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Salari in primo piano

La crescita basta per aumentare i salari dei lavoratori? swissinfo.ch

UNIA, il nuovo grande sindacato dell'industria e dei servizi, scende in piazza sabato per chiedere salari più alti e misure efficaci contro il dumping salariale.

Alcune opinioni sull’evoluzione delle buste paga in Svizzera e sugli effetti della libera circolazione delle persone.

“Su con i salari! Niente dumping salariale!” Con questi slogan, a due settimane dalla sua nascita, il gigante sindacale UNIA chiama a raccolta i suoi iscritti a Berna, per una manifestazione nazionale in favore di un aumento dei salari del 2-3% nell’industria e nel terziario.

Una rivendicazione non dissimile da quella avanzata in estate dall’Unione sindacale svizzera (USS), alla vigilia dell’avvio delle trattative salariali nei vari settori dell’economia.

“Rispetto al 2003, la congiuntura e i proventi delle aziende appaiono oggi molto più favorevoli. Anche i salariati ne devono poter approfittare “, faceva notare ad agosto, in un’intervista al quotidiano Berner Zeitung, l’economista dell’USS Serge Gaillard.

Salari più alti per rilanciare i consumi

Nell’ottica dei sindacati, una busta paga più spessa si rifletterebbe in maniera positiva su tutto l’andamento dell’economia. “Di regola i consumi si sviluppano parallelamente al reddito”, osservava ancora Gaillard.

Nel frattempo, molti analisti della congiuntura hanno rivisto al ribasso le previsioni per la crescita economica nel 2005. Fra le cause principali di questa cautela vi è l’aumento del prezzo del petrolio.

UNIA rimane però ferma nelle sue richieste. “Negli ultimi anni il potere d’acquisto dei salariati è diminuito, a causa dell’aumento di vari costi, primo fra tutti quello dell’assicurazione malattia”, osserva Renzo Ambrosetti, co-presidente del nuovo sindacato.

“Ora si tratta di ridistribuire la ricchezza. Se le aziende registrano degli utili, è giusto che ne approfittino anche i lavoratori, che hanno contribuito alla crescita”.

La cautela del padronato e degli economisti

Di fronte a queste rivendicazioni, il padronato invita alla cautela. “Le trattative salariali dipendono in primo luogo dalla situazione economica delle singole aziende”, affermava alcuni giorni fa sulla Neue Luzerner Zeitung il direttore dell’Unione padronale svizzera Peter Hasler. Che aggiungeva: “Dobbiamo crescere, prima di poter distribuire qualcosa”.

Una cautela condivisa Josef Zweimüller, professore all’Istituto per la ricerca economica empirica (IERE) dell’Università di Zurigo: “Nell’attuale situazione congiunturale è necessaria una certa moderazione salariale, soprattutto nei settori che sono in concorrenza con l’estero. E in ogni caso lo sviluppo dei salari deve orientarsi allo sviluppo della produzione”.

“Se si guarda alla situazione economica, si constata che la crescita è limitata e che ogni tentativo di aumentare i salari acuisce il rischio di un trasferimento all’estero della produzione”, gli fa eco Rico Maggi, direttore dell’Istituto ricerche economiche (IRE) dell’Università della Svizzera italiana.

Quanto agli effetti sui consumi di un aumento salariale, Maggi ricorda che generalmente le aziende tendono a trasferire sui prezzi i costi aggiuntivi degli aumenti salariali, vanificandone l’effetto benefico sui consumi.

Zweimüller concede dal canto suo che la pressione sui costi salariali a lungo andare è negativa per la congiuntura. “Le imprese si dovrebbero impegnare a sviluppare prodotti innovativi e non cercare solo di diminuire i costi. Se c’è innovazione tutti ne approfittano. L’impresa può vendere di più e i lavoratori possono avere salari più alti”.

I timori per la libera circolazione delle persone

Oltre che per gli aumenti salariali, i membri di UNIA manifestano sabato anche contro il dumping salariale. Gli occhi sono puntati sulle conseguenze dell’apertura del mercato del lavoro svizzero alla manodopera dei 15 paesi dell’Unione europea prima dell’allargamento.

Da settimane i sindacati sono in allarme. A loro avviso, la nuova situazione sta già causando una pressione intollerabile sui salari, soprattutto nelle regioni di frontiera.

Fin dal suo congresso di fondazione, UNIA ha minacciato di lanciare un referendum contro la libera circolazione delle persone, se le misure di accompagnamento decise dal parlamento non saranno applicate con efficacia.

“Siamo molto preoccupati di quanto sta avvenendo. La situazione ci sta sfuggendo di mano, ci sono fenomeni che non avevamo previsto”, afferma Renzo Ambrosetti. “Bisogna trovare i correttivi che permettano di rispondere alle paure giustificate della popolazione”.

La preoccupazione è condivisa dall’USS. A fine settembre Serge Gaillard, in un’intervista a swissinfo, puntava il dito in particolare contro il ritardo con cui alcuni cantoni avevano avviato i controlli previsti dalla legge.

Siegfried Alberton, esperto di mercato del lavoro all’IRE di Lugano, invita però alla calma. “Mi pare che ci sia la tendenza ad enfatizzare la situazione. In Ticino i controlli sono iniziati per tempo. E finora la commissione tripartita (prevista dalla misure di accompagnamento ai bilaterali, NdR) non ha rilevato casi così gravi da suscitare un tale allarmismo”.

Secondo Alberton, gli strumenti di controllo a disposizione sono sufficienti. “Certo, ora ci troviamo in una situazione di libera circolazione delle persone. I controlli non sono più preventivi. Ma si può intervenire in caso di abusi gravi e ripetuti”.

A suo avviso, quel che serve ora è accumulare la necessaria esperienza, analizzare i dati a disposizione, osservare l’evolversi della situazione sul mercato del lavoro. Un rapporto sugli effetti della libera circolazione delle persone sarà presentato a fine anno. “Di fronte ad elementi concreti si potrà poi cominciare a ragionare”, conclude Alberton.

swissinfo, Andrea Tognina

Gli svizzeri hanno i salari più alti d’Europa. Nel 2002 lo stipendio medio annuo era di 47’000 euro. Seguono i norvegesi, i danesi e gli inglesi. All’estremo opposto della scala salariale si trovano Lettonia, Lituania, Estonia e Slovacchia, con medie che vanno dai 3500 ai 4500 euro.

Se si guarda al potere d’acquisto, gli svizzeri perdono però la prima posizione e si ritrovano dietro tedeschi, lussemburghesi, inglesi, olandesi, belgi e danesi.

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