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La guerra (non) è un gioco da ragazzi

Armi vere nelle mani di bambini che imparano ad uccidere per sopravvivere Keystone

Amnesty International lancia una campagna contro la proliferazione delle armi leggere. Sono all'origine del fenomeno dei bambini soldato, una piaga da arginare.

Se il kalashnikov diventa il compagno migliore di un ragazzino, le speranze di pace e sviluppo vanno in fumo. Soprattutto in Africa.

«Oggi i fucili sono così leggeri e semplici da usare che un bambino di dieci anni li può smontare e rimontare come farebbe con un giocattolo», constata Lukas Labhardt, coordinatore della campagna «Control Arms – armi sotto controllo» di Amnesty International.

Accanto a lui, per il lancio della campagna svizzera avvenuto a Berna il 10 novembre, due ragazzi dallo sguardo inquieto e dal passato pesante come un macigno. China Keitetsi e Emanuel Jal Jak, entrambi ex bambini soldato raccontano la loro esperienza. È l’unico modo che hanno per combattere un fenomeno che riguarda più di 300’000 minorenni.

In Svizzera hanno fatto il giro delle scuole e i primi frutti del loro lavoro di sensibilizzazione si sono potuti osservare non lontano da Palazzo federale, dove 150 giovani si sono riuniti per protestare contro l’impiego di bambini soldato e per chiedere un maggior controllo del commercio d’armi leggere.

China, la bambina col kalashnikov

China Keitetsi, nata nel 1976, è stata reclutata a nove anni dalla «National Resistance Army» dell’attuale presidente ugandese Yoveri Museveni. Sul suo corpo, «che non era mio», e sulla sua psiche sono state perpetrate violenze indicibili. Nel 1995 fugge in Sudafrica, quattro anni dopo arriva in Danimarca come rifugiata.

«Io ho avuto un’occasione incredibile», afferma China, «Ma che ne è di tutti quei ragazzi che mi sono lasciata alle spalle? Di tutti quelli che sono morti o che moriranno?» Domande che non cessano di tormentarla, che la costringono ad un continuo andirivieni tra il passato e la vita che sta tentando di ricostruire, partendo dal rapporto con il figlio avuto a 14 anni da uno dei suoi comandanti e dalla ricerca della figlia che ha abbandonato nel 1996 in Sudafrica.

Per esorcizzare questo passato, China ha scritto un libro dal titolo «La bambina col kalashnikov». Un libro scomodo, che non è piaciuto alle autorità ugandesi. Un libro in cui China narra di come s’insegna ad un bambino a considerare il fucile una specie di madre protettiva. La realtà dei bambini combattenti è fatta di una totale privazione della dimensione affettiva. «Tra di noi», ricorda China, «non parlavamo mai di sentimenti».

Emanuel, vivo per miracolo

La storia di Emanuel Jal Jak, 24 anni, non è molto diversa. A sette anni viene arruolato dall’esercito di liberazione del Sudan meridionale. Quando lascia la sua famiglia è convinto di recarsi in una scuola. Ma ben presto la scuola si rivela essere un campo d’addestramento. «Eravamo piccoli», racconta Emanuel, «le uniformi ci andavano larghe».

Poi la battaglia contro i cingolati del governo, decine e decine di ragazzini travolti dai carri armati «davanti ai miei occhi». Emanuel decide di disertare e fa l’esperienza della fame. Tre mesi di marcia senza cibo, senza acqua, qualcuno comincia a nutrirsi dei compagni morti. «Ho mangiato serpenti e radici di alberi e un giorno sono stato tentato anch’io di mangiare carne umana, ma devo ringraziare Dio, perché in quel momento mi ha mandato un uccello».

Oggi Emanuel studia in Kenia. «Se guardo indietro», dice, «mi rendo conto che da qualche parte nella mia mente sapevo che c’era qualcosa di sbagliato in quello che stavo facendo. Ma quando è in gioco la tua vita, quando rischi ogni giorno le punizioni militari, allora fai ogni cosa pur di vedere arrivare il prossimo giorno».

Stop al reclutamento di minori

China e Emanuel sono fuggiti, ma molti dei loro compagni, dice Lukas Labhardt, «non hanno mai conosciuto un’altra vita. Una volta maggiorenni restano nell’esercito».

La campagna di Amnesty international chiede ai governi di fermare i reclutamenti volontari o forzati di soldati minorenni e d’impegnarsi in favore di progetti che possano permettere agli ex bambini soldato di essere reintegrati fisicamente e psichicamente nella società.

Un’operazione non facile, come testimonia China, che pure ha avuto l’appoggio di una famiglia adottiva e di uno psicologo.

Svizzera, un sostegno in chiaroscuro

Quando si tratta di diritti umani, in particolare di diritti dell’infanzia, la Svizzera dà prova di un notevole impegno. Anche nel caso dei bambini soldato Berna si è impegnata affinché il reclutamento di minori di 15 anni (l’età prevista dalle Convenzioni di Ginevra) fosse considerato un «crimine di guerra» dagli statuti della Corte penale internazionale.

Ma se la politica estera elvetica è in favore dei diritti umani, la legge sul commercio delle armi non è abbastanza restrittiva e la sua applicazione manca di trasparenza. «Il commercio d’armi con paesi in guerra o che non rispettano i diritti umani è limitato dalla legge e mi pare che i controlli siano rigorosi», commenta Lukas Labhardt. «Ci piacerebbe comunque più trasparenza. Vorremmo sapere quali armi vengono vendute a chi e per che cifra».

Su questo e su altri punti, Amnesty spera di poter avere un dialogo costruttivo con la Confederazione. «Abbiamo assolutamente bisogno del sostegno governativo», spiega Labhardt «per far sì che il nostro progetto di trattato internazionale per la regolamentazione del commercio d’armi tra stati diventi realtà. Al momento ci sostengono una dozzina di piccoli paesi, tra i quali figurerebbe bene anche la Svizzera».

swissinfo, Doris Lucini

Più di 300’000 minori di 18 anni sono coinvolti nei conflitti armati nel mondo. La situazione è particolarmente grave in Africa e in Asia.
Le Convenzioni di Ginevra fissano a 15 anni l’età minima per il reclutamento, ma questo limite non è rispettato in molti paesi.
Il reclutamento è favorito dall’impiego di armi leggere.

La maggior parte dei bambini soldato proviene dalle fasce più povere della popolazione.

I bambini vengono rapiti dagli eserciti o si arruolano nella speranza di nutrire la loro famiglia.

I bambini soldato subiscono gravi abusi fisici, emotivi e sessuali.

Amnesty International, insieme ad altre 500 organizzazioni, chiede di fermare l’arruolamento forzato e volontario dei minorenni.

AI esige inoltre l’elaborazione di un trattato internazionale per regolamentare il commercio d’armi tra stati. Il testo dovrebbe essere adottato nel 2006, in occasione della Conferenza Onu sulle armi leggere.

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