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A est tanto di nuovo

persone per strada
Una strada di Mosca il 21 giugno 1991, dopo il fallito golpe di alcuni membri del Governo sovietico per deporre Mikhail Gorbaciov e prendere il controllo del Paese. 1991 Ap

Mentre si dibatteva con i problemi dell'integrazione europea, all'inizio degli anni 1990 la Svizzera si trovò confrontata con nuovi scenari geopolitici nell'area dell'ex Unione sovietica. Dando prova di sorprendente dinamismo.

Nel febbraio del 1992, come ogni anno, i leader mondiali si ritrovarono al Forum economico mondiale di Davos. Il mondo però non era più quello dell’anno precedente. Dopo la dichiarazione d’indipendenza degli Stati baltici e il fallito colpo di Stato dell’agosto 1991, l’Unione sovietica aveva imboccato inesorabilmente la via della dissoluzione.

Con la dichiarazione di Alma Ata del 21 dicembre 1991, siglata dai rappresentanti delle ormai ex repubbliche sovietiche, la grande potenza aveva ufficialmente cessato di esistere. Nell’Europa dell’est e in Asia centrale le carte della geopolitica erano state rimescolate. E la Svizzera, consapevole che con la fine del mondo bipolare anche il suo ruolo di Stato neutrale era messo in gioco, non rimase a guardare.

Gli incontri di Felber

Approfittando del suo soggiorno a Davos, il presidente di turno della Confederazione svizzera e ministro degli esteri René Felber incontròCollegamento esterno i presidenti delle ex repubbliche sovietiche di Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Kazakistan, Moldavia, Uzbekistan e Ucraina e il vicepremier della Federazione russa.

Si trattò più che altro di uno scambio di cortesie, ma con il presidente ucraino Leonid Kravčuk, Felber ebbe un colloquioCollegamento esterno relativamente lungo. Oltre ad assicurare la volontà del suo Paese di onorare una parte del debito estero dell’ex Unione sovietica e di proseguire sulla via delle riforme politiche ed economiche, Kravčuk espresse anche la sua irritazione per alcune dichiarazioni del presidente russo Boris Eltsin.

René Felber
René Felber, scomparso nel 2020, guidava il Dipartimento federale degli affari esteri durante il crollo dell’Unione Sovietica. Keystone / Str

Già pochi mesi dopo il distacco di Kiev da Mosca, la questione delle minoranze russe in Ucraina faceva discutere: “Per quel che riguarda le minoranze – si legge nei documenti -, Kravčuk si è mostrato molto inquieto per le dichiarazioni di Eltsin negli USA sul diritto di ingerenza, Del resto ritiene che i 12 milioni di russi in Ucraina si trovino in generale in una situazione migliore degli stessi ucraini.”  

Un riconoscimento precoce

Al di là dei contenuti, gli incontri grigionesi confermavano la particolare attenzione della diplomazia elvetica nei confronti dei paesi dell’ex Unione sovietica. Poco più di un mese prima, il 23 dicembre 1991, il Consiglio federale aveva riconosciutoCollegamento esterno le nuove repubbliche ex sovietiche (compresa la Georgia, a cui la decisione fu tuttavia notificata solo in un secondo momento, a causa della situazione interna instabile).

La decisione, sollecitataCollegamento esterno dall’ambasciata svizzera a Mosca, era stata presa appena due giorni dopo la dichiarazione di Alma Ata, e anticipò di giorni o settimane i passi analoghi dei Paesi europei e degli Stati Uniti.

“Il decisionismo del Consiglio federale in questo frangente, tra l’altro segnato dalle difficoltà della politica d’integrazione europea, è degno di nota”, osserva lo storico Thomas Bürgisser, collaboratore scientifico del gruppo di ricerca sulla politica estera svizzera DodisCollegamento esterno. “Il Governo agì contravvenendo alla regola d’oro della diplomazia svizzera, che solitamente si preoccupava di non essere né tra i primi, né tra gli ultimi Paesi a riconoscere un nuovo Stato.”

Aria di cambiamento nella diplomazia elvetica

Il rapido riconoscimento delle ex repubbliche sovietiche rientrava nel quadro più ampio delle ripercussioni che i rivolgimenti epocali nell’area euro-asiatica ebbero sulla politica estera svizzera e in particolare sulla sua concezione della neutralità.

Altri sviluppi

Già nel 1990, in un documento di riflessioneCollegamento esterno destinato al consigliere federale Felber, Thomas Borer, un giovane diplomatico svizzero destinato a far carriera, constatava l’erosione della “funzione di equilibrio e stabilizzazione” della neutralità armata svizzera: “I mutamenti nell’Europa centrale e orientale comportano anche un cambiamento del ruolo dello Stato neutrale.”

La nuova realtà internazionale richiedeva agli occhi della diplomazia svizzera una ridefinizione della politica di neutralità: “La neutralità non può essere un pretesto per ritirarsi ai margini e assumere la posizione del riccio.”

“Una nuova generazione di diplomatici analizzò precocemente, con molta intelligenza e senza paraocchi, le conseguenze della caduta del muro di Berlino per la politica estera e la politica di neutralità della Svizzera e tradusse queste analisi in azioni concrete”, osserva lo storico Sacha Zala, direttore di Dodis.

Con il riconoscimento dei nuovi paesi sorti dalle ceneri dell’URSS e con il successivo ampliamento della rete diplomatica e consolare in quelle regioni, Berna non solo si assicurò buone relazioni con le due maggiori economie dell’area, Russia e Ucraina, ma intrecciò anche nuovi rapporti con l’Asia centrale.

Le ambizioni svizzere per Bretton Woods

Nel corso del 1992 la Svizzera colse un’altra occasione per ridefinire i suoi margini di manovra nell’ambito della politica estera e per dimostrare di saper agire con determinazione quando erano in gioco interessi ritenuti decisivi. In questo frangente, il credito acquisito agli occhi dei Paesi dell’Asia centrale fu di grande aiuto per Berna.

Il 17 maggio di quell’anno il popolo svizzero aveva approvato l’adesione alle istituzioni di Bretton WoodsCollegamento esterno, vale a dire al Fondo monetario internazionale (FMI) e alla Banca mondiale.

Già durante il dibattito parlamentare sull’adesione e la campagna di voto, il Consiglio federale aveva indicato esplicitamente come obiettivo la costituzione di un gruppo di voto a guida elvetica, con un proprio seggio nel consiglio di amministrazione dell’FMI e della Banca mondiale. Un passo indietro sarebbe stato uno smacco per il Governo elvetico.

Il progetto si scontrava tuttavia con un ostacolo di rilievo: gli Stati Uniti non vedevano di buon occhio la creazione di un 24° seggio, dopo che con la concessione di un seggio alla Russia avevano già dovuto accettare un ridimensionamento della loro forza di voto.

Helvetistan vs. USA

Pur avendo promesso alla Svizzera una rappresentanza corrispondente al suo peso finanziario, Washington avrebbe preferito che Berna prendesse di mira il seggio dei Paesi nordici o, meglio ancora, dell’Iran. Più tardiCollegamento esterno gli USA le suggerirono di aderire semplicemente a un gruppo già esistente.

La Svizzera tuttavia andò per la sua strada, mossa dalla convinzione che l’opportunità non si sarebbe ripresentata: “Chi non raggiunge i suoi scopi al primo colpo e accetta un posto in seconda fila non riuscirà mai più ad avvicinarsi al tavolo”, si legge in una circolareCollegamento esterno del rappresentante svizzero presso le istituzioni di Bretton Woods alle ambasciate elvetiche del settembre 1992.

Anche se con qualche difficoltà, a causa della defezione della TurchiaCollegamento esterno, Berna riuscì a costituire un gruppo di voto. Il partner principale era la Polonia, che grazie alla promessa di maggiore influsso abbandonò il gruppo guidato dall’Italia, ma decisiva fu l’adesione di alcuni paesi dell’Asia centrale: Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan (inizialmente come osservatore), Turkmenistan e Azerbaigian.

Il 24 settembre 1992 il ministro delle finanze svizzero Otto Stich poté pronunciare il suo discorsoCollegamento esterno all’assemblea annuale dell’FMI e della Banca mondiale come rappresentante di un Paese che guidava un nuovo gruppo di voto, soprannominato Helvetistan, e sedeva nel consiglio esecutivo delle due istituzioni.

“Il riconoscimento precoce delle ex repubbliche sovietiche aveva creato nei Paesi dell’Asia centrale molta buona volontà nei confronti della Svizzera e questo rese possibile la nascita dell’Helvetistan”, osserva Thomas Bürgisser. “La determinazione con cui la Svizzera s’impose anche sull’unica grande potenza rimasta rimane comunque sorprendente e non si sarebbe più ripetuta. È segno di un’epoca molto particolare.”

Ampia parte dell’articolo si basa sui documenti relativi al 1992 pubblicati il 1° gennaio 2023 dal gruppo di ricerca Dodis allo scadere dei termini di protezione di 30 anni previsti dalla Legge federale sull’archiviazioneCollegamento esterno. I documenti possono essere consultati nel volume 1992Collegamento esterno dei Documenti diplomatici svizzeri e nella banca datiCollegamento esterno di Dodis.

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