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Un’inquietante volontà di controllare la sessualità delle donne

Nel suo libro, Manon Schick sottolinea la lotta nell'ombra di undici donne per i diritti umani. Patrick Martin

Undici attiviste, undici battaglie per i diritti delle donne, in paesi diversi. Nel libro "Mes Héroïnes", Manon Schick, direttrice della sezione svizzera di Amnesty International traccia il ritratto di donne sconosciute che si battono, a volte rischiando la vita. La lotta per l'uguaglianza comincia a livello locale, dice.

Nel loro sguardo c’è la determinazione di coloro che non si arrendono mai. Nel loro cuore, l’intima convinzione che la loro lotta è legittima, nonostante lo stigma, il rifiuto o le minacce. Sono la prova che i diritti delle donne continuano ad essere calpestati in molte parti del mondo.

Le eroine presentate da Manon Schick lottano nell’ombra contro violazioni specifiche dei diritti delle donne. Donne che la direttrice della sezione svizzera di Amnesty International ha incontrato sul suo percorso di militante e che la ispirano nella vita quotidiana.

swissinfo.ch: Minacciate di morte, a volte imprigionate o violentate e spesso costretto all’esilio, le sue eroine devono affrontare resistenze violente. Non la scoraggia?

Manon Schick: Mentre scrivevo il libro, mi deprimeva rendermi conto che molte di queste donne hanno dovuto lasciare il loro paese. Mi sono detta che nessuna aveva successo nella propria lotta. In seguito, mi sono resa conto che avevano successo, ma che le loro vittorie erano conseguite a livello locale, a volte in un singolo caso. Certo, sono solo mezze vittorie, poiché su scala nazionale la situazione non migliora, anzi a volte si deteriora.

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Undici volti, undici lotte

Questo contenuto è stato pubblicato al Manon Schick, «Mes Héroïnes, des femmes qui s’engagent»

Di più Undici volti, undici lotte

swissinfo.ch: Il prezzo del loro impegno è spesso elevato. Kasha Jacqueline Nabagesera, militante ugandese per i diritti degli omosessuali, figurava in particolare su una lista di persone che un giornale del paese esortava ad impiccare. Queste donne dove trovano la forza per continuare a lottare, nonostante tutto?

M. S.: Kasha Jacqueline Nabagesera crede nella giustizia. Ritiene di avere il diritto di portare l’identità di donna lesbica senza rischiare una condanna a morte. Questa convinzione la spinge a continuare a combattere e fare una campagna nel suo paese.

Altre donne mi hanno confidato che erano guidate dalla fede. Questo non è il caso dell’attivista ugandese dato che la repressione di cui è vittima è basata anche sulla religione. Potenti movimenti evangelisti americani anti-gay si sono stabiliti nel suo paese e giustificano gli attacchi contro gli omosessuali in nome di Dio.

swissinfo.ch: Donna e omosessuale, due fattori che la rendono ancora più vulnerabile…

M. S.: Assolutamente, accumula due situazioni che ne fanno il bersaglio di violenze dirette. Tanto più che i diritti degli omosessuali si sono deteriorati in Uganda, in particolare con l’arrivo dei movimenti evangelisti. I loro discorsi odiosi e stigmatizzanti si sono infiltrati in tutte le fasce della società, al punto che è stato sottoposto al parlamento un disegno di legge che prevedeva di condannare a morte chi ha un diverso orientamento sessuale della maggioranza. Kasha Jacqueline Nabagesera non può quasi più avere amici; deve diffidare del governo, ma anche dei conoscenti e persino della sua famiglia. Eppure, ha deciso di rimanere nel suo paese a battersi.

swissinfo.ch: Tra queste undici storie quale l’ha toccata di più?

M. S.: È difficile scegliere, poiché tutte queste donne mi hanno commossa. La situazione più difficile da immaginare è forse quella di Justine Masika, che aiuta le donne vittime di stupro nella Repubblica democratica del Congo. Il suo coinvolgimento è iniziato quando si è ritrovata confrontata con il caso di una donna di quasi 80 anni morta in seguito a stupro.

Nell’ambito del mio lavoro, ho anche intervistato donne che avevano subito aggressioni sessuali, durante la fuga da zone di combattimento. Questi stupri massicci delle donne fanno parte di una politica di umiliazione della popolazione, voluta da gruppi armati e, talvolta, da soldati governativi. Ciò costituisce un crimine di guerra. Il problema è che gli stupratori spesso rimangono impuniti.

La lotta di Justine Masika è di incoraggiare le donne a sporgere denuncia, di accompagnarle nelle loro azioni legali. Dopo più di 15 anni di lotta, il suo lavoro comincia a dare frutti; negli ultimi mesi, ci sono stati alcuni casi di uomini condannati a pene detentive. Successi che danno fiducia nella giustizia locale e internazionale.

swissinfo.ch: Nota un deterioramento o un miglioramento dei diritti delle donne nel mondo?

M. S.: Il quadro non è bianco o nero. Un certo numero di diritti delle donne hanno progredito, soprattutto se si considera l’accesso all’istruzione delle ragazze o il declino della mortalità materna. Tuttavia, la tendenza di un certo numero di governi a voler controllare la sessualità delle donne mi preoccupa molto e deve essere denunciata. Essa porta ad alleanze sorprendenti e anche contro la natura; paesi islamici e il Vaticano o Stati cattolici dell’America centrale convergono improvvisamente sul fatto che si dovrebbe vietare alle donne di abortire, di controllare il numero di nascite o avere accesso all’educazione sessuale.

«Le donne sono doppiamente vittime. Sulle vie dell’esilio, molte di loro si trovano in una situazione di vulnerabilità maggiore degli uomini»

swissinfo.ch: In quale paese la situazione delle donne è più drammatica?

M. S.: La situazione dei diritti delle donne non è mai completamente dissociabile da quella del paese nel suo complesso. In Siria, le condizioni sono disastrose per le donne e gli uomini, ma le donne sono doppiamente vittime. Sulle vie dell’esilio, molte di loro si trovano in una situazione di vulnerabilità maggiore degli uomini. Hanno un rischio superiore di subire violenze, durante la fuga da un paese in guerra. Questo è anche il caso in Sudan del Sud, Yemen, in tutti i paesi con grosse crisi migratorie. Anche i paesi con leggi che discriminano le donne, come l’Iran, sono molto problematici. È pure preoccupante il caso dell’Afghanistan, che ha una legislazione piuttosto progressista, ma dove lo Stato non è in grado di proteggere le donne.

swissinfo.ch: La lotta di queste donne è al di fuori dell’Europa. Il loro operato può ispirare la lotta femminista a livello europeo?

M. S.: In Europa le disuguaglianze sono meno visibili, ma esistono. Sono convinta che la difesa dei diritti delle donne inizia a livello locale, nel proprio quartiere, la propria città, la propria attività. In Europa la gente ha la possibilità di scendere in piazza senza prendere rischi, di firmare petizioni senza essere minacciata. Rispetto a queste donne che mettono in pericolo le loro vite, non abbiamo il diritto di abbassare le braccia; il minimo che possiamo fare è impegnarci.

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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