rappresenta una delle conquiste degli anni ’60-’70.
Esposizione Gauguin
L’edificio realizzato da Renzo Piano, sede della Fondazione Beyeler a Riehen, nei pressi di Basilea, è il museo d’arte più visitato della Svizzera.
Aperta l’8 febbraio 2015, l’esposizione dedicata a Paul Gauguin (fino al 28 giugno 2015) potrebbe registrare un nuovo record di entrate.
La mostra potrebbe anche essere la più costosa mai organizzata dalla fondazione, che pubblica però le sue cifre soltanto nel suo rapporto annuale.
Per riunire le oltre cinquanta opere (43 dipinti e otto sculture) ci sono voluti sei anni di lavoro e 29 trasporti speciali. Complessivamente, le opere hanno percorso 60’000 km.
Prima dell’apertura della mostra, la curiosità del pubblico era stata stuzzicata dalla vendita, a un acquirente ignoto, del dipinto “Nafea faa ipoipo” (“quando ti sposi?”) per la cifra record di 300 milioni di dollari.
Il museo ha chiesto a personalità del mondo dello spettacolo di leggere delle lettere di Gauguin. Un invito a cui hanno risposto gli attori Vincent Perez e Keanu Reeves. Dal canto loro, Marc Almond e Dominique Horwitz hanno cantato Jacques Brel, grande ammiratore di Gauguin.
swissinfo.ch: E i visitatori che non sono interessati a “creare” o a partecipare, cosa ne ricavano?
O. M.: Non bisogna sottovalutare gli apporti reali dei nuovi dispositivi, in termini di informazione e di comprensione delle opere. Idealmente, questi sono impiegati per completare la visita classica, per riconfigurarla e ridefinirla, non per sostituirsi ad essa. Ed è proprio nell’era della riproducibilità numerica e infinita che l’aura dell’originale ha più che mai una ragione d’essere.
Questi dispositivi sono al contempo facoltativi e si rivolgono a un pubblico differenziato: ciò che diventa una moda per alcuni non è forzatamente un obbligo per altri. Ognuno può stabilire la relazione che desidera con l’esposizione. Oggigiorno, la visita al museo offre quindi delle possibilità di visita calibrate su alcuni pubblici target, ma pure più individualizzate, più libere.
swissinfo.ch: I costi elevati dell’organizzazione (assicurazioni, trasporti, manutenzione,…) giustificano la necessità di fare sì che le esposizioni siano redditizie?
O. M.: A livello puramente economico e pecuniario, c’è probabilmente una necessità di attirare molte persone per trarre il massimo profitto dagli investimenti. Tuttavia, le motivazioni non possono mai essere ridotte a un interesse materiale, soprattutto in campo culturale. Le logiche in gioco sono diverse: la necessità di coprire i costi e di far conoscere i nomi dei mecenati e degli sponsor, la democratizzazione della cultura, il piacere di attirare un vasto pubblico o ancora la voglia di cambiare il nostro sguardo sull’arte e quindi sul mondo.
swissinfo.ch: Lo spettacolo e lo spettacolare non rischiano di occultare la percezione dell’arte in quanto tale? Si parlerà forse più del libro tattile che dei dipinti di Gauguin…
O. M.: Tutto dipende dal dispositivo dell’esposizione, dal percorso concepito dai curatori, dal posto che hanno preparato per il pubblico. Nella fattispecie, si tratta di un elemento moderno e in voga che deve suscitare l’interesse dei media e probabilmente anche di un pubblico più giovane.
Oggi più che mai, una delle sfide della cultura e delle istituzioni culturali è di ringiovanire il pubblico, rinnovarlo e quindi mantenersi in vita. Se la forma è in accordo con il contenuto e se l’esperienza è utile, per il pubblico ma anche per gli organizzatori, allora la sfida è vinta.
La teoria vuole che la propensione per le arti classiche si manifesta con l’età. Ma alcuni studi suggeriscono, ad esempio, che una generazione cresciuta con un certo tipo di musica l’ascolterà per tutta la vita, senza passare a qualcosa di più classico. È quindi vitale – al di là della bellezza percepita di queste opere – interessare nuove cerchie a questo tipo di creazioni, così da costituire il pubblico culturale di domani. Il digitale può essere un elemento di questo progetto, come può anche ampliare e ridefinire la visita al museo e la percezione e la comprensione delle opere. Tuttavia, non può, e non vuole, sostituire il piacere di ammirare delle opere.
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swissinfo.ch: Bisognerebbe riproporre esposizioni forse più modeste?
O. M.: Il settore culturale è vasto e variato. Ci saranno quindi sempre delle “grandi produzioni” quasi hollywoodiane, come questa esposizione dal grande budget e dal grande pubblico, e delle manifestazioni di medie dimensioni o più modeste.
Non bisogna confondere la dimensione di un evento culturale con la sua importanza. Questo vale nei due sensi: non è perché un’esposizione è grande che è pure interessante, ma non è nemmeno per questa ragione che sarà forzatamente insignificante! In ambito culturale come altrove, le cose sono complesse e a volte inaspettate. Ed è proprio la peculiarità dell’arte a ricordarcelo.
Traduzione dal francese di Luigi Jorio
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