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Evangelici contro la politica israeliana nei Territori

La Chiesa cattolica non vuole esporsi, neanche dopo l'attacco ad un ospedale e la distruzione di simboli cristiani. I protestanti svizzeri invece non vogliono più stare a guardare: reclamano un impegno concreto per la pace Keystone

La Chiesa Evangelica svizzera condanna con forza la violenza del governo israeliano: oltre a distruggere il sostegno umanitario, impone la reazione civile.

L’immagine della statua della Madonna, illuminata di notte, dell’Ospedale e orfanotrofio di Betlemme ha fatto il giro del mondo. È il segno di una presenza cristiana in un territorio sacro anche per gli ebrei e i mussulmani. Ma è improvvisamente anche diventato il simbolo di una guerra senza confini che è tornata ad invadere i Territori sotto l’autorità palestinese.

L’ospedale cattolico della Sacra Famiglia non è stato l’unico obbiettivo umanitario colpito. L’attacco a Betlemme degli scorsi giorni ha colpito anche l’edificio scolastico Dar-al-Kalima. Una struttura nata due anni fa, anche grazie al contribuito di 80’000 franchi della Chiesa del canton Berna. Il progetto è nato dalla collaborazione fra la Chiesa riformata svizzera, quella luterana e le comunità evangeliche in Palestina.

“La scuola – ha precisato Albert Wieger, portavoce della Chiesa bernese, ai microfoni di Radio DRS – ospita 240 allievi mussulmani e cristiani. Gli attacchi vandalici effettuati contro l’edificio ci hanno colpito profondamente, perché la costruzione è stata finanziata con le offerte delle comunità locali ed è duro vedere come adesso l’impegno svizzero per costruire la pace viene deliberatamente distrutto”.

Impegno distrutto

La Chiesa cattolica non ha voluto reagire all’atto distruttore per non inquinare maggiormente le acque. In una presa di posizione ufficiale degli ambienti ecclesiastici di Betlemme si è parlato di “un incidente senza valenza simbolica”.

Opposta invece la reazione della Chiesa protestante. Con una forte denuncia, pubblicata venerdì, la Federazione delle Chiese Evangeliche della Svizzera accusa il degrado della convivenza fra israeliani e palestinesi. Ogni giorno la cronaca segnala una situazione che peggiora: morti, feriti e distruzione si aggiungono al bilancio già pesante. La Chiesa evangelica reagisce alle recrudescenze, chiedendo una svolta nel conflitto e un ritorno ai tavoli delle trattative.

Con parole chiare, i rappresentanti della chiesa chiedono l’abbandono dei Territori occupati da parte delle truppe israeliane, il blocco degli insediamenti, soluzioni per i profughi e proclama anche il diritto dei palestinesi a condividere Gerusalemme come propria capitale.

Le Chiese evangeliche chiedono l’intervento della comunità internazionale per sbloccare la situazione. Solo un sostegno fattivo della pace potrà portare, così il comunicato, alla fine degli attentati suicidi di una gioventù palestinese senza speranze.

Un coraggio nuovo

La Chiesa riformata elvetica, Chiesa di Stato, si espone raramente con tanta decisione in campo politico. Per il pastore di Lugano Daniele Campoli però è giunto il momento: “Quello che succede ormai da anni in Israele e in Palestina è sotto gli occhi di tutti e i cristiani non possono tacere di fronte ad una guerra che colpisce indiscriminatamente mussulmani, ebrei e cristiani”.

“Certo – continua Campoli – specialmente in Europa, dove pesa ancora l’ombra della Shoah, esiste un giustificato imbarazzo nel criticare Israele. Inoltre anche nei nostri paesi non mancano tendenze e movimenti estremisti che potrebbero approfittare di un astio incontrollato. Una certa attenzione nel formulare le critiche si impone. Ma in questo caso dobbiamo analizzare la situazione in un’ottica diversa: anche Israele è un paese multietnico con persone e credi diversi che devono poter convivere pacificamente”.

Per le Chiese riformate svizzere non è sempre facile concordare una posizione unitaria, la struttura democratica rende laboriosa la ricerca di un consenso collettivo sui temi scottanti. “Al nostro interno vivono più anime; ci sono i conservatori e i progressisti, chi vuole un impegno sociale e politico e chi invece vuole una Chiesa legata ai valori tradizionali”, spiega Campoli.

Ma il presidente della Federazione delle Chiese riformate svizzere, Thomas Wipf, ha riaffermato che “non esiste una chiesa apolitica”. E Campoli conferma: “L’impegno cristiano è anche un impegno concreto e questo caso lo dimostra”. Con l’aiuto umanitario le chiese hanno voluto dare un contributo attivo alla cultura della pace in Palestina, oltre i confini delle religioni. La distruzione militare di un impegno che dura da anni ha portato dunque ad una risoluzione forte.

Daniele Papacella

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