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Meditare per non ricadere nella depressione

La Mindfulness fa propri gli insegnamenti di diverse pratiche buddiste di meditazione swissinfo.ch

La medicina occidentale alleata della saggezza orientale: a Ginevra si testa clinicamente la meditazione contro la depressione.

Un progetto condotto agli ospedali universitari di Ginevra, finanziato dal Fondo nazionale di ricerca, per prevenire le ricadute nei pazienti che hanno alle spalle almeno tre episodi gravi.

La metà delle persone che ha sofferto di depressione una volta rischia la ricaduta. Spesso la prima volta si cade in depressione a causa di uno stress oggettivo, come un lutto, la perdita del posto di lavoro, una separazione affettiva.

Ma al contrario, la seconda o la terza volta, anche una piccola variazione dell’umore, come un’irritazione, o sentirsi un po’ giù di corda, può riattivare quasi automaticamente dei circuiti “neri” che come una spirale portano alle ricadute.

Per combatterle, sotto la guida di uno psichiatra e di uno psicologo, un gruppo di pazienti si riunisce per 8 settimane, una volta la settimana e pratica la meditazione, impegnandosi però a farlo anche a casa, quotidianamente e per un lungo periodo.

Piena consapevolezza e forte motivazione

Il tipo di meditazione praticato dai pazienti è la «Mindfulness», la piena consapevolezza, che è il nocciolo duro di diverse forme di meditazione di orientamento buddista, come spiega il Dottor Bondolfi, psichiatra e responsabile del programma specializzato sulla depressione.

«L’idea di fondo è portare l’attenzione su di un’esperienza, che può essere respirare, o mangiare un frutto, camminare, concentrarsi su alcune sensazioni corporee, e semplicemente ritornarci ogni qualvolta la mente vagabonda altrove».

Si tratta insomma, più che sviluppare immagini mentali positive, di praticare esercizi sensoriali, fisici, che si possono fare nella vita di tutti i giorni, restando il più possibile nel presente, per evitare che i brutti pensieri si impossessino della mente travolgendola. Si impara poco a poco non ad ignorare il vortice, ma a restarci fuori.

«Si riporta l’attenzione su di un punto di sé, volontariamente e senza giudicare ciò che si sente, quindi senza dirsi se si tratta di una sensazione gradevole, o sgradevole».

Più facile a dirsi che a farsi: quante volte ci sorprendiamo intenti a compiere più azioni contemporaneamente, a parlare con qualcuno distrattamente, telefonare, camminare per strada con la testa da un’altra parte? Ma lo sforzo di concentrazione ricompensa chi lo compie: negli studi finora effettuati, le ricadute sono state ridotte della metà.

Importante la verifica svizzera

I primi ad integrare la meditazione alla psicoterapia di tipo cognitivo sono stati alcuni psicologi inglesi e canadesi agli inizi degli anni ’90. In queste settimane il lettore di lingua italiana trova anche una traduzione del lavoro di Segal,Williams e Teasdale (vedi link).

«In questo metodo, non solo i pazienti, ma anche i terapeuti devono praticare la meditazione», spiega il Dr. Guido Bondolfi. La verifica clinica da lui svolta a Ginevra è importante anche per rendere più solide le prove dell’efficacia del metodo. Qualsiasi nuova terapia, per essere valida, deve essere verificata anche da qualcuno che non sia l’inventore stesso del metodo, il guru. Il Dr. Bondolfi è il primo a compiere questa verifica al di fuori del mondo anglosassone.

«Niente mi predisponeva a diventare un meditatore, è stato un incontro un po’ casuale con i fondatori del metodo a farmi andare in questa direzione e a volerla poi sperimentare», spiega a swissinfo.

Più che l’aspetto spirituale, l’interesse è in questo caso di ordine puramente terapeutico: i risultati potrebbero aiutare a mettere a punto un progetto più vasto di salute pubblica.

Oltre ai parametri già testati negli esperimenti fin qui condotti, l’equipe del Dr. Bondolfi cercherà anche di stabilire, con una serie di test neuropsicologici, se la pratica regolare della meditazione riduce l’ormone dello stress, il cortisolo, e se modifica alcune funzioni cognitive.

swissinfo, Raffaella Rossello

In Svizzera il 5% circa della popolazione è affetto da depressione clinica. Il 20% attraversa uno stato depressivo più o meno grave nel corso della vita.

In tutti gli studi internazionali, le donne risultano più colpite dalla depressione degli uomini.

La depressione maschile spesso è occultata o mal diagnosticata, perché si può manifestare con l’aggressività invece che con la tristezza.

Si pensa che il 25, 30% circa delle persone al di sopra dei 60 anni in Svizzera presenti i sintomi di una depressione.

Un’altra fascia d’età particolarmente a rischio è l’adolescenza.

Secondo lo studio ESEMeD sulla salute mentale in Europa (pubblicato nel 2004) aveva avuto un disturbo depressivo nell’arco degli ultimi 12 mesi, al momento dell’intervista:

Il 5,9% di chi aveva risposto al questionario in Belgio
Il 6,7% in Francia (il tasso più elevato)
Il 3,3% in Germania
Il 5,5% in Olanda
Il 4,4% in Spagna
E il 3,5% in Italia

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