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In cammino verso la società del sapere

Un esperimento di simulazione della forza delle onde al Politecnico di Zurigo Keystone

La Svizzera deve aumentare la parte del bilancio dedicata alla ricerca e alla formazione se vuole mantenere il contatto con i migliori paesi in questo settore strategico. Dopo anni di vacche magre, per i ricercatori sembrano finalmente profilarsi tempi migliori. In vista del dibattito in parlamento, il Partito radicale democratico esce per primo allo scoperto con un pacchetto di proposte.

“La formazione: la nostra vitamina per l’impiego. La via verso la società del sapere.” Questo il titolo di un testo programmatico dei radicali presentato martedì a Berna. Il PRD occupa così per primo il terreno politico in vista dell’elaborazione di un messaggio del governo per i prossimi anni e della procedura di consultazione per un articolo costituzionale sull’insegnamento superiore.

Il tema della ricerca e della formazione è stato affrontato qualche giorno fa anche dall’economia privata, con il Credito svizzero che ha presentato le sue tesi per rinvigorire e rendere più equo il sistema di formazione svizzero. In sostanza, il gruppo bancario propone una visione vicina alle necessità del mercato. In particolare punta su buoni educativi e sgravi fiscali per la formazione continua, che dovrebbero favorire la concorrenza e lo spirito innovativo fra gli istituti che offrono formazione. Per il Credito svizzero, chi vuole seguire una formazione deve potere scegliere fra enti privati o pubblici.

Per quanto riguarda il PRD, il presidente del partito e consigliere nazionale Gerold Bührer ha fatto notare come negli ultimi dieci anni le spese globali della Confederazione siano cresciute in media del 55%, mentre quelle dedicate alla formazione e alla ricerca siano aumentate soltanto del 38%.

La Svizzera manca di fondi per mantenersi nel plotone di testa dei paesi più avanzati, ma soffre anche di un deficit strutturale. Secondo il consigliere nazionale Peter Kofmel, il sistema svizzero è ad esempio troppo poco autonomo. In altre parole, è troppo condizionato da fattori politici e di gestione. Per Kofmel, il rispetto del federalismo incoraggia la cooperazione inter-istituti, ma non migliora la qualità del lavoro scientifico.

I radicali in passato si sono profilati in favore di tagli lineari della spesa pubblica anche nel settore della ricerca. Oggi ritengono però che la situazione sia risanata e che lo Stato debba tornare ad essere più presente.

I poteri pubblici devono occuparsi prioritariamente della ricerca fondamentale a lungo termine, articolata sull’arco di due decenni, mentre il settore privato dovrebbe concentrarsi sul medio e breve termine, in modo da potere realizzare interessanti applicazioni commerciali.

La senatrice Christiane Langenberger ha dal canto suo fatto notare come la Svizzera formi oggi un numero molto basso di dottorandi rispetto, ad esempio, alle grandi università americane come Stanford, Yale o Harvard. “Abbiamo perso terreno tra il ’90 e il ’97 a causa dell’insufficienza dei fondi iniettati nella ricerca”, ha detto la ginevrina. “La Svizzera ha aumentato dell’1,2% gli investimenti nella ricerca, mentre gli Stati Uniti hanno registrato un aumento del 56%, la Gran Bretagna del 42% e la Francia del 34%.

Secondo il consigliere nazionale Johannes Randegger, la Svizzera “deve formulare una visione e una strategia per il futuro, da realizzare con obiettivi e misure adeguati.” Per Randegger, bisogna, ad esempio, adattare a questo orientamento strategico il ruolo degli organi finanziati dallo Stato, in particolare il Consiglio svizzero per la scienza e la tecnologia, le Accademia, il Fondo nazionale per la ricerca scientifica e la Commissione per la tecnologia e l’innovazione.

Negli ultimi tempi gli ambienti scientifici sembrano essersi svegliati dal letargo in cui sono rimasti negli ultimi dieci anni. Il recente Festival scienza e città, che ha visto uscire i ricercatori dalle loro torri d’avorio, è stato un notevole successo popolare. Anche la definizione di una dozzina di nuovi poli nazionali di ricerca, con la composizione di squadre di ricercatori sotto la supervisione di un’alta scuola, ha contribuito a scuotere il mondo scientifico. In vista del dibattito in parlamento, il mondo politico svizzero si sta rendendo conto che il sapere è un fattore produttivo.

Mariano Masserini

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