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La collezione Bührle tra arte, guerra e contesto storico

Ann Demeester all entrata della sala con la collezione bürle
La critica d'arte belga Ann Demeester ha assunto la direzione del Museo d'arte di Zurigo (Kunsthaus) nel 2022, assumendo la responsabilità di rivalutare la collezione Bührle. © Keystone / Ennio Leanza

Il Museo d'arte di Zurigo fa un altro tentativo di esporre la controversa collezione Bührle. SWI swissinfo.ch ha incontrato la direttrice Ann Demeester per parlare della mostra.

Nell’autunno 2021, il Museo d’arte di Zurigo (Kunsthaus Zürich) ha inaugurato una mostra di opere d’arte, prevalentemente impressioniste, provenienti dalla fondazione Emil Bührle. Sin dall’inizio, il museo è stato al centro di critiche internazionali perché Bührle era un trafficante d’armi e ha acquisito diversi lavori durante il regime nazista in circostanze che ora sono ben note.

Inoltre, prima dell’apertura della mostra, la fondazione ha interferito con le indagini sul contesto storico della controversa collezione. Ora, sotto la guida della nuova direttrice Ann Demeester, il museo è ripartito da zero, ripensando l’esposizione (gli eventi in cui i quadri sono stati acquisiti hanno più spazio) e intitolando la mostra “Un futuro per il passato. La Collezione Bührle: arte, contesto, guerra e conflitto”.

Ann Demeester ha spiegato a SWI swissinfo.ch il suo approccio, che rappresenta una chiara rottura con quello del suo predecessore, chiarendo anche la diversa situazione che deve affrontare il Kunsthaus rispetto al Museo delle belle arti di Berna (Kunstmuseum Bern), a sua volta alle prese con un altro caso di alto profilo, la Collezione Gurlitt.

SWI swissinfo.ch: In un’intervista del 2022 lei disse che l’arte è in balia della storia dopo la morte dell’artista. È mai arrabbiata con Emil Bührle per quello che ha fatto a queste opere?

Ann Demeester: Cerco di non essere arrabbiata con i defunti. Non serve a molto. Ma sono sempre consapevole del fatto che con la collezione Bührle, arte e storia non possono essere mai separate. Le opere d’arte sono di per sé innocenti, ma servono da testimonianza di crimini e profonde ingiustizie. Inoltre, sono anche diventate oggetti della memoria del terrore del regime nazista.

Con questa mostra vogliamo mostrare entrambe le facce. Questa è una magnifica collezione di capolavori straordinari, ma è anche controversa. Ci sono opere che in precedenza appartenevano a collezionisti ebrei, che sono oggetto di discussione. Ma persino gli altri lavori sono stati acquistati da Emil Bührle con un capitale che proveniva in larga parte dalla vendita di armi alla Germania nazista.

Per quale motivo Bührle acquistava questi quadri?

Bührle acquistava artisti di prima classe e alta qualità, arte di grande valore. I suoi interessi spaziavano dagli antichi maestri alla scultura medievale al primo modernismo classico. Aveva invece un’avversione per l’arte astratta. All’inizio non voleva nemmeno acquistare Picasso perché era comunista, ma mi è stato detto che lo fece comunque visto che Picasso faceva ormai parte dei canoni dell’epoca. Bührle aveva una forte propensione verso i grandi nomi del canone artistico.

ritratto di Emil Bührle dipinto da Oskar Kokoschka
Ritratto di Emil Bührle realizzato dall’artista austriaco Oskar Kokoschka (1886-1980). Considerando l’avversione di Bührle per l’arte moderna e il fatto che Kokoschka fosse apertamente di sinistra, ci si chiede cosa li abbia fatti incontrare. Un indizio è che entrambi detestavano l’arte astratta. swissinfo.ch

Raramente c’è stato così tanto dibattito attorno al Kunsthaus di Zurigo come negli ultimi due anni. È questa anche un’opportunità?

Questo sarebbe cinico, c’è troppa sofferenza dietro questa collezione. Ma penso che la Collezione Bührle ci abbia spinto a prendere seriamente il nostro compito, ad affrontare il mondo esterno e a non essere solo un bellissimo museo d’arte. Dobbiamo essere un museo moderno che tiene anche discussioni dolorose e non può sempre crogiolarsi nell’ armonia.

Prima dell’inaugurazione della mostra c’è stato un intoppo: il consiglio scientifico si è dimesso all’unisono.

Senza il consiglio scientifico questa mostra sarebbe diversa; negli ultimi 12 mesi ci hanno dato un feedback incredibilmente importante sui temi della mostra e su come coinvolgere il pubblico a partecipare. Senza di loro avremmo forse deciso per una prospettiva diversa. Alla fine, però, hanno ritenuto che il personaggio Bührle fosse ancora troppo centrale, mentre le vittime non lo fossero a sufficienza. Rispettiamo questo punto di vista, ma la pensiamo diversamente.

Una settimana prima dell’inaugurazione della mostra, il consiglio scientifico ha rassegnato le dimissioni, arrivate dopo numerose dichiarazioni a porte chiuse. I membri del consiglio hanno criticato il fatto che la mostra fosse ancora troppo incentrata sulla figura di Emil Bührle. A loro avviso, la nuova esposizione mette ai margini le vittime della politica, da cui Bührle ha tratto profitto come imprenditore e collezionista.

Contestano inoltre il fatto che le vite dei collezionisti precedenti non siano sufficientemente messe in risalto. Concentrandosi sulla “storia dei beneficiari”, la mostra non mette in evidenza le figure che hanno di fatto plasmato il modernismo attraverso il loro sostegno agli artisti.

Infine, i membri del consiglio aggiungono che l’esposizione non illustra con sufficienti dettagli la politica di sterminio nazionalsocialista, che è centrale nella storia della collezione, e neppure la politica svizzera durante la Seconda guerra mondiale. “La mostra tace sul ruolo della Svizzera come piazza di scambio per lavori saccheggiati o venduti in seguito alla fuga”, ha dichiarato il membro del consiglio Stefanie Mahrer.

Una critica del consiglio scientifico è che i quadri possono essere visti senza elementi di disturbo e che il contesto storico da cui provengono non è mostrato abbastanza.

È nostro dovere come museo spiegare il contesto delle opere. Ma non le vogliamo coprire con strati d’informazione o nasconderle per rendere il contesto ancora più evidente. Vogliamo che le opere respirino e possano esistere in quanto opere d’arte.

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Ritratto di Irène Cahen d’Anversa realizzato da Pierre-Auguste Renoir (1880). © Keystone / Ennio Leanza

A nostro avviso non si può prescindere dalla storia nella nostra mostra. Essa inizia volutamente con un quadro bellissimo ma che ha una storia complessa e dolorosa: si tratta del ritratto di Irène Chaen d’Anversa di Renoir. Vogliamo che i visitatori e le visitatrici vedano questo quadro come un capolavoro impressionista.

Ma devono anche capire che oltre il quadro c’è una vita piena di guerra, perdita e morte: l’intera famiglia di Irène Chaen d’Anversa è stata sterminata nei campi di concentramento e il suo ritratto confiscato dai nazisti. Dopo la guerra le fu restituito, prima che lei lo vendesse a Bührle nel 1949.

Come fate a mostrare tutto ciò?

Già dopo la prima sala, il percorso lungo la mostra è predeterminato: i visitatori e le visitatrici devono assistere alle dichiarazioni in video sulla mostra, attraversare la sala in cui si parla del destino dei collezionisti ebrei e quella sulla ricerca di provenienza delle opere.

Alla fine, chi visita la mostra arriva in una stanza dove può anche esprimere le proprie opinioni.

Sono interessata alle loro reazioni e assieme al mio team sono molto curiosa al riguardo. È prevista anche una sessione settimanale in cui vorremmo parlare personalmente con il pubblico. Quali sono i loro dubbi, e quali preoccupazioni hanno? Questa mostra non è un punto di arrivo per noi, ma un’occasione per chiederci cosa ci portiamo dietro nella prossima fase della mostra e come dovrebbe cambiare.

Non vogliamo accontentare tutti, né saremo in grado di rispondere a tutto. Ma vogliamo capire quali discussioni sono importanti per i nostri visitatori. Continueremo a coinvolgere esperti ed esperte. Potessimo tornare indietro nel tempo, coinvolgeremmo subito il consiglio scientifico. Senza dubbi e senza esitazioni.

due persone ammirano il dipinto di Claude Monet s Le Bassin aux nymphéas, le soir
Due persone contemplano “Le Bassin aux nymphéas, le soir” (Lo stagno delle ninfee di sera, 1916-22) di Claude Monet. © Keystone / Ennio Leanza
dipinto in un museo
La mostra dedica un’intera sala alle opere d’arte di provenienza controversa, evidenziando i casi di collezionisti d’arte ebrei che hanno visto le loro opere saccheggiate o confiscate dai nazisti, o che sono stati costretti a venderle per pagare la loro fuga dalla Germania e un minimo di sostentamento in esilio. © Keystone / Ennio Leanza

Fino a che punto il dibattito su Bührle trascende il Kunsthaus?

Sono esitante. Sono in Svizzera da un anno e, in quanto emigrata da poco, devo essere un po’ riservata. Ma credo che la collezione Bührle sia una pars pro toto (una parte per il tutto in latino) e che rappresenti molto di più che una semplice collezione.

Le persone continuano a dirmi che la mostra può essere un’occasione per spiegare di nuovo la storia della Svizzera durante la Seconda guerra mondiale. Molte persone con cui ho parlato mi hanno detto che stiamo entrando in una nuova fase della memoria in cui il ruolo della Svizzera verrà messo ancor più in discussione.

Non è quindi tanto una questione di colpa o di innocenza, ma forse di cosa significasse neutralità allora: cosa voleva dire essere politicamente neutrali in una guerra mondiale e allo stesso tempo continuare a commerciare con tutti? Ma per questo tipo di domande abbiamo bisogno di dibattiti al di fuori del Kunsthaus che si basino sulla ricerca storica esistente.

Finora ha parlato del dibattito pubblico, ma c’è anche una sorta di diplomazia con la Fondazione Bührle e la Società d’arte di Zurigo. Sono emersi dei vincoli?

La Fondazione Bührle non ci ha imposto alcun vincolo. La collezione deve rimanere nella sua interezza, ma siamo liberi di curare la mostra. Questo è stato un chiaro passo avanti – ma non voglio dare un giudizio affrettato sui fatti. Inoltre, non è ancora chiaro quali risultati porterà la ricerca sulla provenienza dei dipinti da parte dello storico Raphael Gross, incaricato di questa indagine.

Dobbiamo aspettarci un approccio simile a quello di Berna, ovvero che in caso di sospetto i lavori vengono restituiti ai loro legittimi proprietari?

Abbiamo grande ammirazione per il lavoro del Kunstumuseum, ma credo che ci sia una grossa differenza tra la loro situazione e la nostra. Il museo di Berna è proprietario delle opere di origine sospetta. Questo non è il nostro caso con la Collezione Bührle. Non è una scusa, ma un fatto.

Nel marzo 2023 abbiamo introdotto una nuova strategia di ricerca sulla provenienza della nostra collezione. Per quanto riguarda le nostre opere, abbiamo chiare circostanze e strategia, ma ciò non vale per la collezione d’arte della Fondazione Bührle.

persone con audioguide in una sala del museo
Storici, ricercatori, politici e rappresentanti della comunità ebraica in Svizzera esprimono in video le loro diverse opinioni sulla gestione della collezione da parte del museo. © Keystone / Ennio Leanza

A cura di Benjamin von Wyl ed Eduardo Simantob

Traduzione di Emiliano Feresin

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