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I rischi di una recrudescenza delle tensioni nel Kurdistan

L'esercito turco pattuglia la frontiera con l'Iraq Keystone

La conferenza internazionale sull'Iraq, che si terrà questa fine settimana a Istanbul, rischia di essere dominata dalla crisi che oppone la Turchia ai curdi del PKK alla frontiera irachena.

Secondo due ricercatori elvetici, il rischio di grave crisi è piuttosto limitato, ma la situazione alla frontiera irachena permane instabile.

Sulla stessa lunghezza d’onda del suo omologo iracheno, il ministro turco degli affari esteri Ali Babacan sostiene che la questione dei ribelli curdi di Turchia non sarà al centro dei dibattiti della conferenza internazionale sull’Iraq che si tiene fino a sabato ad Istanbul.

L’incontro nella città turca riunisce i ministri degli affari esteri di Iraq, dei paesi limitrofi, del G8 e dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Fra loro anche la segretaria di Stato americana Condoleezza Rice.

In seguito alla recrudescenza degli attacchi dei ribelli del PKK dal Kurdistan iracheno, la Turchia minaccia di inviare le sue truppe nella regione. Un’opzione votata dal parlamento turco il 17 ottobre e corredata dall’invio di 100’000 soldati alla frontiera con l’Iraq.

Cordoglio per i soldati turchi uccisi

Secondo Yves Besson, specialista elvetico del Medio Oriente, il primo ministro Recep Tayyip Erdogan e il suo Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP, partito islamista moderato) hanno voluto mostrare la loro forza.

“Sul piano interno, il governo deve mostrare una certa durezza nella difesa degli interessi nazionali della Turchia. Questo perché la fazione kemalista (nazionalista) della classe politica turca e l’esercito contestano la sua legittimità repubblicana”, afferma l’ex diplomatico, sottolineando che il governo di Erdogan aveva accordato una serie di diritti ai curdi di Turchia.

Ricordando le importanti manifestazioni patriottiche che hanno accompagnato lo scorso 23 ottobre i funerali dei soldati turchi uccisi dal PKK, il sociologo Hasan Mutlu sottolinea dal canto suo le profonde mutazioni in corso in una Turchia sempre più urbanizzata, in cerca di punti di riferimento e dove la popolazione non nasconde la propria inquietudine riguardo il futuro della regione. Una situazione che si protrae dalla guerra del Golfo del 1991.

“Queste dinamiche favoriscono da un lato la chiusura identitaria, laica e nazionalista, dall’altro quella islamica”, afferma l’esperto, che vive in Svizzera dal 1986.

L’importanza del petrolio

Yves Besson sottolinea inoltre tensioni fra gli Stati Uniti e il loro alleato turco. Una situazione conflittuale che il possibile riconoscimento da parte del Congresso americano del genocidio armeno non potrà che alimentare.

“La Turchia ha sempre detto che è suo dovere proteggere talune minoranze nel Kurdistan iracheno, ad esempio i turcomani”, sottolinea il ricercatore elvetico. Un argomento che nasconde un’altra preoccupazione: la prospettiva di un Kurdistan iracheno indipendente nel quale sarebbe inclusa anche Kirkouk e la regione circostante, ricca di petrolio.

“Saddam Hussein aveva cacciato i curdi da Kirkouk e inviato degli arabi al fine di ripopolare la città. Dopo la caduta del dittatore, i curdi sono in parte tornati. Ma il governo iracheno ha affermato di non volere grandi cambiamenti nella composizione etnica della città”, ricorda Yves Besson.

“Ankara teme i curdi tornino ad essere maggioritari nella regione. Una situazione che la Turchia sostiene di non volere accettare”, precisa l’ex diplomatico.

Attualmente, Ankara prende ufficialmente di mira soltanto gli esponenti del PKK che vivono in Iraq. Molto indeboliti dalla cattura del loro leader Abdullah Ocalan nel 1999, i ribelli sono alla ricerca di nuove forze, sottolinea Hasan Mutlu.

Per Yves Besson una cosa è certa: “Il caos iracheno suscita ogni sorta di ambizione presso i vicini. Anch’essi infatti hanno i loro interessi da difendere. Per il momento, i turchi dovrebbero accontentarsi di singole operazioni nel Kurdistan iracheno. Ma se la situazione dovesse degenerare, potrebbero spingersi oltre e giustificare azioni su larga scala affermando di non avere potuto fare altrimenti”.

swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
traduzione e adattamento, Anna Passera

1920: il Trattato di Sèvres – fra l’impero ottomano già drasticamente ridimensionato e le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale – prevedeva la creazione dello Stato curdo. Ma i nuovi governanti turchi lo respinsero. Il trattato di Losanna modificò alcune clausole di quello di Sèvres e l’idea di un Kurdistan autonomo venne accantonata.

1978: creazione del partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), d’ispirazione marxista, che dal 1984 si lancia in una lotta armata contro Ankara per ottenere l’indipendenza del Kurdistan.

2004 : in seguito all’arresto del suo leader Abdullah Ocalan, il PKK rompe il cessate il fuoco unilaterale decretato nel 1999.

17 ottobre 2007 : il parlamento di Ankara vota in favore di un intervento militare turco nel Kurdistan iracheno.

Oltre 100’000 soldati turchi vengono inviati alla frontiera irachena, nell’attesa di un’eventuale operazione transfrontaliera contro i 3000-4000 combattenti del PKK trincerati in Iraq (secondo fonti militari turche) nella regione autonoma curda istituita nel 1991.

Il 21 ottobre, 12 soldati turchi vengono uccisi e altri 8 rapiti da combattenti del PKK nei pressi della frontiera irachena. Il 5 novembre, il primo ministro turco Recep Erdogan incontrerà il presidente americano George Bush alla Casa Bianca. Dal 1980, il numero di vittime del conflitto fra il PKK e il potere turco è stimato a 37’000.

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