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Il “potlatch” del Natale

La luce, per fare breccia nella notte fredda dell'inverno swissinfo.ch

Natale nasce dalle ceneri delle feste romane "Saturnalia" e "Sol invictus". L'etnologo Jacques Hainard trova tracce pure presso gli indiani d'America.

Riflessioni attorno ad una festa dalle molteplici origini e dimensioni: religiose, familiari, culturali e sociali.

Ecco il Natale, con i suoi alberi addobbati, luci scintillanti e regali…Il Natale, una festa che associa il mondo ebraico (la nascita di Gesù), la cultura nordica (l’abete e Babbo Natale), la società romana (la data del 25 dicembre e la luce).

Una festa cristiana, certamente, che viene però celebrata anche dai non cristiani e dai non credenti.

Per comprendere meglio la dimensione di questa festa, swissinfo si è a rivolto Jacques Hainard, direttore del Museo di etnografia di Neuchâtel e futuro responsabile di quello che si aprirà il prossimo mese di febbraio a Ginevra.

swissinfo: La festa cristiana del Natale è stata artificialmente innestata sulla data di feste molto più antiche, quali i “Saturnalia” e il “Sol invictus” del culto di Mythra. Come mai l’avvicinarsi del solstizio invernale ha avuto sempre un tale impatto sulle società?

Jacques Hainard: Si è sempre un po’ irrequieti quando si osserva la natura morta, la neve e quando si sente freddo. Abbiamo bisogno di scaldarci, di proiettare una sorta di speranza sul Nuovo Anno, che ci auguriamo sempre generoso e fecondo.

Penso che la ragione per cui si è scelta questa data per festeggiare il Natale è legata proprio al bisogno di mettere un po’ di luce e di chiarezza nella notte oscura che conclude l’anno.

swissinfo: Da sempre il regalo è una costante: quale la sua funzione familiare e/o sociale?

J.H.: Agli albori della ricorrenza si usava appendere ai rami dell’albero piccoli regali. Al momento della festa si scuoteva l’albero così regali e dolcetti cadevano a terra. Poi con l’andare del tempo i regali, diventati più importanti e più pesanti, si collocavano ai piedi dall’albero.

In etnologia quando si vuole dare l’idea di una festa sovradimensionata, si usa il termine “potlatch”, che deriva da una cerimonia in uso nella cultura amerindiana.

Presso gli Indiani Kwakiutl una persona diventata molto ricca doveva dare, in occasione di questa cerimonia, una parte dei propri beni ai suoi ospiti. Ne usciva rovinata.

Ma i fortunati beneficiari dei doni dovevano restituire la cortesia e, se possibile, aumentando il bottino. Gli etnologici, stupiti, si chiesero come mai ci fosse così poco attaccamento ai propri beni, tanto da sperperarli. Si è poi compreso che il “potlatch” era un sistema per riequilibrare il potere.

Il Natale, in fondo, è costruito su questo sistema: ricevere è una forma di costrizione. Quando si riceve un regalo di una certa importanza ci si trova spesso in difficoltà, perché bisogna attribuirgli un valore e cercare di contraccambiare con un dono, se possibile, ancora più importante.

Oggi i regali che fanno più piacere sono probabilmente quelli con un valore commerciale minimo, ma ricchi nella loro originalità e specificità.

Per quanto riguarda i regali Claude Levy-Strauss aveva però un’altra teoria. Secondo lui si offrono regali in modo particolare ai bambini.

Con questo gesto si desidera inconsciamente acquisire dei privilegi nei rapporti con l’aldilà e con la morte. Si cerca, insomma, di assicurarsi una sorta di capitale sull’avvenire.

swissinfo: I “Saturnalia” celebravano la rinascita della terra, il “Sol invictus” la rinascita della luce. La festa della nascita di Gesù è stata dunque ben inserita in un clima di rinnovamento. Ma ai nostri tempi la rinascita e il cambiamento sono piuttosto legati a San Silvestro…

J.H.: Natale è una festa familiare, intima, mentre il Nuovo anno è davvero diventata una festa molto pubblica, dove tutti si invitano e dove tutto si mescola.

C’è in effetti uno slittamento. Un po’ come la confusione tra San Nicolao e Babbo Natale. Natale, nel sua funzione di rinnovamento, è confuso con Capodanno.

swissinfo: Candele, tronco natalizio, alberi: i segni del Natale hanno molteplici origini e veicolano dei simboli il cui senso è quasi dimenticato da tutti. Potrebbe succedere anche per la Natività?

J.H.: No, mi pare davvero difficile. Nel 1956, a Dijon, una parte della popolazione aveva bruciato un Babbo Natale davanti alla Cattedrale. Era l’epoca in cui il canonico Kyre era sindaco di Dijon (!). Qualche giorno dopo… ha dovuto solennemente riabilitare Babbo Natale.

Malgrado la commercializzazione della festa , credo che il Natale sia, per gli uni e per gli altri, un momento di raccoglimento e di riflessione religiosa.

swissinfo: E per lei, che cosa rappresenta Natale?

J.H.: Un bel momento. Spesso mi chiedono se sono credente, e rispondo di sì. Credo un po’ in tutte le religioni. Posso essere buddista, animista, tutto quanto volete. Ritengo che tutti i sistemi religiosi siano, filosoficamente, molto intelligenti. E corrispondono bene alle aspirazioni della società.

Quando si studiano queste religioni ci si rende conto che è possibile entrarvi, a patto di essere nelle condizioni della società che le ha create.

Natale per me è un bel momento. Si mangia bene, si beve bene. Si gustano istanti di piacere. E poi mi piacciono gli alberi di Natale, perché ho sicuramente conservato un lato bambino. Amo accendere le candele degli alberi. La festa è anche questo!

Intervista swissinfo, Bernard Léchot
(traduzione e adattamento dal francese Françoise Gehring)

Natale, che segna la nascita di Gesù, è la più grande festa cristiana
Questo giorno cadeva il 6 gennaio, giorno dell’Epifania
Verso l’anno 330 l’imperatore Costantino fissò tale data al 25 dicembre
Ma solo verso il 353 Roma istituì la festa per la nascita del Cristo
Lo spostamento della data fu legata a motivi politico-religiosi
Scegliendo di festeggiare Natale il 25 dicembre i cristiani vollero attribuire la fonte del rinnovamento a Gesù Cristo, e non al Sole o a Saturno

Jacques Hainard è nato nel 1943 ed è conservatore del Museo etnografico di Neuchâtel (MEN) Insegna anche all’Istituto di etnologia dell’Università di Neuchâtel.

L’anno prossimo assumerà anche la direzione del nuovo museo etnografico di Ginevra per tre anni. E lascerà, un anno prima della pensione, la direzione del MEN, dove ha trascorso 25 anni.

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