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Il Cervino in Africa

Mario Valli, a sinistra, presidente dello Swiss Club di Johannesburg e il suo omologo di Pretoria Georg Bosch swissinfo.ch

Per oltre 350 anni il Sudafrica è stato una delle terre d'emigrazione predilette degli svizzeri. Inizialmente erano impiegati delle compagnie commerciali olandesi, mercenari, coloni o missionari. Oggi la comunità elvetica è composta da 9'000 persone.

L’apice dell’emigrazione svizzera verso il paese dell’Africa australe risale al periodo prima degli anni Settanta. All’epoca, lo Swiss Country Club di Johannesburg contava, per esempio, ben 900 membri. Oggi sono rimasti in 150.

Bisogna però anche precisare che negli ultimi 40 anni il numero di club ed associazioni svizzere è aumentato: in tutto il paese oggi sono infatti nove.

“Dobbiamo batterci per attirare gente nel nostro club”, osserva Mario Valli. Il responsabile dello Swiss Club di Johannesburg getta uno sguardo pragmatico sulla situazione attuale: la maggior parte delle persone vuole vivere la propria vita e si diverte e si distrae in altri modi, spiega.

Il suo club è situato nella città di Midrand, a metà strada tra Johannesburg e Pretoria.

Roger Federer, ospite di prestigio

La proprietà, che comprende un ristorante, un bar, diverse salette e una sala per le conferenze, è stata acquistata nel 1973. Il club esiste però dalla fine del XIX secolo, quando l’industrializzazione nella provincia di Gauteng attirò una nuova ondata di emigranti svizzeri, principalmente uomini d’affari, ma anche scienziati, esploratori e maestri.

Mario Valli, agente immobiliare emigrato in Sudafrica nel 1967, ha svolto un importante ruolo negli ultimi trent’anni, organizzando in particolare numerose attività sportive.

Negli anni ’70, i campi di calcio, tennis e pallamano erano pieni, specialmente durante i fine settimana, ricorda il responsabile del club. Tra i visitatori vi sono stati anche personaggi noti, ad esempio Roger Federer, che venne col padre quando ancora era giovanissimo.

Valli chiede al segretario del club di cercare una prova scritta della presenza del campionissimo, senza successo. Oggi i campi da tennis non esistono più. Molti terreni attorno al club sono stati venduti e trasformati in area residenziale.

Le altre attività tradizionali dello Swiss Club sono le gare di lotta, lo yodel e il coro. In una sala, una pista da bowling testimonia l’età d’oro dell’associazione.

Malgrado il declino delle attività del club, Mario Valli non vuole assolutamente tirare i remi in barca e spera non solo di trovare nuovi membri, ma anche di attirare più clienti nel ristorante, che offre una cucina europea e dal quale si può vedere il circuito automobilistico di Kayalami.

Hans-Georg Bosch, presidente dello Swiss Club di Pretoria, ha le stesse preoccupazioni. In occasione della Coppa del Mondo, i due uomini hanno unito le forze, per permettere agli ospiti di seguire le partite su uno schermo gigante.

Alla ricerca delle radici

Altri due espatriati svizzeri hanno dal canto loro investito molto tempo e tante energie per ritracciare la storia dell’emigrazione svizzera nella regione.

La passione di Kurt Scheurer, un settantenne molto vivace di spirito, è sbocciata quando ha iniziato a fare ricerche sullo Swiss Club di Johannesburg e sui suoi membri assieme a Felix Ernst. Il progetto è poi stato esteso ad altre associazioni svizzere.

“Accedere agli archivi è stato semplice, ma il lavoro di ricerca ha richiesto molto tempo”, spiega. Scheurer ha anche intervistato molti discendenti di svizzeri emigrati e la voce di questo suo interesse si è sparsa rapidamente.

I risultati delle ricerche sono stati pubblicati in un libro di 80 pagine: Storia degli svizzeri in Sudafrica 1652-1977. Da allora ha scritto diversi articoli sul tema dell’emigrazione.

Kurt Scheurer minimizza quanto fatto e sottolinea il lavoro portato avanti dal suo amico Adolphe Linder, un architetto in pensione che basandosi su quanto fatto dal suo compatriota ha esteso le ricerche a Città del Capo.

Come le pulci

“È stata un’opportunità magnifica per collaborare a un progetto utile e di ampio respiro”, spiega Linder.

Dai suoi studi è pure nato un libro, pubblicato nel 1997 e intitolato Gli svizzeri e il Capo di Buona Speranza. L’interesse per l’emigrazione svizzera è tuttora intatto e entro la fine dell’anno Linder pubblicherà un altro volume sulla storia dei cittadini elvetici durante le guerre boere.

Materia per studiare l’emigrazione svizzera ve ne è a sufficienza, precisa Scheurer: “Basta dare un’occhiata nell’elenco telefonico di Johannesburg. È sorprendente vedere quante persone hanno cognomi di origine svizzera”.

Adolphe Linder, dal canto suo, è incappato in due cittadini elvetici in un regione remota nel nord-ovest del Sudafrica, il Namaqualand.

“Quando ho manifestato il mio stupore uno di loro mi ha risposto in dialetto svizzero tedesco: D Schwyzer sind wi rooti Lüüs, me findet si überall [Gli svizzeri sono come i pidocchi rossi, li si ritrova dappertutto]”.

Urs Geiser, swissinfo.ch, Johannesburg
(traduzione di Daniele Mariani)

La storia dell’emigrazione svizzera in Sudafrica è stata studiata in particolare da Adolphe Linder, Kurt Scheurer e Felix Ernst.

I tre ricercatori hanno identificato tre ondate migratorie negli ultimi 350 anni.

Dapprima in Sudafrica sono giunti mercenari e impiegati della Compagnia olandese delle Indie orientali. In seguito sono arrivati missionari, scienziati ed artigiani.

Nel XX secolo gli emigranti erano soprattutto commercianti ed industriali. Le più grandi aziende svizzere, in particolare nei settori del tessile, dell’industria mineraria e dell’ingegneria, della farmaceutica e della chimica, hanno iniziato ad aprire filiali dopo la fine della Prima guerra mondiale.

Il primo colono svizzero stabilitosi a Città del Capo è stato il ginevrino Isaac Manget nel 1658, stando ai registri ufficiali.

Anna Maria Holzhalt è invece stata la prima donna ad intraprendere il viaggio. Nel 1684 sposò Hans Jaco Huben.

Uno degli svizzeri più famosi è Arnold Theiler, considerato tra i padri della veterinaria in Sudafrica. In particolare ha sviluppato un vaccino contro la peste bovina e ha fondato l’istituto di veterinaria di Onderstepoort, vicino a Pretoria, nei primi anni ’20.

Bertha Hardegger è conosciuta con il soprannome di Madre della nazione Basotho, per il suo impegno come medico.

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