Un “Piano Lugano” per la ricostruzione l’Ucraina
La Svizzera si è assicurata una posizione di primo piano sulla scena internazionale la prossima settimana, invitando a Lugano attori di rilievo per pianificare la ricostruzione dell'Ucraina. Quali benefici ne potrà trarre questo Paese devastato dalla guerra? E qual è l'obiettivo della Svizzera?
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Enormi quantità di capitali russi sono depositate in Svizzera. Questi beni devono essere confiscati? Se sì, possono essere utilizzati per la futura ricostruzione dell’Ucraina? Tali proposte sono ampiamente dibattute a livello internazionale. Anche in Svizzera l’idea è stata proposta in Parlamento. Ma se può sembrare seducente di primo acchito, in gioco c’è lo Stato di diritto della Confederazione. La nostra giornalista Tomoko Muth ha analizzato il tema con esperte ed esperti. La conclusione: le espropriazioni colpirebbero duramente la piazza finanziaria svizzera. Sarebbero però misure ipotizzabili a livello internazionale.
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Espropriare anziché congelare: un’opzione praticabile in Svizzera?
Il 4 e 5 luglio a Lugano, tuttavia, si parlerà solo marginalmente del capitale destinato alla ricostruzione. Al centro del dibattito vi saranno domande più basilari: chi lo farà? Come va fatto? Cosa è necessario? Quando si dovrà cominciare a ricostruire?
L'”Ukraine Recovery Conference” è un evento che ha l’obiettivo di iscriversi in una serie di incontri ai più alti livelli, come il summit del G7 in Baviera e il vertice della NATO a Madrid. La lista dei partecipanti alla conferenza nella città ticinese non sarà altrettanto prestigiosa, ma l’incontro potrebbe dare il via alla definizione delle misure per la futura ricostruzione dell’Ucraina.
La conferenza ha luogo su iniziativa dell’attuale presidente della Confederazione, Ignazio Cassis. Quest’ultimo è originario della città ospitante e auspica che l’incontro si concluda con una “dichiarazione di Lugano”, paragonabile al Piano Marshall che ha tracciato la ricostruzione dell’Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Ciò assicurerebbe alla città un posto nella storia. Si tratta quindi anche di una questione di prestigio e di un’apparizione sulla scena politica mondiale.
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Ricostruzione dell’Ucraina: la Svizzera vuole un ruolo di leadership
La posta in gioco è ben più importante per l’Ucraina. “È difficile parlare di priorità quando i bisogni sono così tanti”, spiega Manal Fouani, che lavora per il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) in Ucraina. Nell’articolo di Julia Crawford, l’esperta sottolinea anche che “la priorità è mettere fine alla guerra”. La nostra collega ha discusso con Fouani e altri esperti ed esperte delle sfide di questa ricostruzione.
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Un summit svizzero per parlare della ripresa dell’Ucraina
Le infrastrutture – ospedali, strade, intere città – non sono le sole a essere distrutte, anche la società è danneggiata. In Ucraina, c’è un elemento che potrebbe dissuadere gli Stati donatori a dimostrarsi generosi: secondo l’organizzazione Transparency International, l’ex repubblica sovietica è il Paese più corrotto in Europa. Anche questo tema sarà all’ordine del giorno a Lugano.
Se il piano svizzero funzionerà e verrà tracciata la futura ricostruzione dell’Ucraina, ciò segnerà un nuovo capitolo per i buoni uffici della Confederazione. In questi ultimi anni, il Paese ha intensificato gli sforzi per posizionarsi come mediatore nei conflitti internazionali, con Ginevra come centro del multilateralismo e la neutralità come garanzia di imparzialità. Ma quest’ultimo aspetto è in corso di ridefinizione: la Svizzera si è schierata con l’Occidente a fianco dell’Ucraina. Il presidente della Confederazione parla di “neutralità cooperativa”.
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La neutralità della Svizzera: dove sta andando?
La conferenza è quindi un’occasione per la Svizzera. Resta il fatto che il Paese delle banche e dei colletti bianchi non riesce a scrollarsi di dosso l’immagine di opportunista. Nella sola Lugano vivono 300 persone di nazionalità russa, in buona parte con patrimoni multimilionari. La città è il centro internazionale del commercio dell’acciaio russo e ucraino.
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Lugano, l’acciaio e la guerra
Grazie alle aziende russe, Lugano incassa ogni anno fino a nove milioni di franchi di tasse, come ha rivelato il sindaco della città, Michele Foletti, ai giornali. Sorgono quindi domande legittime. La Svizzera ha agito con sufficiente determinazione nell’ambito delle sanzioni contro la Russia? È stata abbastanza rapida? Il nostro specialista di questioni economico-finanziarie Matthew Allen si è occupato del tema. “Gli oligarchi hanno avuto tutto il tempo necessario per mettere i loro averi al sicuro con l’aiuto di consulenti e avvocati”, constata.
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La Svizzera sta facendo abbastanza per congelare i beni russi?
Nell’ambito dell’aggiramento delle sanzioni, una particolarità elvetica salta agli occhi: i porti franchi. Il Paese non ha porti internazionali – con l’eccezione di Basilea – e la costa marittima più vicina è a 200 chilometri. Ma la Svizzera possiede sette porti franchi, ai quali si aggiungono 174 depositi doganali aperti. Si tratta di luoghi in cui oggetti di valore possono essere immagazzinati lontano dagli occhi dei servizi doganali e delle autorità svizzera. La nostra collaboratrice Olivia Chang descrive le molte possibilità che questi luoghi offrono a chi vuole trasgredire la legge.
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La guerra in Ucraina aumenta le pressioni sui porti franchi svizzeri
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